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Masaccio, Masolino e Filippino nella Cappella Brancacci: le Storie di Pietro
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in L’età rinascimentale: il Quattrocento – Data: Ottobre 6, 2020 0 commenti 18 minuti
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Il ciclo pittorico che decora la Cappella Brancacci nella Chiesa del Carmine a Firenze è considerato uno dei capolavori assoluti del primo Rinascimento fiorentino. La sua realizzazione fu alquanto complessa e certo il totale, oltre che incomprensibile, silenzio dei dati archivistici non aiuta a ricostruirne le fasi. La decorazione della cappella fu commissionata ai pittori Masolino da Panicale (1383-1440) e Masaccio (1401-1428), probabilmente nel 1424, da Felice Brancacci, un ricco fiorentino mercante di sete nonché ambasciatore e avversario politico di Cosimo dei Medici, appena tornato da un’importante missione diplomatica presso il sultano d’Egitto. L’incarico era quello di realizzare un ciclo con le Storie di San Pietro, primo papa nonché santo protettore di Pietro Brancacci, fondatore della cappella.

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Masolino, Masaccio e Filippino Lippi, Affreschi della Cappella Brancacci, 1424-25 e 1485-87. Firenze, Santa Maria del Carmine.

La storia degli affreschi

Non è da credere che Masolino abbia iniziato il lavoro da solo, richiedendo in seguito l’intervento di Masaccio per subentrate difficoltà; il programma compositivo appare, infatti, molto calibrato e la ripartizione dei compiti attenta e riguardosa delle rispettive inclinazioni estetiche. I due artisti hanno chiaramente lavorato di comune accordo. Pietro, per esempio, è sempre perfettamente riconoscibile negli affreschi dell’uno e dell’altro, sia per la fisionomia (con barba e capelli bianchi e corti) sia per la veste, verde scuro con il mantello arancione. Inoltre, spesso i paesaggi proseguono da una scena all’altra.

Masolino, Masaccio e Filippino Lippi, Affreschi della Cappella Brancacci, 1424-25 e 1485-87, visione della parete sinistra. Firenze, Santa Maria del Carmine.
Masolino, Masaccio e Filippino Lippi, Affreschi della Cappella Brancacci, 1424-25 e 1485-87, visione della parete destra. Firenze, Santa Maria del Carmine.

Lo schema degli affreschi

Sono state attribuite a Masaccio le scene con la Cacciata di Adamo ed Eva, San Pietro in cattedra, San Pietro che risana gli infermi, il Battesimo dei neofiti e la Distribuzione dei beni; a Masolino il Peccato Originale, la Predica di San Pietro, la Guarigione dello storpio e la Resurrezione di Tabita.

Schema degli affreschi della Cappella Brancacci, con le attribuzioni degli autori. In verde sono evidenziate le scene dipinte da Masaccio, in azzurro quelle realizzate da Masolino e in rosa le parti, più tarde, eseguite da Filippino Lippi. Il riquadro bicolore in verde e rosa segnala la compresenza di Masaccio e Filippino Lippi.

Nel 1425 Masolino lasciò Firenze per trasferirsi in Ungheria, affidando l’opera nelle mani del collega; Masaccio, a sua volta, interruppe bruscamente le Storie di San Pietro per motivi ignoti. L’opera rimase incompiuta per alcuni anni, anche a causa dell’esilio dei Brancacci, che mancarono da Firenze tra il 1436 e il 1480. Il ciclo fu quindi completato solo alla fine del Quattrocento, dal pittore Filippino Lippi (1457-1504). Non è noto se e quanto questo artista rispettò il programma originale. È certo, però, che Filippino cercò di adeguare il proprio stile a quello dei più anziani maestri, e soprattutto di Masaccio, rendendo solenne l’impostazione delle figure e adeguando le cromie dei suoi affreschi a quelle dei precedenti, e questo al fine di garantire una certa omogeneità dell’insieme.

Il successo degli affreschi fu immediato e duraturo. Racconta il Vasari che i più grandi artisti del Rinascimento – fra i quali Beato Angelico, Leonardo e Michelangelo – si recarono a visitare la Cappella Brancacci, per studiare quella pittura e diventare «eccellenti e chiari».

Masolino, Peccato originale, 1424-25. Affresco. Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci.

Adamo ed Eva

Sullo spessore dell’arcone d’ingresso della cappella, Masolino e Masaccio realizzarono due episodi della Genesi che costituiscono gli antefatti della storia della salvezza, portata poi avanti da Cristo e dalla Chiesa, rappresentata da Pietro. Si tratta del Peccato originale, dipinto da Masolino a destra, e della Cacciata di Adamo ed Eva, affrescato da Masaccio a sinistra. Da una parte, Adamo ed Eva, in piedi, nudi, una accanto all’altro, stanno per mordere il frutto proibito che il Serpente dal volto di donna ha offerto loro. Dall’altra parte, l’uomo e la donna, caduti nella disperazione, sono cacciati da Paradiso Terrestre e obbligati a farsi carico delle proprie responsabilità. Essi provano anche vergogna, infatti Adamo si copre il volto con le mani mentre Eva nasconde il seno e il pube.

