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Hieronymus Bosch (1450/53-1516), il cui vero nome era Jeroen Anthoniszoon van Aken, fu un originalissimo pittore con il quale si chiuse, idealmente, la stagione della pittura fiamminga del Quattrocento. Ebbe, ai suoi tempi, un grande successo. Il re spagnolo Filippo II, per esempio, fu un appassionato collezionista dei suoi quadri, e per questo la Spagna è il paese dov’è conservato il maggior numero dei suoi dipinti (Prado, Escorial).
Nato da una famiglia di pittori, probabilmente di origini tedesche, questo artista visse quasi sempre ad Hertogenbosch, da cui trasse il suo pseudonimo. Appartenendo alla Confraternita della Madonna (Nostra Diletta Signora), una locale associazione religiosa, realizzò per quest’ultima numerosi dipinti, cartoni per vetrate, allestimenti e apparati per processioni. Molto poco è noto della sua biografia, e le poche informazioni in nostro possesso ci parlano di una vita tranquilla e agiata. Quest’immagine, però, non corrisponde affatto a quella che si può ricostruire dalle sue opere, così allucinate e cariche di tensioni spirituali.
La sua arte fu espressione di una concezione religiosa ancora tutta medievale, lacerata dalla violenta opposizione fra il “bene” e il “male” che obbliga incessantemente l’uomo a compiere una scelta; quasi una negazione di tutte le conquiste intellettuali dell’Umanesimo quattrocentesco. Le sue tavole a soggetto fantastico, dominate dall’idea ossessiva del peccato e della punizione divina, sono il frutto di una fantasia torbida e per certi versi morbosa, capace di produrre immagini da incubo, surreali, spesso del tutto incomprensibili, attraverso una continua evocazione onirica dall’evidente fine moraleggiante, tesa a svelare e a denunciare la follia dell’umanità.
Anche lo stile sviluppato dall’artista si distingue nettamente da quello più amato nelle Fiandre del Quattrocento: Bosch, infatti, privilegiò composizioni affollate da figure minute e brulicanti, distribuite sulla superficie delle tavole senza effetto prospettico. In questo senso, egli può legittimamente considerarsi un erede dei grandi miniaturisti del Medioevo.
Sin dalle sue prime opere, Bosch si dimostrò un moralizzatore implacabile e impietoso, non privo di una certa vena ironica. Egli contrastò, certo, ogni condotta di vita peccaminosa ma puntò il dito anche contro l’ignoranza, la superstizione, il cinismo dei ciarlatani, la credulità del popolo stolto.
L’Estrazione della pietra della follia, per esempio, databile al 1494 circa, richiama un detto popolare secondo cui i pazzi sono tali perché hanno un sasso nella testa. Nella tavola di Bosch, un chirurgo è impegnato nella delicata operazione, sotto lo sguardo attento di un monaco e di una suora. In realtà, il presunto medico indossa un copricapo a forma di imbuto, simbolo di stupidità, a dimostrazione che si tratta di un ciarlatano. Anche la scritta presente nell’opera chiarisce l’intento dell’artista di stigmatizzare l’ignoranza del popolino (ma anche del clero), pronto ad affidarsi a qualunque raccontafavole. «Maestro, cava fuori la pietra [della follia]. Il mio nome è sempliciotto»: questo, il credulone sta dicendo al presunto medico.
Il Trittico del carro del fieno, databile al 1490, è una tavola ispirata all’antico proverbio «Il mondo è un carro di fieno: ciascuno ne prende quanto può arraffare». Il tema fondamentale di quest’opera è la cupidigia degli uomini e la bramosia per i beni terreni.
Il pannello centrale mostra infatti un carro con una gigantesca balla di fieno, trascinato da creature diaboliche e seguito dai potenti della terra.
Sul mucchio una coppia è raffigurata in atteggiamento erotico, due uomini e una donna suonano e cantano affiancati da un angelo in preghiera e da un diavolo che suona il suo naso-tromba.
Questi personaggi, persi dietro la musica e l’eros, si estraniano dal mondo e rimangono indifferenti alla rissa scoppiata ai loro piedi per la conquista del fieno.
Il pannello di sinistra presenta la Creazione, il Peccato originale e la Cacciata dal Paradiso; quello di destra la Costruzione di nuove torri, allegoria della perenne Babele.
