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Il pittore realista francese Jean-François Millet (1814-1875) dedicò tutta la sua carriera alla rappresentazione della vita quotidiana dei contadini, dei pastori, dei taglialegna. Il suo realismo, fondato sulla conoscenza dei maestri del passato e sulla sensibilità contemporanea, soprattutto romantica, si tinse di un certo misticismo. «Perché mai – scrisse – il lavoro di un piantatore di patate o di un piantatore di fagioli dovrebbe essere meno interessante o meno nobile di qualsiasi altra attività? Si dovrebbe riconoscere che la nobiltà o la bassezza risiedono nel modo in cui tali cose vengono comprese o rappresentate, non nelle cose in sé».
E ancora: «Il fondo di tutto è sempre questo: bisogna che un uomo sia prima di tutto colpito per poter colpire gli altri, e tutto ciò che è teorico, per quanto abile sia, non può raggiungere questo scopo poiché non ha il soffio della vita». Nel suo lavoro di pittore, Millet disdegnò sempre i nudi e i soggetti mitologici: come scrisse nel 1851, non lo interessavano. «A costo di passare ancor più per socialista, è il lato umano, schiettamente umano, quello che in arte mi tocca di più».
Velate dal filtro della memoria, le opere di Millet trasformano i gesti dei contadini negli atti di un pacato e commosso rituale agreste. Allo stesso modo, i soggetti più ricorrenti della sua pittura tendono a celebrare i valori della famiglia e in particolare si soffermano sulla figura della donna, generalmente rappresentata, nell’intimità della propria abitazione, mentre spazza la casa, inforna il pane, rammenda un vestito alla luce di una lampada, fila la lana, prepara il burro, si pettina accanto a una finestra, imbocca i figli piccoli.
Millet amò particolarmente il lavoro delle madri, che presentò sempre come forma di amorevole servizio e mai come faticoso dovere. Alcune volte, nei suoi dipinti, osserviamo che le mamme insegnano ai propri bambini a leggere o a lavorare. Compito della donna non è solo occuparsi della cura del corpo ma educare. Allo stesso modo, Millet volle celebrare la famiglia; spesso dipinse marito e moglie che si occupano insieme di qualcosa; spesso collocò una madre con il bimbo in braccio accanto al compagno che innesta un albero o aggiusta un attrezzo.
Lo stare insieme è, per l’artista, una forma di ricchezza, che rende accettabile anche la condizione più disagiata.
Quest’etica del lavoro rurale, questa religiosità della vita domestica garantirono a Millet un certo apprezzamento di pubblico. Furono soprattutto gli americani ad amare il suo talento: infatti, gran parte delle sue opere si trovano oggi in musei e collezioni degli Stati Uniti. D’altro canto, l’artista fu solo in parte interessato a interpretare il tema del lavoro dal punto di vista politico o sociologico: il cuore della sua pittura fu, semplicemente, l’uomo che lavora. E ciò rende sicuramente le sue immagini più vicine al cuore di tutti.
Anche per questo motivo, Millet fu l’artista che Van Gogh considerò sempre suo maestro ideale, quello cui riconobbe il più profondo debito di riconoscenza. «A mio modo di vedere – scrisse al fratello Theo – Millet, come uomo, ha indicato ai pittori una strada. […] Perciò lo ripeto: Millet è “papà Millet”, vale a dire il consigliere, la guida dei giovani pittori in tutto. […] Penso spesso a Millet quando sosteneva l’importanza del dolore umano come elemento essenziale e indispensabile ad ogni espressione della creatività artistica».
Del grande pittore realista lo colpì soprattutto l’intensa religiosità di alcune opere, in cui coglieva «qualcosa di unico e di profondamente buono»: «Con il passare del tempo mi rendo sempre più conto della fede religiosa di Millet. […] In questa sua forma di religiosità trovo uno spessore ben più profondo che nelle dottrine di nostro padre».
Tra il 1889 e il 1890, Van Gogh reinterpretò alcuni celebri capolavori di Millet: un omaggio più che esplicito al grande maestro realista. Fu lui stesso a spiegare il senso di questa operazione artistica: «A noi pittori verrà sempre chiesto di comporre autonomamente e di essere solo dei compositori. Bene – ma nella musica non è così – quando si suona Beethoven, si dà una propria interpretazione personale. […] Soprattutto ora, che sono malato, ho bisogno di gioia e di fiducia. Metto davanti a me come motivo il bianco e nero [delle riproduzioni] di Delacroix o di Millet […] e poi v’improvviso sopra col colore».
I soggetti che Van Gogh amò più di Millet furono quello del seminatore e quello del padre che posa a terra la vanga e apre le braccia verso la sua bambina, la quale, incerta, muove i primi passi verso di lui. Una tenera celebrazione di quegli affetti familiari che a Vincent furono sempre negati.
Bravissimo, grazie di cuore.
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