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Il Neorealismo è stato un vasto e articolato movimento culturale, nato e sviluppatosi in Italia durante la Seconda guerra mondiale e nell’immediato secondo dopoguerra. Coinvolse molte forme artistiche ed espressive, dal cinema alla letteratura, dalla pittura all’architettura.
Il cinema neorealista tratta di soggetti, storie, problematiche presi dalla vita reale, vede protagoniste soprattutto le classi sociali più disagiate, si serve preferibilmente di attori non professionisti. L’ambientazione dei film è quella dell’Italia dell’immediato dopoguerra, provata dal conflitto, impegnata a fronteggiare miseria e disoccupazione e tuttavia già proiettata verso un futuro di speranza e di ricostruzione. I film neorealisti vennero spesso girati in esterno, soprattutto in periferia, per testimoniare il dramma delle devastazioni belliche. D’altro canto, Cinecittà era stata occupata dagli sfollati e i suoi studi non erano accessibili.
Il cinema neorealista esordì nel 1943, con Ossessione di Luchino Visconti (1906-1976). Regista cinematografico e teatrale, nonché sceneggiatore, Visconti è considerato uno degli artisti e uomini di cultura più autorevoli del XX secolo. Memorabili i suoi film a carattere storico, per la cura estrema delle ambientazioni. Visconti firmò, nel 1948, La terra trema, ispirato al capolavoro verista I Malavoglia di Giovanni Verga. Il regista ricorse solamente ad attori non professionisti (abitanti di Aci Trezza), che recitarono in dialetto.
Una sequenza tratta da La terra trema di Luchino Visconti,1948.
Capolavoro del Neorealismo è Roma città aperta, firmato nel 1945 da Roberto Rossellini (1906-1977) e magistralmente interpretato da Anna Magnani (1908-1973). Il film narra della resistenza dei cittadini romani all’occupazione nazista. La scena della barbara uccisione, sotto gli occhi del figlio, della protagonista Pina, cui i soldati sparano mentre corre dietro al camion che sta portando via il suo compagno, è considerata una delle più importanti e iconiche della storia del cinema e i suoi singoli fotogrammi hanno ispirato più di un artista contemporaneo.
La sequenza dell’uccisione di Pina, tratto da Roma città aperta di Roberto Rossellini, 1945.
Vittorio De Sica (1901-1974) firmò, nel 1948, Ladri di biciclette ancora oggi considerato come uno dei massimi capolavori del cinema neorealista. Il film racconta il dramma di un operaio, cui viene rubata la bicicletta che gli è indispensabile per lavorare, e di suo figlio che lo aiuta nella disperata, e vana, ricerca. Quando Antonio, preso dalla disperazione, tenta di rubare a sua volta una bicicletta, viene aggredito dai passanti e solo il pianto disperato del figlio, che impietosisce il derubato, gli evita il carcere.
Il furto della bici e il pianto del figlio, da una sequenza tratta da Ladri di biciclette di Vittorio De Sica,1948.
Si riconduce al fenomeno del Neorealismo anche una tendenza pittorica italiana del secondo dopoguerra, marcatamente politicizzata, che ha fatto propri i princìpi ideologici della sinistra socialista e comunista trovando in Renato Guttuso (1911-1987) il suo più convinto esponente. Guttuso, che è stato tra i fondatori del Fronte Nuovo delle Arti (un movimento artistico attivo tra Venezia, Roma e Milano tra il 1946 e il 1950), è rimasto fedele a questo credo neorealista sino alla fine della sua carriera. È infatti del 1974 uno dei suoi più noti e celebrati capolavori: La Vucciria, una pulsante rappresentazione di vita quotidiana ambientata nell’omonimo mercato palermitano. Il quadro, oggi considerato un’opera-simbolo di Palermo, si caratterizza per un marcato realismo ed è un convinto omaggio all’anima popolare della città siciliana.
Il Neorealismo cinematografico e pittorico ha trovato un suo corrispettivo letterario tra il 1943 e il 1955. Il Neorealismo letterario, infatti, si è caratterizzato sia per l’ispirazione marcatamente antifascista sia per l’atteggiamento impegnato dei suoi autori che, guidati da un intento di testimonianza etica e civile, hanno voluto incidere sulla realtà politica e sociale del paese.
