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Il grande pittore medievale Giotto nacque a Colle di Vespignano, nel Mugello, in Toscana, intorno al 1267; la data è orientativa ed è stata calcolata sulla scorta di un’antica informazione che lo dice morto nel 1336, a settant’anni. La sua biografia è davvero scarna, sebbene egli sia stato uno degli uomini più famosi del suo tempo e sia stato celebrato da sommi poeti e letterati come Dante, Petrarca e Boccaccio.
Alla fine del Trecento, il trattatista Cennino Cennini scrisse di lui che «rimutò l’arte del dipignere di greco in latino e ridusse al moderno». Cennini intendeva dire che, grazie a Giotto, l’arte bizantina (greca) aveva lasciato il posto a quella classica (latina), che il trattatista, da uomo certamente colto e attento agli sviluppi culturali del suo tempo, già percepiva come “moderna”. Era la prima volta che questa definizione veniva applicata all’arte.
Secondo la tradizione, Giotto fu allievo di Cimabue. Probabilmente lo seguì a Roma e poi ad Assisi, per collaborare con lui alla decorazione della Basilica di San Francesco. Qui esordì come artista autonomo con due Storie di Isacco, nella Basilica superiore. In queste opere, Giotto dimostrò di voler rinnovare il linguaggio pittorico bizantino, inserendo le figure in un conveniente contesto architettonico. Il linguaggio pittorico di Giotto è nuovo in quanto chiaro, immediato ed efficace. In questi suoi primi dipinti, le figure sono già volumetriche, le vesti sono riempite con la solidità di corpi veri.
Nel 1290 Giotto ottenne la commissione delle Storie di San Francesco, nella fascia inferiore della navata della Basilica superiore di Assisi. Nel ciclo i personaggi sono inseriti in uno spazio architettonico concreto e realistico. I corpi sono di un naturalismo eccezionale per quel tempo. In molti episodi compare anche il paesaggio, strumentale allo svolgimento dell’azione drammatica. È presente una certa simbologia: il simbolo viene calato, tuttavia, nella vita di tutti i giorni.
I volti sono dotati di espressione, i gesti sono animati. Il senso della tridimensionalità è accentuato attraverso un uso sapiente del chiaroscuro. Gli effetti della luce naturale sono verosimili. Giotto riserva grande importanza anche ai particolari, necessari per calare la scena sacra in una dimensione credibile che l’osservatore medievale poteva facilmente riconoscere e sentire propria.
Negli affreschi con le Storie di San Francesco ad Assisi, il santo è presentato in modo da rendere vicina e attuale la sua figura di uomo che visse e soffrì. Nella Rinuncia ai beni paterni, Francesco è mostrato completamente nudo e ha appena restituito gli abiti al padre furibondo che certamente lo schiaffeggerebbe se non fosse trattenuto da un suo concittadino. Tutti i personaggi tradiscono con gli sguardi stupore o turbamento. Nel Presepe di Greccio, i frati, i fedeli, gli arredi e gli oggetti liturgici (il crocifisso inclinato, il ciborio, il leggio, il pulpito) sono inseriti in un ambiente ricostruito in modo quasi illusionistico e perfettamente proporzionato alle loro dimensioni.
Giotto fu autore anche di straordinari capolavori su tavola. Con il Crocifisso di Santa Maria Novella, dipinto nel 1295 a Firenze, l’artista rinnovò l’iconografia del Christus Patiens, ossia del Messia mostrato inchiodato alla croce e morto. Quello di Gesù è un nudo realistico che si abbandona in modo naturale. Assecondando le leggi dell’anatomia e della gravità, Cristo non è più inarcato ma piegato in avanti, trascinato dallo stesso peso del suo corpo. Il volto è visto di scorcio, il sangue schizza dal costato, il ventre è gonfio, le ginocchia sono piegate, i piedi sovrapposti e le mani sono rappresentate in prospettiva, contratte a cucchiaio e con il pollice davanti al palmo.
