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Tra la fine del XIX secolo e i primi vent’anni del XX secolo l’Art Nouveau volle elaborare i segni di un’eleganza nuova e di una bellezza moderna. Gli artisti legati a questa corrente europea si appellarono proprio alla modernità, alla novità, alla gioventù, per elaborare un linguaggio esemplato direttamente sulla natura, ricco di riferimenti al mondo animale e vegetale, riproducendo le forme organiche attraverso l’uso di segni dinamici, agili, flessuosi, carichi di una forte valenza simbolica e decorativa.
Architetti e designers disegnarono e progettarono non solo edifici e arredi ma anche un gran numero di lampade, gioielli, portacenere e calamai. L’iconografia di questi oggetti si sviluppò soprattutto intorno a tre temi principali: la donna, il fiore e l’animale, esaltati individualmente ma più spesso accostati in affascinanti composizioni allegoriche.
La figura femminile impersonava un sensualismo sofisticato e sfuggente, leggermente equivoco; l’immagine della donna si incarnava nel mito classico o medievale (sotto forma di dea, ninfa o fata) oppure richiamava il mondo dello spettacolo. Non erano rare, infatti, le riproduzioni di attrici o danzatrici famose: la ballerina americana Loïe Fuller fu rappresentata spesso, nei dipinti, nelle lampade e soprattutto nei cartelloni, mentre si librava nell’aria.
Nel campo della grafica, emerse la figura di Alfons Mucha (1860-1939), pittore e scultore ceco assai attivo in Francia. Mucha è ricordato soprattutto per i suoi poster art nouveau, eleganti, raffinati, coloratissimi. Con i propri manifesti, Mucha pubblicizzò bevande, generi di consumo, prodotti per la pulizia del corpo e della biancheria, sfruttando di norma l’immagine di una donna sottile, elegante, ammiccante, sensuale, ingioiellata e dalla folta capigliatura, circondata da motivi floreali e arabeschi.
Celebri i suoi poster di spettacoli teatrali, in cui ritrasse le famose attrici del tempo. «Signor Mucha, lei mi ha reso immortale»: questo il commento di Sarah Bernhardt, una delle più grandi attrici teatrali del XIX secolo. L’opera di Mucha è oggi considerata il più tipico simbolo della Belle Époque.
Gli animali e ancor più le piante furono fonte d’ispirazione pressoché inesauribile per artisti e designers; nelle opere degli scultori e in quelle dei maestri vetrai comparvero arbusti, glicini, campanule, orchidee, iris e magnolie, assieme a pavoni, coleotteri, insetti e soprattutto libellule. Questo riferimento alla natura, suggerito da una semplice consuetudine dettata dal gusto, era peraltro sostenuto da critici, letterati e artisti.
Scriveva, ad esempio, l’architetto e letterato italiano Camillo Boito, nel 1898: «La natura dovrebbe dar tutto; la tradizione non dovrebbe dar niente […]. Noi non ci stancheremo perciò di porgere agli studiosi gli esempi belli dei secoli trascorsi; ma plaudiremo con animo lieto a chi riesca a strappare alla viva natura, direttamente, un pensiero o una forma».
Tra i protagonisti dell’arte decorativa di fine Ottocento, non si può non citare René Lalique (1860-1945), gioielliere francese e innovatore di tecniche orafe, considerato uno degli interpreti più originali dell’Art Nouveau europea. Anche se dal 1900 si dedicò all’arte vetraria, creando lampade, decorazioni e soprattutto piatti e bottiglie dove ricorrono figure femminili, motivi floreali e animali, il suo contributo all’affermazione del gusto art nouveau si legò soprattutto alla creazione di gioielli straordinari. Le sue raffinate e preziose realizzazioni a motivi floreali, di tipo naturalistico, contribuirono, infatti, al rinnovamento dell’arte orafa.
