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Il Laocoonte
Un capolavoro della scultura greca ellenistica.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in La civiltà greca – Data: Gennaio 20, 2020 4 commenti 3 minuti
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Nell’antica Grecia, in età ellenistica, alcune città, fra cui Rodi, Pergamo e Alessandria, ebbero eccezionale fioritura e dettero grande impulso allo sviluppo dell’arte, rinnovando il tradizionale linguaggio espressivo. A Rodi si affermò una importante scuola di artisti, dei quali si ricorda la straordinaria produzione di opere in bronzo e in marmo. Tra queste, un indiscusso capolavoro è considerato il gruppo scultoreo del Laocoonte. Ritrovato nel 1506 tra le rovine delle Terme di Tito a Roma, questo eccezionale capolavoro impressionò enormemente gli artisti rinascimentali, in particolare Michelangelo, che lo definì «un portento d’arte».

Laocoonte, probabile copia antica da un originale in bronzo della metà del II sec. a.C. Marmo, altezza 2,42 m. Roma, Musei Vaticani.

L’opera, firmata da Aghesandro, Polydoro e Athenodoro, è stata ritenuta per lungo tempo un originale. Ciò sulla scorta di una frase di Plinio, che scrisse di averla ammirata nella casa dell’imperatore Tito: «opera che è da anteporre a tutte le cose dell’arte sia per la pittura sia per la scultura. Da un solo blocco per decisione di comune accordo i sommi artisti Agesandro, Polidoro e Atanodoro di Rodi fecero lui e i figli e i mirabili intrecci dei serpenti».

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Oggi questo gruppo scultoreo è tuttavia considerato, da parte della critica, un’ottima copia risalente all’età di Tiberio, di un originale in bronzo del II secolo a.C. (probabilmente del 150 a.C. ca.), realizzata da una bottega di eccellenti copisti che usavano firmare il proprio lavoro.

L’autore del Laocoonte volle tradurre in opera scultorea un celebre tema letterario, tratto dal ciclo epico della guerra di Troia e ripreso successivamente dall’Eneide di Virgilio: il dramma del sacerdote troiano, punito da Poseidone (o, secondo altre fonti, da Atena) per aver tentato d’impedire l’ingresso a Troia del cavallo di legno (con i soldati greci nascosti dentro). Morì infatti stritolato da due serpenti, assieme ai suoi figli, Antifate e Timbreo. E proprio la morte del sacerdote fu scelta dall’artista come soggetto per la sua scultura.

Laocoonte, particolare.

Il pathos del sacerdote troiano è diluito in accademica pateticità. L’uomo, seduto su un altare lapideo, sofferente e disperato, si contorce nel tentativo di liberare dalle spire dei rettili sé stesso e i ragazzi, che a lui si rivolgono imploranti, chiedendo aiuto. Il figlio a sinistra dell’osservatore sembra ormai prossimo alla morte.

Laocoonte, particolare.

Laocoonte si torce alla propria destra mentre un serpente lo morde al fianco sinistro. Lo spasimo contrae il volto del sacerdote, la sua bocca è dischiusa, lo sguardo è rivolto al cielo.

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Laocoonte, particolare.
Laocoonte, particolare.

Proprio l’espressività, unita alla rappresentazione del movimento, è sicuramente uno dei tratti più caratterizzanti di quest’opera ellenistica, che per altri versi si dimostra, invece, ancora debitrice della cultura classica. Risulta impensabile, infatti, che quel corpo muscoloso, degno di un atleta olimpionico, potesse appartenere, nella realtà, a un vecchio sacerdote.

Laocoonte, particolare.

Quest’opera potrebbe indurre a parlare di decadenza della scultura. L’ellenismo, in effetti, mirò a esasperare i toni per rendere l’arte più toccante: ma se a noi questo può sembrare un procedimento forzato, è vero che per gli antichi l’esasperazione dei gesti in statue come questa era fonte di commozione.

L’età ellenistica Marmo Musei Vaticani


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