menu Menu
La fucilazione: da Goya a Guttuso e Sassu
Quando la pittura denuncia la violenza e i soprusi di ogni guerra.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Arte Ieri Oggi – Data: Aprile 28, 2020 1 commento 8 minuti
Pablo Picasso e Albert Einstein: relatività e quarta dimensione Articolo precedente Guttuso: ora e per sempre, Resistenza Prossimo articolo

Versione audio:

Ci sono dipinti realizzati in un particolare contesto culturale e storico, che tuttavia hanno la straordinaria capacità di parlare a tutti, oltre la dimensione del tempo. Il loro significato è universale, trascende il riferimento immediato a fatti e situazioni, rimanda all’oggi e, probabilmente, anche al domani. È, questo, il caso di un quadro romantico, La fucilazione del pittore e incisore spagnolo Francisco Goya (1746-1828).

La fucilazione di Goya

Nel febbraio del 1808, il generale Gioacchino Murat, cognato di Napoleone Bonaparte, varcò con le sue truppe la frontiera con la Spagna. La reazione degli spagnoli a questa invasione fu orgogliosa e per certi versi eroica. Nonostante l’occupazione della Spagna da parte dei francesi sia durata fino alla caduta di Napoleone, si può affermare che mai il territorio spagnolo cadde totalmente sotto il controllo dell’esercito bonapartista. Le truppe francesi, infatti, furono sempre costrette a fronteggiare le azioni di guerriglia dei reparti irregolari, facendo ricorso, non di rado, a crudeli operazioni di rappresaglia.

Leggi anche:  Guttuso: ora e per sempre, Resistenza

Il 2 maggio del 1808, per esempio, Murat dette ordine di rastrellare la città di Madrid, catturare e condannare a morte tutti i popolani e i contadini che si trovavano per strada, con l’accusa di essersi ribellati all’invasione francese. Fucilazioni indiscriminate ebbero luogo all’alba del giorno dopo, nella Valle del Manzanares, alle falde della montagna del Principe Pio. Nel 1814, prima del ritorno di Ferdinando VII sul trono di Spagna, Goya si offrì di realizzare per il Consiglio di Reggenza due tele che documentassero proprio la spietata repressione dei moti antifrancesi del 1808, con «le più notevoli ed eroiche azioni e scene della nostra gloriosa insurrezione contro il tiranno d’Europa». Così dipinse il 2 maggio 1808: lotta contro i Mamelucchi e il 3 maggio 1808: fucilazione alla Montaña del Principe Pio, quest’ultima nota comunemente come La fucilazione.

Francisco Goya, 3 maggio 1808: fucilazione alla Montaña del Principe Pio (nota come La fucilazione), 1814. Olio su tela, 2,66 x 3,45 m. Madrid, Museo del Prado.

Martiri della libertà

Il dipinto vede protagonisti alcuni patrioti madrileni che attendono di essere giustiziati da un plotone di esecuzione senza volto. I soldati francesi, posti di fronte a loro, sono allineati in diagonale con le armi puntate, rigidi e meccanici come automi dispensatori di morte, fredde macchine di distruzione. La distanza minima dalle loro vittime rende l’evento ancora più violento e crudele. Un condannato in ginocchio, illuminato dalla luce della grande lanterna che esalta il candore della sua camicia, spalanca le braccia in un ultimo gesto pietrificato di protesta e disperazione insieme: un orgoglioso appello, finale e senza speranza, alla vita che le pallottole francesi stanno per annullare.

Francisco Goya, La fucilazione, 1814. Particolare.

Quasi in primo piano, accanto a questo moderno Cristo rivoluzionario, un cadavere crivellato dai colpi giace immerso in una pozza di sangue; presso di lui, un monaco tremante recita le sue ultime orazioni funebri: certamente, anch’egli sarà vittima della crudele esecuzione; alle spalle e alla destra di questo gruppo, altri patrioti procedono in processione verso il luogo dell’esecuzione, alcuni singhiozzando, coprendosi il volto con le mani. Sullo sfondo, si stagliano contro un cielo scuro le case di Madrid e il campanile di una chiesa che sembra voler simboleggiare la cristianità offesa dalla violenza.

Francisco Goya, La fucilazione, 1814. Particolare.

La celebrazione degli antieroi

I gesti di questi uomini esprimono un diverso ma sempre umano atteggiamento di fronte alla morte imminente: paura, stupore, rabbia, disprezzo, disperazione, e nella loro varietà amplificano la forza comunicativa e la drammaticità della scena. Non sono eroi, questi poveri e anonimi civili. Non accettano la morte, non sono andati a cercarsela, vorrebbero essere altrove. È la prima volta che un dipinto romantico celebra con tanta chiarezza la figura dell’antieroe, cioè della persona comune, protagonista della storia suo malgrado, capitata per caso o per destino negli ingranaggi crudeli degli eventi. Anche da un punto di vista formale, l’opera non ha precedenti.

