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Nella Cappella degli Scrovegni a Padova, affrescata da Giotto (1267-1336) fra il 1303 e il 1305, l’intera parete di fondo, ossia la controfacciata, è occupata da un grandioso Giudizio universale.
Questo affresco conclude idealmente le Storie che si dispiegano sulle pareti. Sebbene l’ideazione e il disegno generale siano certamente da attribuire al maestro, è stato riscontrato, studiando il dipinto, un ampio ricorso agli aiuti di bottega. Ciò, tuttavia, nulla toglie all’importanza dell’opera, che anzi si rivela assolutamente innovativa. Nonostante il mantenimento di alcune convenzioni (come, per esempio, le diverse scale proporzionali), per la prima volta viene abolita la suddivisione della scena in fasce orizzontali sovrapposte: Giudizio, Paradiso e Inferno sono presentati in un insieme unitario e tutte le figure si muovono nel medesimo spazio. Il Giudizio non è più presentato ma rappresentato, è un vero e proprio “avvenimento”.
Cristo Giudice campeggia al centro, circondato da una mandorla iridata, retta da serafini. Esponendo le piaghe della Passione, con l’esplicito gesto delle mani, divide i reprobi dagli eletti. Non siede su un trono ma su una sorta di nube in cui è possibile riconoscere alcune figure simboliche (un orso con vicino un pesce, un centauro, un’aquila con la testa di ragazzo, un uomo con la testa da leone). Queste quattro figure ibride rappresenterebbero la doppia natura umano-divina del Messia (il centauro), la redenzione dell’umanità (l’orso con il pesce), la Resurrezione (il leone), l’Ascensione (l’aquila).
Sotto Gesù, vero spartiacque fra Paradiso e Inferno, è la croce in cui fu giustiziato, strumento di morte divenuto simbolo di redenzione, con ancora i chiodi infissi. La sorreggono due angeli, ma non solo loro: in basso intravediamo i piedi, le braccia e la testa di un uomo, anzi di un omino che si accinge a trasportare un peso che certamente le sue deboli forze, da sole, mai potrebbero sostenere. Ma ecco, appunto, il soccorso divino. «Un piccolo fragile uomo – buon ladrone, cireneo, ciascuno di noi – che si è imbattuto in quell’Uomo, l’ha riconosciuto Dio, gli si è affezionato: porta quindi “il giogo soave, il carico leggero”, nella prospettiva alta della felicità, la cui caparra è – qui e ora – la letizia del centuplo quaggiù”» (R.Filippetti).
Intorno a Cristo si raccolgono i dodici apostoli, giudici a latere. In alto si organizzano, per file e in due gruppi simmetrici, le schiere angeliche, guidate dagli arcangeli Michele e Gabriele.
In basso a sinistra, i morti, svegliati dalle trombe dell’Apocalisse, escono dai crepacci della terra. Lì accanto, Enrico Scrovegni offre il modellino della sua cappella alla Vergine, la quale è accompagnata da san Giovanni e da santa Caterina d’Alessandria. Più in alto, il popolo di Dio cammina, ordinato e silenzioso, verso il Paradiso.
Nel gruppo, la tradizione identifica un autoritratto dello stesso Giotto, riconoscibile per via della berretta gialla calata sulla testa. Dietro di lui, vestito di giallo e con una corona di alloro in testa, l’amico Dante Alighieri.
Nell’Inferno, rappresentato in basso a destra, domina il caos. La mandorla di Cristo sprigiona quattro terribili lingue di fuoco, fiumi infernali in piena che trascinano i reietti negli anfratti sotterranei. Diavoli bestiali sottopongono i disperati a torture atroci, mostrate con tanto realismo (inusitato per quei tempi) da muovere l’osservatore alla compassione.
È un campionario di sadismo: chi viene appeso per i capelli, chi impiccato per la lingua, chi per i genitali (per inciso, mostrati con un realismo sconosciuto alla storia dell’arte sino ad allora). Qualcuno viene impalato in uno spiedo, qualcun altro segato in due. Restiamo sconcertati dal piombo fuso colato in bocca, dalle parti del corpo strappate con le tenaglie. In basso, verso sinistra, riconosciamo Giuda, impiccato e sventrato, con le viscere colanti. Satana, una grossa bestia mostruosa, mastica un dannato che ancora gli penzola dalla bocca, e con le zampe già ne afferra altri due.
Si trova nella parte alta dell’affresco il particolare più mirabile e teologicamente più acuto: due angeli arrotolano il cielo, che da una parte è blu, così come noi lo vediamo, mentre dall’altra parte è rosso, colore dell’Amor di Dio. Lo annuncia il passo dell’Apocalisse: «Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge, e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto» (AP 6, 14).
Si chiude il sipario: il tempo (rappresentato da Sole e Luna) e la storia sono arrivati alla fine. Dietro già si scorge la distesa d’oro della Gerusalemme celeste: quello stesso oro che trionfava nei mosaici bizantini e che Giotto non aveva quindi dimenticato e meno che mai rinnegato. Semplicemente, nella sua arte, l’immagine trasfigurata della realtà ultima era stata come coperta dal consistente tappeto della vita reale, teatro (almeno fino all’arrivo del Giudizio) dell’azione divina sulla Terra.
Bellissimo blog. Sono contenta di avervi scoperto.
Grazie di cuore!
Ho letto questo articolo, per un lavoro scolastico, molto utile, mi ha fatto capire di più su questo argomento e vi ringrazio.
Inoltre mi sono piaciute molto le immagini collegate con ogni paragrafo, cosa che non tutti fanno.
Bravi! >3
Grazie mille! Mi fa molto piacere 🙂
Complimenti, bellissima lettura.
Grazie di cuore!
Complimenti per il materiale didattico che condividerò con i ragazzi della scuola dove insegno. Grazie!
Grazie mille, mi fa molto piacere!
Bella lettura
Grazie mille!
Beh
Non ho tanto da dire ma è molto utile soprattutto in storia dell’arte<3
Grazie
In genere leggere i vostri studi è sempre un piacere: sono chiari, interessanti ed esaurienti. Questo mi ha soddisfatto molto