Del 1894 sono i suoi primi gioielli per Sarah Bernhardt, l’acclamatissima attrice teatrale francese. Si tratta di piccole sculture concepite in chiave organicistica, estremamente ingegnose e affascinanti, dove il valore intrinseco delle pietre preziose e dei metalli, scelti in funzione del raggiungimento di particolari effetti cromatici, sembra venir meno di fronte alla sfolgorante bellezza dell’oggetto. I fiori, i serpenti, gli insetti diventano, nelle opere di Lalique, gli attributi simbolici della donna fatale; abbarbicati come piante lussureggianti sugli abiti eleganti delle ricche signore, sembrano voler evocare l’idea di una femminilità sensuale, conturbante e inquietante a un tempo.
Émile Gallé (1846-1904), artigiano e disegnatore francese, fu interprete di primo piano dell’Art Nouveau nel campo delle arti applicate. Aprì un laboratorio di vetreria (nel 1874) e uno di ebanisteria (nel 1883) a Nancy, città del nord-est della Francia e avamposto della cultura francese verso la Germania. Lavorò, dunque, in un contesto culturale più legato alle tradizioni nazionali e ancora sensibile a certe suggestioni storicistiche. Studioso di filosofia e botanica, sperimentatore infaticabile di nuove tecniche vetrarie e inventore di nuove combinazioni di colori, soggiornò a Londra, dove poté aggiornarsi sulle esperienze di Morris.
Nella lavorazione del vetro, questo artista raggiunse particolari effetti di trasparenza e opacità con procedimenti innovativi. La sua grande intuizione fu quella di valorizzare, come ancora non era stato fatto, le caratteristiche del materiale; e non soltanto la sua limpidezza e la sua leggerezza ma persino certe sue imperfezioni, come le bollicine d’aria (generate da una fusione incompleta) o le “ghiacciature” (ottenute immergendo la pasta vitrea calda in acqua fredda). Nel “verre craquelé” (‘vetro a ghiaccio’), in particolare, la superficie si presenta rugosa e screpolata.
Sulle superfici arrotondate dei suoi vasi, Gallé disegnava iris, ciclamini e violette, libellule, farfalle, anemoni di mare: delicate forme naturali che aspiravano a suscitare emozioni poetiche. Nelle lampade di Gallé non era il vetro al servizio della luce ma viceversa. La lampadina, completamente nascosta dagli elementi vitrei, esalta tramite la luce elettrica le sottili venature, i colori tenui, i disegni smaltati, gli intagli preziosi.
Dopo il clamoroso successo ottenuto con i suoi vetri all’Esposizione parigina del 1878, nel 1890 Gallé fondò a Nancy una scuola destinata a diventare per suo merito un centro primario d’irradiazione dell’Art Nouveau: la Alleanza Provinciale delle Industrie d’Arte (Alliance Provinciale des Industries d’Art), una scuola ideata sul modello delle Arts and Crafts inglesi. La morte del suo fondatore pose termine alle ricerche artistiche della vetreria, che comunque proseguì la sua attività sino al 1931.
La vetreria dell’atelier Daum Frères produsse oggetti e lampade lavorando nella sfera culturale di Gallé, a Nancy, proseguendone gli intenti dopo la sua morte. L’azienda venne fondata da Jean Daum, un ex notaio fuggito dall’Alsazia nel 1871, al momento della conquista tedesca della regione francese; affatto esperto in materia, in un primo tempo Daum si dedicò alla riproduzione di oggetti antichi, annettendo poi alla sua fabbrica una serie di laboratori specializzati in incisioni, dorature e decorazioni.
Quando morì, nel 1890, la fabbrica passò nelle mani dei figli Auguste e Antoine. Dal 1889 al 1925, i Daum parteciparono a tutte le Esposizioni Universali; quella del 1900 li rese famosi nel mondo.
