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Ulay è lo pseudonimo di Frank Uwe Laysiepen (1943-2020), artista, fotografo e performer tedesco. Figlio di un gerarca nazista, rimasto orfano prematuramente, cresciuto con un gravoso senso di colpa per le azioni della sua famiglia, ebbe un’adolescenza e una giovinezza assai tormentate. Inquieto, perennemente insoddisfatto, alla fine degli anni Sessanta abbandonò moglie e figlio per trasferirsi ad Amsterdam, dove lavorò come fotografo. In particolare, si dedicò all’uso artistico della Polaroid, lavorando sui temi dell’identità sessuale e di genere, sugli stereotipi e i pregiudizi, con immagini spiazzanti, tra cui gli autoritratti con mezzo volto truccato da donna.
Nel 1976, il 30 novembre, giorno di nascita di entrambi, conobbe Marina Abramović, e fu amore a prima vista. «Ci sono coppie che, quando iniziano a convivere, comprano pentole e padelle. Ulay ed io cominciammo a progettare di fare arte insieme»: così ricorda Marina nella sua autobiografia. Nacque, così, uno dei più formidabili sodalizi della storia dell’arte contemporanea. Nel corso dei successivi dodici anni, all’inizio dei quali vissero, per tre anni, anche nomadi in un furgoncino, Marina e Ulay realizzarono, insieme, alcune straordinarie performances, intitolate, nel loro complesso, Relation Works, attraverso le quali vollero esplorare i limiti della loro resistenza fisica e psichica e, al contempo, spiazzare e provocare il pubblico.
Nel luglio del 1976, per esempio, i visitatori della Biennale di Venezia assistettero alla loro performance Relation in space, durante la quale Marina e Ulay, completamente nudi, per un’ora, camminavano uno verso l’altro, prima sfiorandosi, poi urtandosi, sempre più velocemente e sempre più violentemente. «Eravamo innamorati – ricorda Marina – avevamo una relazione molto intensa e gli spettatori non potevano non percepirla. Ovviamente c’erano molte altre cose che ignoravano, e molte altre che proiettavano su di noi mentre continuavamo a ripetere quella strana azione. Chi eravamo? Perché ci scontravamo? Nella collisione c’era ostilità? Oppure c’era amore, o pietà?».
Imponderabilia, proposta alla Galleria d’arte Moderna di Bologna nel 1977, è sicuramente la loro performance rimasta più celebre: si posero nudi, uno di fronte all’altra, a breve distanza, obbligando i visitatori a passare fra di loro strofinandosi contro i loro corpi. Così facendo, obbligarono ognuno ad affrontare il proprio imbarazzo, a decidere se rinunciare o passare toccandoli e, nel caso, se voltarsi dalla parte dell’uomo o della donna. In tre ore, circa 350 persone attraversarono quella “porta vivente”, fino a quando le forze dell’ordine non interruppero la performance accusando gli artisti di atti osceni in luogo pubblico.
Nel 1977, durante Expansion in space, al centro di un parcheggio sotterraneo a Kassel, nudi, Marina e Ulay si davano le spalle, appoggiati uno alla schiena dell’altro, e da questa posizione si muovevano per andare a sbattere contro due pilastri di legno alti 4 metri e posti di fronte a loro. Dopo l’urto, i due ritornavano nella posizione iniziale, per poi ricominciare. Ad ogni colpo, i pilastri si spostavano impercettibilmente. Già il titolo ci invita a riflettere sul fatto che è nostro diritto prendere a testate la realtà, fino a conquistarci lo spazio che riteniamo di meritare.
Light/Dark si svolse alla Fiera Internazionale dell’Arte di Colonia, nel 1977. Tale performance venne successivamente replicata, nel 1978, in uno studio di Amsterdam e filmata. I due artisti, inginocchiati uno di fronte all’altra, si schiaffeggiarono alternativamente con forza e sempre più velocemente per venti minuti.
Durante Breathing in / Breathing out, registrata nel 1977 a Belgrado, Ulay e Marina rimasero incollati bocca contro bocca per quasi venti minuti, respirando uno il fiato dell’altra, sino a svenire per la mancanza di ossigeno.
Relation in Time si svolse nel 1977 presso la Galleria Studio G7 di Bologna. In questo caso, Marina e Ulay, seduti schiena contro schiena, erano legati tra loro per i capelli. Rimasero in silenzio per sedici ore. Il tema affrontato era quello del legame amoroso, che talvolta inscindibile non necessariamente maturava una reale capacità di comunicazione.
AAA: durante questa performance del 1978, i due artisti si urlarono sulla faccia a vicenda, fino allo sfinimento. Ulay fu il primo a rinunciare. La performance, ripresa a Liegi, in uno studio televisivo senza pubblico, indagava il tema del rapporto di coppia, spesso teso alla reciproca sopraffazione.
Rest Energy, sicuramente la performance più pericolosa, venne registrata nel 1980 al Filmstudio Amsterdam: Ulay, per quattro minuti e venti secondi, resse un arco, con la corda tesa e una freccia puntata al cuore di Marina. Dei microfoni applicati sui loro vestiti amplificavano sia il battito cardiaco accelerato sia la respirazione irregolare dei due, per rendere testimonianza della grande tensione emotiva. Il tema era quello della fiducia, «era la rappresentazione più estrema possibile della fiducia», per cui ci si può affidare e si può affidare la propria vita a un altro.
Dopo 12 anni di vita in comune e di di sodalizio artistico, Marina e Ulay decisero di lasciarsi e di chiudere il loro rapporto con una spettacolare performance di addio: The Wall Walk in China, durante la quale percorsero a piedi tutta la Grande Muraglia cinese, partendo dai capi opposti, per incontrarsi, dopo novanta giorni, al centro e salutarsi per l’ultima volta.
La separazione non fu indolore. Ulay, che si era spesso sentito oscurato dal carattere e dalla incontenibile verve della compagna, accusò Marina di aver tratto profitto da opere comuni e la denunciò. Mentre la carriera della Abramović continuò sempre più fulgida e carica di successi, Ulay cadde in un cono d’ombra; tornò alla fotografia, continuò con la performance ma il vigore artistico degli anni d’oro si era oramai spento.
Nel 2010, durante la spettacolare performance di Marina, The Artist is present, tenuta al MoMA di New York, Ulay si è si è seduto di fronte all’ex compagna, la quale, trasgredendo la ferrea regola che si impone in ogni sua performance (in quel caso, non doveva né parlare con il pubblico né toccarlo ma solo guardarlo), ha abbandonato temporaneamente la sua condizione di immobilità e commossa si è chinata verso il suo grande amore di un tempo, scambiando con lui poche parole. «Fu uno shock. In un attimo mi passarono davanti dodici anni della mia vita. Per me non era certo un visitatore come gli altri. Così, solo per quella volta, infransi le regole. Misi le mie mani sulle sue, ci guardammo negli occhi e, prima di rendermi conto di quello che stava accadendo, ci ritrovammo in lacrime». Il video di quest’ultimo loro incontro è diventato virale sul web e costituisce, veramente, la più toccante conclusione della loro storia personale e artistica.