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I manichiniLe Muse inquietanti di de Chirico
Rappresentare il mistero della vita.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Il Novecento: gli anni Venti, Trenta e Quaranta – Data: Dicembre 29, 2020 0 commenti 5 minuti
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Il quadro Le Muse inquietanti fu dipinto dal pittore metafisico Giorgio de Chirico (1888-1978) a Ferrara nel 1917, in piena guerra. La Metafisica non è un vero e proprio movimento artistico; essa può definirsi, più correttamente, come una tendenza della pittura italiana del secondo decennio del Novecento, l’esito di un’operazione estetica, la manifestazione di un’espressione pittorica maturata principalmente proprio dalla ricerca di de Chirico.

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Il termine “metafisica”, applicato alla pittura, dev’essere letto, infatti, solo in senso letterale, come al di là della fisica. Secondo de Chirico l’arte non doveva avere alcun legame con la realtà, poiché il suo scopo non era rappresentare le cose così come sono ma scoprire la via primaria per mostrare il lato insolito e misterioso che si cela dietro l’apparente banalità della vita quotidiana. «Perché un’opera d’arte sia veramente immortale», scrisse de Chirico, «è necessario che esca completamente dai confini dell’umano: il buon senso e la logica la danneggiano», annullano il senso di mistero che ognuno di noi percepisce entro e oltre la visione reale.

L’artista metafisico si avvale pertanto di un linguaggio nuovo e a-logico, crea costantemente un clima di magia silenziosa, priva di dramma e di azione, e nelle sue opere ricerca il meraviglioso che affiora nel quotidiano. L’enigma, il mistero, lo spaesamento sono i veri protagonisti della sua pittura. Il repertorio figurativo della Metafisica costituisce, insomma, un universo simbolico da interpretare, dove gli oggetti, accostati in maniera insolita, sono la chiave per risolvere l’enigma.

I manichini

A partire dal 1915, de Chirico popolò i suoi dipinti di figure solenni, monumentali e molto plastiche, simili a manichini, che via via definiva nel titolo con termini diversi: “pensatori”, “vaticinatori” (ossia indovini), “filosofi”, “saggi”. I manichini di de Chirico, evocativi e misteriosi, essendo privi di occhi, orecchie e bocca, evocano l’impossibilità di vedere, udire e parlare. Tuttavia, ricordando i poeti e gli indovini della mitologia classica, richiamano anche la capacità superiore di indagare la realtà oltre la sua apparenza fenomenica.

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Forse, essi sono anche gli emblemi di stati d’animo melanconici, di una solitudine eroica ed epica; forse simboleggiano un’umanità che rischia di disumanizzarsi. Lo lasciò intuire l’artista medesimo, quando scrisse, nel 1942: «Il manichino è un oggetto che possiede a un dipresso l’aspetto dell’uomo, ma senza il lato movimento e vita; il manichino è profondamente non vivo e questa sua mancanza di vita ci respinge e ce lo rende odioso. Il suo aspetto umano e nello stesso tempo mostruoso, ci fa paura e ci irrita.

Quando un uomo sensibile guarda un manichino egli dovrebbe essere preso dal desiderio frenetico di compiere grandi azioni, di provare agli altri ed a se stesso di che cosa è capace e di dimostrare chiaramente ed una volta per sempre che il manichino è una calunnia dell’uomo e che noi, dopo tutto, non siamo una cosa tanto insignificante che un oggetto qualunque possa assomigliarci».

Giorgio de Chirico, Il Grande Metafisico, 1917. Olio su tela, 104,5 x 69,8 cm. New York, The Museum of Modern Art (MoMA).
Giorgio de Chirico, Il Vaticinatore, 1915. Olio su tela, 88,5 x 69,5 cm. New York, The Museum of Modern Art.

Le Muse inquietanti

Nel capolavoro di de Chirico, Le Muse inquietanti, la scena è una piazza, priva di persone ma con due manichini-vestali dalle teste ovoidali. Questi manichini appaiono chiaramente collocati in un contesto illogico, in una realtà cristallizzata e sospesa al di fuori del tempo.

Giorgio de Chirico, Le Muse inquietanti, 1917. Olio su tela, 97 x 66 cm. Milano, Collezione Mattioli.

La figura in piedi ha il corpo formato dal fusto di una colonna ionica, il busto muscoloso di una scultura classica e la testa da manichino sartoriale, priva di occhi e bocca. La figura seduta presenta delle curiose linee tratteggiate, tipiche dei modelli di sartoria, ha il capo appoggiato ai suoi piedi e rimanda alle figure arcaiche delle madri etrusche e romane con le braccia raccolte sul ventre. Una terza figura sullo sfondo, con il capo privo di volto, ricorda una scultura antica.

In primo piano, notiamo una scatola colorata, simile a quelle usate per vendere i dolciumi (richiamati dalla colonnina tortile lì accanto che sembra un bastoncino di zucchero). La pavimentazione della piazza è composta da assi di legno che ricordano l’immagine di un palcoscenico. Sullo sfondo, a destra, il castello estense di Ferrara e, a sinistra, una fabbrica con alte ciminiere rosse sembrano vuoti e abbandonati.

Giorgio de Chirico, Le Muse inquietanti, 1917. Particolare.

Un dialogo con il mistero

Bloccate, nel silenzio di questa piazza così ampia e profonda, con quell’improbabile panorama formato dal castello (simbolo di un passato glorioso ma irrimediabilmente perduto) e dalle ciminiere in disuso (squallidi simboli di modernità), queste “muse” sono immobili, come fossero in un palco vuoto che non attende pubblico. Sono presenze misteriose, che mai potranno rivelarci il loro inaccessibile segreto. Inquietanti, perché devono suggerirci di andare oltre le apparenze e farci dialogare col mistero.

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I colori del quadro, tutti giocati sui toni del rosso-marrone, sono corposi ma privi di vibrazioni atmosferiche; la luce è bassa, come al tramonto, e le ombre appaiono lunghe e nettamente definite. Ogni cosa appare irreale in questo ambiente di sogno, dove tutto è immobile e dove non si scorge presenza umana: non è un ambiente realmente vivibile, solo un manichino può abitarvi, giacché esso ha l’aspetto dell’uomo ma non ne possiede di certo l’anima.


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