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A iniziare dai primi anni Sessanta del XIX secolo, alcuni giovani pittori decisero di intraprendere una coraggiosa battaglia contro l’arte accademica, la quale era così tanto apprezzata all’epoca, mettendo in atto una vera e propria rivoluzione tecnico‑espressiva: la rivoluzione impressionista. Furono soprattutto i capolavori di due realisti, Courbet e di Manet, e soprattutto Le déjeuner sur l’herbe e l’Olympia di quest’ultimo, a ispirare Claude Monet, Camille Pissarro, Paul Cézanne, Armand Guillaumin e, più tardi, Auguste Renoir, Alfred Sisley, Edgar Degas, Jean‑ Frédéric Bazille, per buona parte legati da amicizia più o meno profonda. Impressionismo.
Dal 1866, questi artisti iniziarono a riunirsi al parigino Café Guerbois per discutere di pittura. Nel 1874, nello studio di Nadar, uno dei più celebri e capaci giornalisti e fotografi del XIX secolo, fu inaugurata la prima mostra del gruppo Societé anonyme des peintres, sculpteurs et graveurs, composto, fra gli altri, da Monet, Degas, Renoir, Pissarro, Sisley, Cézanne e dalla pittrice Berthe Morisot. Era la prima mostra collettiva dei futuri impressionisti. Complessivamente, gli impressionisti tennero otto mostre collettive, tutte a Parigi: nel 1874, 1876, 1877, 1879, 1880, 1881, 1882 e 1886.
Con i loro quadri, gli impressionisti scelsero di raccontare la vita reale, la vita di tutti i giorni, anche i momenti in apparenza più banali. In tal senso, essi raccolsero l’eredità dei realisti, la cui pittura, tuttavia, era stata dominata soprattutto dai soggetti proletari. Gli impressionisti, invece, vollero in parte “aggiornare” il riferimento alla vita reale con la rappresentazione della vita moderna e, in particolare, della borghesia, i cui usi e costumi mai, prima di allora, erano stati così attentamente e appassionatamente documentati. Per i realisti, la pittura era stata una occasione d’impegno, uno strumento per dar voce a chi voce non aveva, gli umili, i diseredati. Impressionismo.
Gli impressionisti continuarono ad eleggere la realtà, la vita vera come privilegiato campo di indagine; tuttavia, a differenza dei realisti non furono interessati agli aspetti più prettamente politici del loro mestiere. I pittori impressionisti vollero dipingere solo ciò che vedevano; un paesaggio valeva quanto una prostituta, una signora per bene quanto una lavandaia. Tutto ciò che attirava la loro attenzione, tutto ciò che reputavano interessante poteva diventare il soggetto di un quadro.
Operando in tal modo, gli impressionisti sostituirono all’arte di concetto un’arte di percezione e rivendicarono all’opera il diritto di essere giudicata solo per sé stessa e non per la sua corrispondenza a princìpi generali e universali. Il pittore lavorava con i colori come il poeta con le parole; il soggetto dell’opera rappresentava un pretesto: lo scopo della pittura era il quadro.
Claude Monet (1840‑1926), per esempio, analizzò la realtà in molte delle sue manifestazioni e in tanti suoi aspetti. Decine e decine di opere di questo artista alternano soggetti urbani e rurali, pubblici e privati: lo splendore della campagna, il fascino dei corsi d’acqua, il giardino di casa ma anche Parigi con i suoi boulevards, i grandi viali alberati, le stazioni ferroviarie. Egli amò, soprattutto, dipingere i paesaggi sulle rive della Senna, all’aria aperta e nella luce naturale. I colori racchiusi nei tubetti di stagno, da poco inventati, e il cavalletto portatile gli consentivano infatti di lavorare direttamente sul posto. Impressionismo.
Le sue opere sono quanto emblematiche del nuovo stile impressionista: Monet volle fissare sulla tela il fluire regolare dell’acqua e l’aspetto mutevole delle cose legato alle variabili condizioni della luce. Così, egli stese sull’azzurro del fiume i rossi delle case, i verdi degli alberi, i bianchi delle vele delle barche da regata. Per lui non aveva alcuna importanza che i riflessi degli oggetti sull’acqua fossero, nella realtà, meno certi e fermi degli oggetti in sé: nella sua poetica, la percezione di un’immagine riflessa era concreta quanto quella delle cose reali e come tale andava rappresentata.
Così, fissò le note cromatiche sull’acqua senza domandarsi a cosa appartenessero veramente. Senza dubbio, i colori insistenti degli oggetti e dei loro riflessi risolvono la profondità in un solo piano; tuttavia, avrebbe risposto l’artista, lo spazio è profondo ma la retina è una superficie e la tela deve riproporre ciò che si era impresso nella retina del pittore. Con opere del genere, Monet sviluppò una concezione del tutto nuova della pittura.