I temi affrontati dagli scrittori neorealisti sono stati: la lotta partigiana (cui molti di loro avevano partecipato) e le esperienze di prigionia sotto i regimi nazifascisti; l’attenzione per il reale, con la riscoperta di piccoli contesti regionali e locali; i grandi dubbi esistenziali dei singoli, sconvolti dal devastante impatto con l’esperienza della guerra. Ha scritto Italo Calvino (1923-1985), uno dei più autorevoli esponenti del gruppo: «L’essere usciti da un’esperienza – guerra, guerra civile – che non aveva risparmiato nessuno, stabiliva un’immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva la sua, ognuno aveva vissuto vite irregolari drammatiche avventurose, ci si strappava le parole di bocca».
Rilevante è stata la figura di Cesare Pavese (1908-1950), poeta e scrittore, autore di opere fondamentali tra cui La casa in collina (1948), La bella estate (1949), La luna e i falò (1950). Pavese, timido e introverso, ha dato ai propri romanzi una forte connotazione autobiografica ed esistenzialista: ha infatti indagato la condizione umana, i rapporti fra ogni uomo e il suo prossimo, il «male oscuro» della solitudine e della depressione. È morto suicida in una camera d’albergo.
Il concetto di Neorealismo viene applicato, per estensione, anche all’architettura popolare italiana, realizzata nel periodo della Ricostruzione, ossia nell’immediato secondo dopoguerra. Nel febbraio 1949, il Parlamento italiano approvò il Progetto di legge per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per i lavoratori. Il piano di intervento dello Stato, per realizzare edilizia residenziale pubblica su tutto il territorio italiano, venne chiamato Ina-Casa, perché effettuato con i fondi gestiti da un’apposita organizzazione presso l’Istituto nazionale delle assicurazioni (Ina), ma viene normalmente ricordato come Piano Fanfani, dal nome dell’allora ministro del Lavoro, Amintore Fanfani, che fu suo grande promotore.
Il Piano Fanfani volle favorire sia il rilancio dell’attività edilizia, con la costruzione di alloggi per le famiglie a basso reddito, sia l’incremento dell’occupazione. Il ritmo di costruzione fu serrato. Nei primi sette anni furono realizzati circa 147 mila alloggi e dopo quattordici anni 355 mila. In questo fervido processo di ricostruzione prevalse una corrente architettonica di stampo razionalista, ricordata come Neorealismo architettonico.
L’architettura neorealista si caratterizzò per la sua volontà di conciliare le ricerche razionaliste, considerate ancora valide e attuali, con il recupero di una certa consuetudine edilizia rurale e popolare, legata alla vita di borgo. L’adozione di forme architettoniche tradizionali era finalizzata a liberare l’esperienza razionalista degli anni Venti e Trenta da quel suo certo carattere avanguardista e sperimentale, da certi suoi astratti tecnicismi, nel tentativo di riportare l’esperienza architettonica a una dimensione più quotidiana, più “normale”, per farle “riprendere contatto con la realtà”.
La sperimentazione sul campo delle teorie neorealiste portò alla realizzazione di alcuni quartieri di grande valenza architettonica, tra cui il Quartiere Tiburtino a Roma, realizzato da un gruppo di architetti guidato da Mario Ridolfi (1904-1984) e Ludovico Quaroni (1911-1987). Il complesso è prevalentemente residenziale e presenta tre diverse tipologie di edifici: case a torre (7 piani con 3 o 4 alloggi per piano), case a schiera (2 o 3 piani) e case in linea (prevalentemente di 4 piani), cui si aggiungono quattro edifici commerciali di Ridolfi. L’insediamento ha, nel suo complesso, l’aspetto di un antico borgo, di un paesino cresciuto spontaneamente in un contado.
In questo, il Tiburtino non ha nulla in comune con le precedenti sperimentazioni del Movimento Moderno in Germania e in Olanda. I singoli edifici presentano elementi che sono propri della tradizionale edilizia rurale: facciate intonacate, balconi in ferro battuto, finestre con le imposte, tetti a falde.
Anche il Quartiere Falchera, realizzato a Torino sotto la direzione dell’architetto e urbanista Giovanni Astengo (1915-1990), presenta condomini alti solo tre piani, disposti asimmetricamente, seguendo gli andamenti di linee spezzate, attorno ad ampie aree di verde pubblico. Le facciate sono in mattone rosso e i tetti a falde, come nelle vecchie dimore rurali piemontesi.