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Francesco Mazzola (1503-1540), detto Parmigianino dalla città di nascita, è certamente una figura di artista fra le più originali del Manierismo italiano. Attraverso le sue Madonne, egli creò un nuovo canone di bellezza femminile ideale e irreale; egli dispensò la materia da un riferimento troppo rigoroso alla verosimiglianza naturalistica, alla naturale costituzione di stoffe, capelli, membra e incarnati. Il corpo eccessivamente longilineo, il collo allungato simile a quello di un cigno, la testa piccola e affusolata, le mani diafane, le carni molli e rosate della Madonna dal collo lungo si presentano come il traguardo di questa sua ricerca.
L’opera fu commissionata da Elena Baiardi per la sua cappella nella Chiesa dei Servi a Parma e dipinta intorno al 1535. Rimasta parzialmente incompiuta nello studio del pittore a causa della sua morte prematura, giunse a destinazione solo nel 1542. La figura di Maria domina il primo piano; dietro di lei, un fusto di colonna senza capitello è l’unico elemento completato dall’artista di quello che avrebbe dovuto essere un tempio monumentale (forse il Tempio di Salomone, luogo di saggezza); lo spazio intorno è simbolico e misterioso e la Vergine vi appare ermetica, astratta, irraggiungibile, rivestita di abiti che sembrano impalpabili, isolata nella sua bellezza.
Il sistema prospettico è ambiguo e risulta difficile comprendere l’entità delle distanze, sicché non si può dire quanto sia alto davvero il magro San Gerolamo con cartiglio (sulla destra), che otticamente risulta molto vicino al gruppo in primo piano e di conseguenza microscopico.
In un dipinto tanto sofisticato nei contenuti e negli esiti formali, la curiosa scelta iconografica è precisa: la colonna, simbolo di incorruttibile purezza e quindi dell’Immacolata Concezione, rimanda direttamente alla Vergine e anche il collo di Maria, secondo la simbologia medievale, presenta un’analogia formale proprio con la colonna. La colonna è infatti uno dei principali attributi mariani. Il suo simbolismo trova origine nell’Antico Testamento: nel Cantico dei Cantici, infatti, il collo della “sposa” è paragonato appunto a una colonna. Questo passo è poi ripreso da un inno medievale che recita: «Il tuo collo è come una colonna, torre d’avorio». Il tema della colonna, nell’opera del Parmigianino, è tuttavia amplificato e tutto lo snodo del corpo insiste su questo paragone.
Anche la preziosa anfora ovale, che uno degli angeli assiepati asimmetricamente sulla sinistra tiene fra le mani, è d’altro canto simbolo della Vergine, considerata il “vaso mistico” in cui avvenne la concezione, ossia l’incipit del processo che avrebbe portato Cristo sulla croce. E difatti il Bambino, rappresentato come in una Pietà, dorme abbandonato sulle ginocchia della madre, probabilmente prefigurando la sua futura morte, mentre sulla superficie convessa dell’anfora egli si specchia miracolosamente nell’immagine della sua futura crocifissione.
Quoi ? L’eternité
uno stupendo manierista