L’ispirazione floreale divenne per i due fratelli una matrice stilistica fondamentale; i loro vetri opalini dalle sfumature rosa o azzurrognole, spesso incisi o lavorati a rilievo, si coprirono di rami, ghirlande, foglie. Glicini, caprifogli, campanelle, rose, papaveri, tulipani, fiori di cardo creavano sulle superfici raffinati cromatismi ed eleganti ondulazioni. I materiali traslucidi dei vasi Daum erano animati anche da un minuscolo mondo animale, popolato da libellule, scarabei, farfalle e rondini.
Nonostante l’unità di intenti e alcune generiche somiglianze, la produzione dei Daum si distingue nettamente, per le forme, le tonalità e le decorazioni, da quella di Gallé, soprattutto nella produzione delle lampade; sebbene più convenzionali nella forma e nel mantenimento del tradizionale paralume, quelle realizzate dai fratelli Daum sono splendide e preziose, particolarmente quando accese, perché le sfumature cromatiche, le iridescenze, le morbide tonalità del corpo vitreo le rendono cariche di suggestione.
Dal 1903, la fabbrica iniziò ad adottare anche decorazioni non figurative, giocando sulle sole tonalità cromatiche dei viola porpora e dei granata, sulle punteggiature di macchie rosse, sulle opalescenze di verde pallido. Questa fantasmagoria cromatica nasceva dalla sperimentazione di una nuova tecnica, che consisteva nel fissare cristalli di colore, ridotti in polvere, tra due strati di vetro bianco.
Louis Comfort Tiffany (1848-1933), celebre designer statunitense, esordì come pittore e decoratore, formandosi una cultura eclettica con i suoi numerosi viaggi in Europa e in Africa, dove, in particolare, era rimasto affascinato dall’esotismo moresco. Dopo aver collaborato con il padre Charles Lewis alla Tiffany & Co., una gioielleria di fama mondiale, si mise in proprio, sperimentando nuove tecniche nel campo del vetro. Dal 1876 iniziò a produrre originali vetrate in opalino e raffinati oggetti ispirati al mondo vegetale con speciali iridescenze, che fecero di lui il più importante artista americano dell’Art Nouveau. Alla morte del padre, ne continuò l’opera e incluse nella sua produzione personale anche la creazione di gioielli.
Tiffany, come Gallé, seppe sfruttare certi effetti casuali della lavorazione del vetro allo stadio di materia incandescente. Nelle sue mani di abile artigiano, marezzature e iridescenze (riflessi, simili ad arcobaleni, che si osservano sulla superficie) divennero preziosi elementi decorativi. I suoi vetri, detti appunto favrile glasses (dal francese fabrile, ‘artigianale’), divennero presto famosissimi e largamente impiegati negli allestimenti di hotel, club, ville, chiese e teatri.
Nel 1898, Tiffany pubblicò il suo primo catalogo di lampade. La grande innovazione proposta dall’artista in questo campo non è certamente formale, giacché i riferimenti ai modelli tradizionali sono continui, ma riguarda l’applicazione dei sistemi produttivi della vetrata all’oggetto domestico.
I paralumi delle sue lampade, infatti, sono ottenuti con mosaici di vetri opalescenti colorati, che certo non aumentano la luminosità della lampadina, anzi la attenuano, ma creano effetti decorativi veramente deliziosi. All’Esposizione Internazionale di Parigi del 1900 la lampada Dragonfly, decorata con libellule, vinse il Gran Premio.
Da allora, le lampade Tiffany, tra le più autentiche ed originali invenzioni prodotte dall’Art Nouveau, ebbero una diffusione mondiale e furono largamente imitate. Ancora oggi sono considerate le lampade art nouveau per eccellenza. Gli originali in circolazione hanno raggiunto quotazioni esorbitanti. Una Dragonfly è stata battuta all’asta da Sotheby’s nel 2017 per 168.000 euro e, nel 2018, Christie’s ha venduto una lampada Pond Lily, disegnata nel 1903, per 2.9 milioni di euro.