A Padova, dal 1303, Giotto affrescò la Cappella degli Scrovegni. Attraverso la rappresentazione di episodi sacri, nelle Storie di Anna e Gioacchino, nelle Storie di Maria e nelle Storie di Cristo, Giotto rappresentò la vita reale. Le architetture furono presentate come ambienti concreti pieni di dettagli di arredo. Tutte le scene presentano un impianto prospettico che rende i contesti ambientali e spaziali credibili e riconoscibili. Tale prospettiva è intuitiva ma efficace. Grande spazio venne riservato, ancora una volta, ai sentimenti, espressi attraverso i volti e a una vivace gestualità. Negli affreschi della Scrovegni, gli angeli giotteschi sono concreti ma non interi: si materializzano progressivamente, entrano nello spazio terreno della storia passando dallo stato impalpabile del vapore a quello plastico del corpo.
Nelle Storie della Scrovegni, inoltre, sono innumerevoli gli episodi in cui l’artista riesce a conferire alla propria pittura un alto valore morale e poetico insieme. L’intenso rapporto affettivo tra Maria e Gesù è raccontato, come nel caso della Natività, attraverso sensibilissimi dialoghi muti che rivelano la consapevolezza di un destino doloroso.
Nel Bacio di Giuda si consuma la tragedia del tradimento, compiuto da un amico, mentre l’agitazione della folla viene resa con un linguaggio pittorico che sembra anticipare gli esiti del cinema e della fotografia.
Nella Crocifissione gli angeli volteggiano nel cielo come uccelli impazziti, e il dolore dei presenti è tangibile come mai era successo nella pittura precedente. Nel Compianto del Cristo morto il piccolo gruppo di dolenti, che circonda il corpo di Gesù deposto dalla croce, orchestra una scena emotivamente coinvolgente e di un lirismo sino ad allora impensabile, per mezzo di gesti e atteggiamenti variati e perfettamente calibrati.
Nel Giudizio Universale, uno dei più complessi e articolati dell’intero Medioevo, i temi della salvezza e della dannazione vengono affrontati con una profondità teologica che precede ed eguaglia quella dantesca della Divina Commedia.
Forse verso il 1310, Giotto dipinse la monumentale Maestà di Ognissanti. In quest’opera, l’esile trono della Vergine, rappresentato in prospettiva, è un vero e proprio tabernacolo ornato alla maniera gotica. Figure di angeli, profeti e santi, mostrati di profilo o di tre quarti, sono assiepate intorno. L’imponenza fisica della Madonna, dotata di un corpo florido, è tutta terrena. In questa magnifica pala, Giotto è riuscito a mediare la realtà con l’idea trascendente.
A Firenze, tra il 1317 e il 1325, Giotto dipinse le cappelle Bardi e Peruzzi nella Chiesa di Santa Croce. Nella Cappella Bardi, le Storie di San Francesco presentano una nuova interpretazione della vita del santo: sebbene la loro impostazione generale risulti, rispetto ad Assisi, più formale e solenne per assecondare le nuove esigenze curiali dell’ordine, i singoli dettagli mostrano una grandissima attenzione nella resa degli atteggiamenti.
Nella sua ricca produzione, Giotto mise da parte la rappresentazione di figure esemplari e simboliche e, attraverso la costruzione di uno spazio pittorico tridimensionale, dette nuova voce alla Storia; grazie alla sua pittura, il fedele poté finalmente diventare testimone degli eventi narrati dai testi sacri. La storicità dell’arte giottesca si coniuga insomma perfettamente con la naturalezza dei protagonisti: la storia narrata da Giotto è soprattutto una storia di uomini. Egli trasformò i suoi cicli di affreschi in veri poemi figurati capaci di affrontare temi importanti senza ignorare i momenti di più lirica intimità.
Giotto fu anche architetto. A lui venne affidato il compito di continuare l’opera di Arnolfo di Cambio per la realizzazione del Duomo di Firenze, la Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Si deve a questo artista il disegno del celebre campanile, oggi noto come Campanile di Giotto, che svetta elegante accanto al corpo della chiesa con il suo bel paramento di marmi policromi.