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Quando si parla di arte, in particolare di pittura, e si chiede di proporre un esempio, in genere viene subito in mente un capolavoro in particolare: la Gioconda dipinta agli inizi del XVI secolo da Leonardo da Vinci (1452-1519). Non un quadro ma “il” quadro, l’opera d’arte per antonomasia, l’emblema della pittura stessa. Tutti la conoscono, tutti la amano, tutti corrono, se possono, ad ammirarla al Louvre. La Gioconda non a caso è diventata, nel XX secolo, una vera e propria icona popolare, riprodotta su tazze, magliette, borse, gadgets e perfino sfruttata dalla pubblicità. Un quadro con una storia complessa, anche un po’ misteriosa e non ancora del tutto chiarita.
Forse iniziata da Leonardo intorno al 1503, la Gioconda è, all’apparenza, un ritratto femminile. Nonostante i numerosi studi, non è stato tuttavia dimostrato con certezza se l’opera davvero ritrae, come vuole la tradizione, Monna Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo, una donna fiorentina realmente esistita. Per alcuni studiosi, infatti, la Gioconda sarebbe una figura allegorica; per altri, invece, tutta l’opera è una sorta di “gioco” e nasconderebbe i tratti di un giovane allievo di Leonardo, l’amato Salaì, o dello stesso artista.
Della vera identità di questa donna, però, ci occuperemo in un prossimo articolo. È certo che Leonardo amò tantissimo questo dipinto, al quale lavorò ossessivamente almeno fino al 1510 e assai probabilmente fino alla morte; e sappiamo che non se ne volle mai separare. Infatti, la Gioconda si trovava con lui in Francia negli ultimi anni della sua vita. Fu acquistata dal re Francesco I per una somma assai consistente ed entrò a far parte delle collezioni reali. Per questo, oggi, si trova legittimamente al Louvre. Di questo quadro esistono altre versioni, difficilmente autografe, una delle quali, al Prado di Madrid, è forse dell’allievo Francesco Melzi e un’altra, nota come Gioconda nuda, è stata attribuita a Salaì.
La Gioconda è seduta in una loggia e mostrata di tre quarti ma con il volto praticamente frontale. Indossa una veste scollata all’antica, con le maniche di tessuto diverso. Sul capo, porta un velo che le tiene fermi i capelli. Le mani, delicatissime, sono raccolte sul grembo, in primo piano; lo sguardo è rivolto all’osservatore.
Alle spalle della donna, al di là di un parapetto, si distende un ampio paesaggio montano, attraversato da corsi d’acqua. Questo paesaggio non è completamente inventato ma riproduce, a memoria, la zona in cui l’Arno supera le campagne di Arezzo e riceve le acque della Val di Chiana; lo dimostrerebbe la presenza, a destra, del ponte Buriano, un ponte medievale sopra il quale passava la via Cassia.
La bella signora presenta uno sguardo vivo e un sorriso enigmatico, un po’ ironico e un po’ malinconico; in effetti, osservando attentamente il dipinto si ha quasi l’impressione che Monna Lisa muti espressione davanti ai nostri occhi. Da profondo conoscitore dei meccanismi della visione, Leonardo aveva compreso che l’esattezza del disegno può conferire alle immagini una certa durezza. Pertanto, egli lasciò allo spettatore qualcosa da indovinare, come concedendo un margine alla sua fantasia, attraverso l’uso dello sfumato (qui, magistralmente utilizzato), che non definisce i contorni in maniera netta e lascia confluire una forma nell’altra.
Chiunque osserva un volto si concentra infatti sugli occhi e sulla bocca, i cui angoli definiscono l’espressione; e sono proprio questi particolari della Gioconda che Leonardo lasciò più indefiniti, immergendoli in una morbida penombra. In tal modo, l’espressione della donna sembra sfuggente ogni qual volta la si osservi e pare piuttosto riflettere, come in uno specchio, il momentaneo stato d’animo dell’osservatore. Studiando più attentamente il quadro, poi, ci si può accorgere che le due parti del paesaggio alle spalle della donna non sono corrispondenti, poiché l’orizzonte è più basso a sinistra che a destra, e anche le due metà del volto non si accordano.
Ciò conferisce all’immagine una certa instabilità; del resto tali artifici avrebbero reso il quadro troppo cerebrale se Leonardo non li avesse compensati con un’osservazione meticolosa dei particolari: i capelli, l’arricciatura dello scollo, le pieghe delle maniche e soprattutto le mani, la cui bellezza e la cui naturalezza continuano ad incantare da secoli.
Che sia o meno, davvero, il ritratto di Monna Lisa o di un’altra dama rinascimentale, questa figura femminile, intimamente fusa con il paesaggio, vuole certificare prima di tutto la profonda naturalità dell’uomo, la cui vita pulsa all’unisono con quella del cosmo: dunque non sarebbe semplicemente un ritratto, così come il paesaggio alle sue spalle non è soltanto un paesaggio.
Ha scritto un famoso studioso novecentesco di Leonardo, Charles De Tolnay, che «nella Gioconda, l’individuo – una sorta di miracolosa creazione della natura – rappresenta al tempo stesso la specie: il ritratto, superati i limiti sociali, acquisisce un valore universale. Leonardo ha lavorato a quest’opera sia come ricercatore e pensatore sia come pittore e poeta». Dunque, la Gioconda potrebbe incarnare l’identità stessa dell’umanità, anzi dell’elemento umano inteso come parte preminente della natura, o addirittura la “natura umanizzata”. Insomma, la Gioconda sarebbe prima di tutto un’idea.