Pierre‑Auguste Renoir (1841‑1919), a differenza di Monet, preferì ritrarre figure e gruppi, colti nell’immediatezza quotidiana, immersi in uno sfavillìo di luci e ombre, animati da vibrazioni luminose che otteneva con pennellate frammentate. I suoi dipinti vogliono quindi mostrarci uno spaccato della società francese del diciannovesimo secolo. Si tratta di capolavori, che tuttavia sconcertarono il pubblico per la loro insolita composizione e soprattutto per il trattamento rivoluzionario degli effetti di luce, che Renoir aveva tradotto unicamente per mezzo del colore senza ricorrere alla rappresentazione delle ombre e all’uso dei toni scuri. Impressionismo.
Talvolta, i personaggi appaiono perfino maculati da cerchietti di luce posati sui volti e sui vestiti, che restituiscono il gioco dei raggi solari filtrati attraverso i rami degli alberi. Le composizioni si svolgono dal primo piano verso lo sfondo, lungo diagonali ascendenti; il movimento dei personaggi è reso da una serie di linee curve; le figure, talvolta tagliate alle due estremità del quadro, suggeriscono la continuità dell’azione oltre i limiti della cornice e danno l’impressione che le scene siano sempre colte dal vivo.
Edgar Degas (1834‑1917) condivise con i suoi amici speranze e delusioni, partecipando alle mostre collettive del gruppo; tuttavia, non volle mai allinearsi completamente alle idee dei compagni. Egli fu sempre tormentato dall’esigenza di conciliare nella sua pittura il pressante bisogno di modernità con un profondo rispetto per gli artisti del passato.
Tutti i suoi dipinti, e gran parte dei pastelli e delle incisioni, non furono mai realizzati en plein air, ossia all’aria aperta e in modo estemporaneo, ma preceduti da un grosso lavoro preliminare. «Non c’è stata mai arte meno spontanea della mia», affermò una volta l’artista. «Quello che faccio è il risultato di riflessioni e studi sui grandi maestri. Dell’ispirazione, della spontaneità, del temperamento, io non so nulla». L’artista si pose dunque controcorrente all’interno di un movimento che propugnava l’immediatezza della realizzazione.
La diretta e penetrante osservazione del mondo esterno restò comunque un cardine nella pittura di Degas; egli amò dipingere i caffè più popolari di Parigi, frequentati abitualmente da operai, prostitute, artisti e scrittori bohémien. Il senso dell’immagine di Degas ricorda quello dei grandi fotografi. Il taglio fotografico delle sue scene è infatti volutamente ricercato, poiché l’artista intendeva costruire le sue scene come una tranche de vie, un pezzo di “vita vissuta” colto come d’improvviso. Impressionismo.
Degas amava molto il balletto e si recava spesso a teatro. Grazie a un suo amico musicista d’orchestra, ebbe il permesso di intrufolarsi anche dietro le quinte e nel foyer di danza dell’Opéra; poté, in questo modo, ritrarre le ballerine durante le prove o in attesa di salire sul palcoscenico. Le ragazze sono ritratte nei momenti di riposo e mentre si esercitano alla sbarra, si aggiustano il costume, sbadigliano, si massaggiano le caviglie indolenzite. Solo di rado l’artista volle rappresentarle durante gli spettacoli. Senza dubbio, il pittore fu molto più affascinato dalla possibilità di affrontare temi legati alla quotidianità.
Chi assiste a un balletto ammira la leggerezza e l’eleganza delle ballerine; le più brave sono capaci di compiere movimenti difficilissimi con assoluta naturalezza, senza apparente fatica. Ma questa non è la realtà; è, appunto, una finzione scenica. La quotidianità delle ballerine è fatta prima di tutto di stanchezza, sudore, mal di piedi, lividi e ferite.
E proprio di questo vogliono parlarci le opere di Degas, l’impressionista che non volle limitarsi a “vedere” rinunciando a “capire”. In fondo, la sua pittura è proprio come la danza: in apparenza facile e leggera, in realtà costruita con la fatica e il duro esercizio.
Quindi impressione visiva e non psicologica? va bene ma poi è inevitabile la reazione psicologica nell’osservatore: ancora oggi ammiriamo questi squarci di realtà trascorsa e filtrata dalle mani di maestri che furono rivoluzionari e ora i più apprezzati dalle signore e signori della borghesia di tutto il mondo.
Bello. Molto interessante anche per un profano come me , medico che si è sempre considerato negato per l’arte ma figlio di un grande scultore