Il Trittico delle Delizie, considerato il più grande e ambizioso capolavoro di Bosch, è un’opera talmente complessa e misteriosa da legittimare qualsiasi proposta di chiave di lettura. Probabilmente la tela affronta, con un linguaggio fortemente simbolico, il tema prediletto dal pittore fiammingo, ossia il destino infernale dei peccatori che abusano della libertà concessa da Dio all’uomo. Quest’opera così singolare è stata diversamente interpretata e definita di volta in volta espressione della varietà del mondo, allegoria della lussuria o delle delizie terrene, apoteosi del peccato, satira delle vanità, commedia satanica, rappresentazione del mondo prima del diluvio, visione onirica dell’umanità tormentata dall’ansia di dar sfogo agli impulsi dell’inconscio, sogno ad occhi aperti, forma di esorcismo.
«Un’osservazione satirica sulla vergogna e la colpevolezza dell’umanità»: così scrisse di questo quadro, già nel 1605, il monaco spagnolo José de Siguenza, primo autore di una critica artistica sul Giardino delle delizie.
Il trittico è costituito da un pannello centrale di forma quasi quadrata dotato di due pannelli laterali rettangolari richiudibili. Il trittico chiuso mostra una rappresentazione della Terra a monocromo bianco e grigio. Il trittico aperto presenta invece tre scene: a sinistra, il Paradiso Terrestre, con Dio, Adamo ed Eva; al centro, il Giardino delle delizie, una veduta fantastica assiepata di uomini e donne, che si aggirano nudi abbandonandosi ai piaceri dei sensi, e animali immaginari, in un paesaggio fantastico ricco di formazioni rocciose e ricolmo di enormi frutti; a destra, l’Inferno, con i dannati torturati da orribili demoni e puniti secondo la legge del contrappasso. La presenza di strumenti musicali ha suggerito il titolo di Inferno musicale.
È improbabile che questa opera così singolare, nonostante la composizione a trittico, sia nata come pala d’altare. Secondo gli studiosi, fu realizzata per un ricco collezionista, forse Enrico III di Nassau-Breda, grande estimatore dell’artista. L’opera, d’altro canto, ebbe un successo straordinario e venne riprodotta in un numero considerevole di copie su tavola, incisioni e perfino arazzi.
Il trittico chiuso mostra la Terra, vista dallo spazio, raffigurata piatta dentro una sfera trasparente, ancora immersa nell’oscurità, secondo le parole della Genesi: «Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque».
Dio Padre è infatti visibile in alto a sinistra, assiso in trono, con la Bibbia in mano e la tiara papale sul capo. In alto, una scritta recita: «Perché egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste». Insomma, la scena rimanderebbe al tema della Creazione. Tuttavia, alcuni studiosi, tra cui Ernst Gombrich, grande storico dell’arte del Novecento, hanno proposto un’altra chiave di lettura: il mondo dopo il Diluvio Universale. Ciò sarebbe più coerente con il tema principale del trittico aperto, quello del peccato che è all’origine dell’ira divina e della conseguente punizione.
Nel trittico aperto, il pannello di sinistra mostra Adamo ed Eva con Dio nel Paradiso Terrestre, prima del Peccato originale. Dio presenta Eva, appena creata, ad Adamo, il quale è ancora adagiato per terra, come chi si è appena svegliato. Il Padre è qui rappresentato molto giovane e la sua iconografia ricalca quella di Cristo, secondo l’antica usanza medievale. Eva ha un atteggiamento casto e pudico; Adamo si mostra stupito e meravigliato.
Sullo sfondo, il lussureggiante Giardino dell’Eden è ricco di piante e di animali esotici, tra cui una giraffa, un elefante e un leone, e di figure mitologiche e immaginarie, come l’unicorno. Al centro della scena, una complessa costruzione rosa è stata identificata con la Fontana della vita. In alto a sinistra, uno stormo di rondini in volo attraversa le cavità di una strana roccia, dal significato simbolico non ancora chiarito.
Nel pannello centrale, con il Giardino delle delizie, in un disteso paesaggio (che continua idealmente quello del Paradiso Terrestre a sinistra), ricco di animali, piante e fiori, uomini e donne nudi si abbandonano al piacere, senza mostrare alcuna vergogna.
In primo piano, essi si accalcano, assumono pose lascive oppure oscene, giocano in acqua, saltano sui prati, cavalcano animali (alcuni dei quali giganteschi), mostrano gli organi genitali, si cibano di enormi frutti (come ciliegie, fragole e more).
Al centro della scena, si assiste alla festosa cavalcata attorno alla fontana della giovinezza. In fondo, al centro di uno stagno, galleggia un enorme globo grigio-azzurro.
