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La vicenda della Gioconda, indiscusso capolavoro del grande maestro rinascimentale Leonardo da Vinci (1452-1519), costituisce uno dei gialli più appassionanti della storia dell’arte. Da sempre, infatti, gli studiosi si sono posti una legittima domanda: perché Leonardo trattenne con sé, per tutta la vita, il ritratto di una donna sposata? La misteriosa identità della Gioconda
Tale sarebbe stata, infatti, la condizione del soggetto, secondo una tradizione storiografica che risale al Cinquecento, e che identifica l’opera come un ritratto della fiorentina Monna Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo. Vasari, nelle sue Vite, afferma esplicitamente che, durante il suo secondo soggiorno a Firenze, «prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto».
Dal Vasari apprendiamo dunque che Leonardo cominciò a realizzare il ritratto di Monna Lisa senza concluderlo. Questa testimonianza vasariana ha diverse conferme. Nel 1503, Agostino Vespucci, assistente alla Cancelleria di Firenze, appuntò ai margini di un testo di Cicerone, il quale alludeva a un’opera incompiuta del pittore greco Apelle, questa nota: «così fa Leonardo da Vinci in tutti i suoi dipinti, ad esempio per la testa di Lisa del Giocondo».
Nel 1505, Raffaello realizzò un disegno straordinariamente simile al capolavoro leonardesco, di cui dovette vedere, con tutta evidenza, o i disegni preparatori oppure i cartoni o il quadro già iniziato. Insomma, in quel periodo Leonardo stava davvero lavorando al ritratto di Monna Lisa. La misteriosa identità della Gioconda
Vasari non poté mai vedere il dipinto, portato in Francia nel 1517. Eppure, lo descrisse minuziosamente, soffermandosi sui particolari: «le ciglia per avervi fatto il modo del nascere i peli della carne, dove più folti e dove più radi, e girare secondo i pori della carne, non potevano essere più naturali». Tuttavia, la Gioconda del Louvre non ha le ciglia e nemmeno le sopracciglia, e questo non aiuta a fare chiarezza.
Esiste poi una fonte, a lungo ignorata, che riapre la questione. Si tratta della cronaca fedele di una visita compiuta il 10 ottobre 1517 dal cardinale Luigi d’Aragona a Leonardo, in Francia. Il segretario del cardinale, Antonio de Beatis, stese un piccolo resoconto di quella visita nel suo diario personale. «In uno de li borghi el Signore con noi altri andò ad veder M.r Lunardo Vinci fiorentino, vecchio de più di LXX annj, pictore in la età nostra excellentissimo, quale mostro ad Sua Signoria Ill.ma tre quatri. Uno di certa donna fiorentina facta di naturale ad istantia del quondam Mag.co Juliano de Medici. L’altro di San Joanne Bap. ta giovane et uno de la Madonna et del Figliolo che stan posti in grembo di S.ta Anna tutti perfectissimi».
I tre quadri di cui parla il Beatis sono quelli che si trovano oggi al Louvre e che Leonardo vendette a Francesco I per una consistentissima cifra: il San Giovanni Battista, la Vergine e il Bambino con sant’Anna e, appunto, la Gioconda. Dipinto, quest’ultimo, che (secondo la testimonianza del segretario) sarebbe stato commissionato a Leonardo da Giuliano dei Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico e fratello del pontefice allora regnante Leone X, e quindi necessariamente realizzato durante il soggiorno romano del maestro: insomma, negli anni 1514-19 e non tra il 1503 e il 1510.
Chi era, però, la «certa donna fiorentina» di cui parla de Beatis? Certamente non Monna Lisa e d’altro canto non ci risulta che Giuliano avesse avuto relazioni di una certa importanza con donne di Firenze. Qui il de Beatis potrebbe aver dato per scontato che la donna fosse fiorentina, laddove invece poteva trattarsi di Pacifica Brandani, una cortigiana di Urbino che nel 1511 diede a Giuliano dei Medici un figlio, Ippolito, per poi morire. La misteriosa identità della Gioconda
Secondo un’ipotesi affascinante, Giuliano potrebbe aver commissionato a Leonardo un ritratto post mortem, e quindi del tutto idealizzato, della donna, magari per farne dono al figlio che non aveva mai conosciuto la madre. Il maestro, che mai incontrò Pacifica, potrebbe averne approfittato per rimettere mano a quel ritratto di Monna Lisa rimasto incompiuto o quanto meno per riprendere e sviluppare quell’idea, partendo da disegni o cartoni conservati.
Di recente, è stata scoperta a Madrid una splendida copia della Gioconda, dipinta nella bottega romana di Leonardo probabilmente da Francesco Melzi e che certifica lo stadio di lavorazione del dipinto in quegli anni. Sappiamo infatti che nella bottega di Leonardo si era soliti copiare i quadri del maestro “in contemporanea”, in modo da creare subito delle riproduzioni da vendere ai collezionisti interessati.
La Gioconda del Prado, infatti, è lievemente diversa da quella del Louvre: i vestiti seguono maggiormente la moda del tempo, la donna ha le ciglia e le sopracciglia. Forse il Vasari vide proprio questa versione. Anche i colori appaiono differenti, ma questo perché la Gioconda del Louvre non è mai stata sottoposta a ripulitura e la sua cromia originale è alterata. La misteriosa identità della Gioconda
Giuliano morì nel marzo del 1516. Leonardo, dispensato dal consegnare il quadro, poté continuare a lavorarvi liberamente, trasformando a suo piacimento il ritratto di una donna vera in un’immagine dalle forti connotazioni allegoriche. Come Lisa si era mutata in Pacifica, adesso costei diventava l’allegoria universale della donna, della madre e della Natura stessa, che Leonardo aveva tanto amato e tanto appassionatamente studiato. Davvero, il suo testamento spirituale.
La “Gioconda ” di Madrid potrebbe essere stata incominciata da Leonardo (sarebbe la versione con le ciglia)e finita da un allievo.Leonardo avrebbe fatto un”altra versione,quella portata in Francia che amava di più.