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Paul Cézanne (1839-1906) è stato uno dei più importanti pittori del XIX secolo. La sua vicenda umana e artistica incrociò la strada degli impressionisti, cui normalmente viene accostato. In verità, Cézanne non fu mai un vero impressionista. Possiamo dire che nella storia di questo movimento si possono individuare ben due figure per certi versi anomale: una è quella di Manet, il quale fu molto vicino agli impressionisti, per amicizia e (almeno in parte) per unità d’intenti ma che non si considerò mai un impressionista; l’altra è quella di Cézanne, che fece parte ufficialmente del gruppo senza, di fatto, condividerne finalità e obiettivi.
I quadri di Cézanne non riprodussero mai ciò che gli occhi dell’artista vedevano ma proposero una sua personale interpretazione della realtà. Si tratta quindi di opere all’apparenza bizzarre e sconcertanti, in realtà concettualmente assai complesse, che prendono le distanze dall’accademismo e, nel contempo, dalla cosiddetta rivoluzione impressionista: opere che lasciavano disorientato il pubblico e che indignavano la critica ben più dei quadri “dal vero” degli amici di Cézanne.
Ma, come ha scritto un grande storico dell’arte del XX secolo, Ernst Gombrich, se «non stupisce che le pitture di Cézanne siano state da principio derise come pietose croste, non è difficile però scoprire la ragione di questa goffaggine. Cézanne aveva deciso di non accettare per dato nessun metodo pittorico tradizionale, ha voluto ricominciare daccapo, come se non fosse esistita pittura prima di lui».
Fu Pissarro che, nel 1874, lo invitò a partecipare alla prima esposizione collettiva del gruppo impressionista, organizzata nello studio di Nadar. In quella occasione, Cézanne espose tre tele. A questa prima mostra impressionista, le sue opere ricevettero un’accoglienza molto negativa. In effetti, la pittura di Cézanne si configurò subito come assai diversa da quella, già di per sé rivoluzionaria, di Monet e Renoir. Dagli amici impressionisti, Cézanne aveva imparato a dipingere en plein air e a ricercare la massima luminosità dei colori: l’esperienza impressionista, tuttavia, rappresentò per lui solo l’inizio di una tormentata ricerca personale.
Cézanne saltò la seconda mostra degli impressionisti, tenuta nel 1876; partecipò invece alla terza mostra impressionista, nel 1877, presentando sedici dipinti. Anche in questa seconda occasione ottenne la più totale disapprovazione dei critici, pure di quelli più clementi nei confronti del movimento impressionista, e persino gli altri pittori del gruppo si dimostrarono molto tiepidi nei suoi confronti. Tale risultato fallimentare spinse l’artista a cercare spesso rifugio ad Aix o a l’Estaque (un piccolo villaggio di pescatori che si affaccia sul Golfo di Marsiglia, in Provenza), dove decise di intraprendere, solitario, una strada che progressivamente lo avrebbe allontanato dall’Impressionismo.
Tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta, la pittura di Cézanne subì una profonda trasformazione. I suoi dipinti cominciarono a caratterizzarsi per una tavolozza più chiara, per l’adozione di pennellate brevi e oblique, per l’uso costante delle linee di contorno e soprattutto per la continua ricerca di espressione volumetrica che si risolve nel rigore geometrico e nella semplicità monumentale. Questo cosiddetto periodo costruttivo ebbe inizio con una serie di dipinti realizzati all’Estaque. Al mare e alle case del borgo, Cézanne dedicò molte tele.
In L’Estaque, del 1878-79, la natura è riprodotta con un linguaggio lontanissimo da quello impressionista. La tavolozza è ridotta a pochi colori complementari (rosso-verde, giallo-azzurro), densi e profondi, stesi a pennellate parallele. Il disegno è marcato, quasi assente il chiaroscuro, l’immagine è bidimensionale e priva di effetto prospettico: il mare sembra infatti elevarsi in verticale, quasi fosse una parete, e la relazione “primo piano-fondo” diventa “sotto-sopra”, come nei mosaici ravennati e nella pittura medievale (che Cézanne amava molto).
Le case, infine, sono ridotte a elementi geometrici, quei “cubi” che tanto avrebbero suggestionato, trent’anni dopo, Picasso e Braque. È chiaro che a Cézanne non interessarono gli aspetti mutevoli della natura ma la sua essenza: la verità, secondo l’artista, è del tutto indipendente dalle accidentalità del tempo che scorre o dell’atmosfera che muta e soprattutto non può essere condizionata dalle “impressioni” di chi guarda. Cézanne, per dipingere, ha osservato la realtà, e questo è ovvio, ma non ha riportato sulla tela ciò che ha visto: egli, andando oltre le apparenze, ci ha proposto solo quanto la mente gli ha suggerito. Il suo non fu mai un vedere fisico ma un vedere interiore, in un rapporto molto più intimo e profondo con la vita.
C’è, in effetti, qualcosa di arcano e di misterioso nei paesaggi di Cézanne. Per quanto ci appaiano, indubbiamente, come il frutto di un’operazione mentale dell’artista, impegnato nel superamento del linguaggio impressionista, essi riescono a incantarci come e forse anche più delle marine di Courbet e di Monet. La ricerca di Cézanne fu difatti intellettuale e spirituale insieme. Nell’esaltazione costante del colore, presentato puro e nella sua essenza, l’artista volle cristallizzare il suo vivissimo sentimento della bellezza, la quale è astratta e concreta a un tempo. I colori di Cézanne, infatti, non esistono solo in funzione di ciò che viene guardato ma sono la sostanza prima e ultima della sua pittura: non rivestono le forme ma diventano forma essi stessi.
In questo senso, ogni suo paesaggio ha quasi il valore di una icona, è una vera e propria “epifania” della natura. I suoi azzurri, in particolare, tonanti e pieni di sole, non sono la semplice riproduzione dei colori del mare e del cielo mediterraneo: costituiscono, al contrario, un simbolo di eternità. «Quasi fosse l’oro di Costantinopoli – scrive, poeticamente, lo storico dell’arte Marco Goldin – passato però per il vero della natura e dell’anima.
E nel mezzo, tutta la bellezza che l’universo conosce, dei luoghi e del pensiero, la luce e il cuore quieto di chi contempla; o piuttosto, il cuore trafitto di colui che cede di fronte all’infinito». Fu per questo che Cézanne si recò in Provenza: «per incontrare la bellezza, farsela compagna, provare con forza e struggimento a dirla, a dipingerla. Costruire sovrane misure di armonia al contatto con l’aria, con la luce dell’atmosfera».