Nel pannello di destra, il più famoso, con l’Inferno musicale, l’umanità paga duramente quei piaceri a cui si era abbandonata. La scena è ambientata di notte o in un mondo oscuro, la gioia, la felicità, il godimento delle delizie hanno lasciato il posto a tormento, dolore e disperazione. Sullo sfondo, una città è in fiamme, abbandonata al saccheggio di esseri misteriosi.
I dannati, trafitti da lance e spade, sono anche sottoposti a sadici tormenti per mezzo di strumenti musicali, ai quali vengono crocifissi, con i quali sono sodomizzati. Alcuni dannati vomitano, altri defecano. Satana, un colossale mostro con la testa di uccello, li inghiotte espellendoli poi come escrementi.
Sotto di lui, una donna in stato di incoscienza, con un rospo sui seni, si specchia nelle terga di un demone.
Nel volto dell’uovo-albero al centro, simbolo dell’Anticristo, al cui interno trovano rifugio biscazzieri e ubriaconi, alcuni studiosi hanno riconosciuto l’autoritratto del pittore. Due enormi orecchie, attraversate dalla lama di un pugnale su cui è incisa la lettera M (secondo alcuni, prima lettera di Mundus, cioè Mondo), creano una evidente forma fallica.
Di grande efficacia espressiva sono anche i quattro pannelli che compongono Le visioni dell’aldilà, un tempo certamente parte di un’opera più articolata, probabilmente un trittico o un polittico di cui costituivano i pannelli laterali, raffiguranti il Paradiso e l’Inferno. Il pannello centrale, oggi perduto, probabilmente raffigurava un Giudizio Universale.
A differenza che nel Trittico delle delizie, qui le figure sono poche, isolate, i colori sono cupi e sulfurei. Nella scena dell’Inferno, colpisce la figura maschile in primo piano, nuda, sconfortata, abbandonata a una pena paralizzante, mentre un demone mostruoso la agguanta per tirarla a sé.
L’Ascesa all’Empireo è una invenzione iconografica straordinaria. Alcune anime nude, trasportate da coppie di angeli, vengono guidate verso un tunnel, in fondo al quale si intravede la luce abbagliante del Paradiso. Ha scritto lo studioso Jacques Combe che «l’Ascesa all’Empireo propone un’iconografia tra le più nuove ed espressive del Bosch […] Si tratta della composizione più astratta del Bosch, che nella sua ricerca supera tutti i suoi contemporanei a tal punto che tale aspetto della sua creazione rimarrà senza seguito. Si tratta dell’espressione plastica del pensiero dei mistici del secolo precedente di cui Bosch era fortemente impregnato».
Tentare di dare un ordine alla complessa simbologia della pittura di Bosch è impresa ardua; ma di certo i motivi più ricorrenti nelle sue opere sono tutti interpretabili in chiave infernale e demoniaca. Gli strumenti musicali, per esempio, non solo divennero con Bosch strumenti di tortura e patiboli ma si trasformarono anche in parti anatomiche di certi diavoli, dotati di nasi-trombe o nasi-flauti dai quali traggono melodie tentatrici. Per Bosch, con tutta evidenza, la musica non aveva nulla di nobile ed era da presentarsi come qualcosa di ridicolo e senza senso.
Nei suoi dipinti spesso ricorre anche il tema dell’uovo, mostrato intero o rotto, vuoto o abitato da dèmoni e da uomini nudi. Esso forse è un simbolo dell’universo che aveva perduto l’originaria armonia o ancora un’allusione all’isolamento spirituale e dottrinario degli alchimisti.
I nudi sono, poi, una costante della pittura di Bosch: esili, diafani, efebici, non caratterizzati sessualmente ma sovente presentati in pose oscene o in atteggiamenti lussuriosi. Le loro posizioni disarticolate rimandano al mondo degli acrobati, degli equilibristi e dei contorsionisti, che troviamo numerosi nei suoi dipinti e che forse simboleggiano l’uomo capace di alterare, ma solo in apparenza, le leggi della natura.
E poi ancora compaiono oggetti viventi, uomini dotati di parti meccaniche, parti umane autonome (teste con i piedi, busti senza arti), espressione di disordine frutto dell’azione diabolica, ibridi in parte uomini e in parte animali; e i demoni di ogni forma, spesso presentati sotto forma di insetti infettivi, rettili, anfibi mostruosi.