Leggi anche:  Arte, regimi, Seconda guerra mondiale

La crudezza della scena, lo stile fortemente espressionistico, il rinnegamento della bellezza classica eleggono l’autore a vera radice del Romanticismo storico. Goya non esitò a deformare la realtà, ad affermare i valori del sentimento su quelli dell’imitazione per rendere più efficace la rappresentazione della storia: enfatizzò i gesti, accentuò le espressioni, alterò le proporzioni (l’uomo con la camicia bianca è alto come i soldati, pur essendo inginocchiato), usò i colori e la luce con un intento palesemente emozionale. Lo spettatore, percependo il terrore e l’angoscia che attanagliano le figure dei condannati, è profondamente coinvolto dall’opera d’arte. Dipingendo un oscuro episodio di storia contemporanea, Goya ha prodotto un’opera senza tempo, una celebrazione universale della libertà e dell’amor di patria.

La fucilazione di Guttuso

A 150 anni di distanza, fra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento, colsero appieno il valore di questa lezione gli artisti che scelsero l’arma della pittura per denunciare le violenze e i soprusi perpetrati dai regimi nazista e fascista. In Italia, Sassu e Guttuso, attraverso i loro quadri, denunciarono gli eccidi di persone innocenti, vittime dei rastrellamenti e delle rappresaglie nazifasciste. Sassu raccontò anche l’ultimo atto del secondo conflitto mondiale, definito la “guerra ai civili” da parte dei tedeschi in ritirata verso le Alpi. La fucilazione di Goya ispirò sia Fucilazione in campagna di Guttuso, sia Spagna 1937 di Sassu.

Fucilazione in campagna, dipinta da Renato Guttuso (1911-1987) nel 1938, venne dedicata al poeta spagnolo Federico García Lorca, giustiziato dai franchisti durante la guerra civile in spagna. La scena, intensamente cruda, è drammatica ed è costruita da colori vividi, a tratti perfino violenti, tra i quali predomina un rosso che Guttuso propone in tutte le sue possibili qualità espressive. Esplicita è la citazione di Goya, nel cadavere riverso a faccia in giù con le braccia aperte. Come altre opere dell’artista, è un quadro di forte impegno civile, in cui il pittore grida apertamente la sua ribellione contro gli orrori della guerra. Scrisse infatti Guttuso: «Questo è tempo di guerra e di massacri: Abissinia, gas, forche, decapitazioni, Spagna, altrove». Anche questo dipinto nasce dunque per omaggiare «tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio, per le loro idee».

Renato Guttuso, Fucilazione in campagna, 1938. olio su tela, 99 x 74 cm. Roma, Galleria Nazionale d’Arte moderna.

Le fucilazioni di Sassu

Anche la composizione di Spagna 1937 di Aligi Sassu (1912-2000) ricalca quella del capolavoro di Goya, con gli aguzzini sulla destra e i condannati sulla sinistra. Incombe nell’opera un profondo senso di tragedia imminente; la durezza delle forme e la forza comunicativa del colore, definito dall’artista «un esclusivo, violento, duttilissimo strumento del linguaggio della libertà», trasfigurano pittoricamente una realtà dolorosa nel mito. Le pennellate dense, mobili e nel contempo vigorose amplificano la drammaticità dell’evento. Sassu pagò il suo radicale impegno antifascista, proprio nel 1937, con la condanna a dieci anni di reclusione, ridotti in seguito a diciotto mesi, scontati nelle carceri di Milano e Roma.

Aligi Sassu, Spagna 1937, 1939. olio su tela, 61 x 93 cm. Lugano, Fondazione Aligi Sassu e Helenita Olivares.

I martiri di Piazzale Loreto

I martiri di Piazzale Loreto di Sassu fu, invece, ispirato a un eccidio avvenuto il 10 agosto 1944 in Piazzale Loreto a Milano. Quindici partigiani, prelevati dal carcere di san Vittore, vennero fucilati e i loro cadaveri esposti al pubblico dai fascisti, per ordine del comando di sicurezza nazista come ritorsione a un attentato (in cui, peraltro, non rimase ucciso alcun soldato tedesco ma sei cittadini milanesi). Sassu dipinse di getto questa scena cruenta, turbato dal brutale assassinio. «Ho dipinto I martiri di Piazzale Loreto – spiegò l’artista – nell’agosto 1944, subito dopo aver visto il ludibrio che la canaglia repubblichina faceva dei corpi dei nostri fratelli. Eppure vi era in me, nel fuoco e nell’ansia che mi agitava, nel cercare di esprimere quello che avevo visto, una grande pace e non odio, ma una tristezza immensa per la lotta fratricida. Da quei corpi sanguinanti e inerti sorgeva un monito: pace, pace».

Aligi Sassu, I martiri di Piazzale Loreto, 1944. Olio su tela. Roma, Galleria Nazionale d’Arte moderna.
Leggi anche:  Fotografi di guerra: ieri, oggi
Una fotografia d’epoca della strage di Piazzale Loreto, 10 agosto 1944.


Articolo precedente Prossimo articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Annulla Invia commento

keyboard_arrow_up