Masaccio, Cacciata di Adamo ed Eva, 1424-25. Affresco. Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci.
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San Pietro che risana gli storpi

Le pareti della Brancacci sono animate da un’umanità eroica, pienamente consapevole del proprio ruolo e conscia del proprio destino. Oltre alla drammaticità di Adamo ed Eva, accanto a Cristo, a Pietro e agli altri apostoli, entro scenari urbani moderni che fanno riconoscere il volto della Firenze quattrocentesca, Masaccio fa muovere personaggi tratti dalla strada, vestiti con abiti contemporanei: uomini veri e credibili, illuminati da una luce che proietta ombre sul terreno. Queste persone comuni partecipano all’evento storico o miracoloso attirando la nostra attenzione quanto e più dei protagonisti ufficiali.

Masaccio, San Pietro che risana gli storpi con la sua ombra, 1426-27. Affresco, 2,30 x 1,62 m. Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci.

Nel celebre episodio di San Pietro che risana gli storpi con la sua ombra, Pietro, seguito da Giovanni, cammina per strada e al suo passaggio alcuni infermi, sfiorati dalla sua ombra, guariscono miracolosamente. Il santo, investito del potere divino, è completamente distaccato dalla realtà circostante. L’osservatore è certamente portato a soffermarsi sugli invalidi, rappresentati con un realismo insospettabile per quei tempi.

Masaccio, San Pietro che risana gli storpi con la sua ombra, 1426-27. Particolare con gli storpi.

La strada sullo sfondo, con i suoi sporti in legno che sporgono dai muri, è una straordinaria testimonianza visiva della Firenze quattrocentesca. Secondo una tradizione, Giovanni ha le fattezze dello Scheggia, fratello di Masaccio e a sua volta pittore. L’uomo con la berretta rossa, che si regge sul bastone, sarebbe invece un ritratto dello scultore Donatello.

Masaccio, Distribuzione dei beni e morte di Anania, 1426-27. Affresco, 2,30 x 1,62 m. Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci.

Distribuzione dei beni e morte di Anania

La scena della Distribuzione dei beni e morte di Anania racconta l’episodio di Anania, un uomo che incaricato di offrire ai poveri il denaro ricavato da una vendita, ne trattenne di nascosto una parte e per questo motivo, colpito dalla punizione divina, cadde morto ai piedi di san Pietro. Protagonista assoluta dell’affresco è tuttavia la giovane donna in primo piano, bella, orgogliosa e grata, mostrata in piedi col suo bimbo in braccio mentre riceve l’elemosina dall’apostolo. Anche in questo caso, la scena è ambientata non a Gerusalemme ma nella Firenze del primo XV secolo. Tale scelta era sicuramente dettata dalla volontà di attualizzare gli episodi evangelici ed avvicinare la storia sacra al mondo degli spettatori dell’epoca.

Masaccio, Distribuzione dei beni e morte di Anania, 1426-27. Particolare con la donna e il bambino.

Il battesimo dei neofiti

Nel riquadro con Il battesimo dei neofiti, la scena più apprezzata dai critici rinascimentali, Pietro battezza la folla in nome di Gesù Cristo, servendosi di una ciotola. L’occhio corre da un personaggio all’altro, compiacendosi nell’ammirare una così grande varietà di atteggiamenti.

Masaccio, Battesimo dei neofiti, 1424-25. Affresco, 2,47 x 1,72 m. Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci.

Un giovane è inginocchiato nell’acqua mentre Pietro lo battezza bagnandogli i capelli; un secondo giovane, a destra, aspetta il suo turno tremando di freddo; e ancora un terzo, dal busto magro, si sta togliendo la veste e un uomo barbuto, ancora vestito, si sta slacciando il corpetto. L’effetto bagnato provocato dall’acqua che scorre sui capelli e sul perizoma del ragazzo in ginocchio è di una verosimiglianza magistrale.

Masaccio, Battesimo dei neofiti, 1424-25. Particolare del battezzato.

Alcuni personaggi assistono alla scena e certamente ritraggono notabili fiorentini dell’epoca, la cui identità non è stata riconosciuta. La gente comune diventa quindi partecipe di eventi certamente molto antichi ma che il tempo non ha privato del loro più intimo significato morale. «Come nell’ordine dello spazio, la prospettiva non allontana e disperde, anzi riporta ciò ch’è lontano in primo piano, così la storia, nell’ordine del tempo, riporta ciò che è remoto al primo piano del presente», perché «la storia, per quanto antica, è attuale nella coscienza che la pensa» (G.C. Argan): una storia che va intesa come teatro dell’azione dell’uomo, anche quando vengono messe in pratica le decisioni divine o se ne subiscono le conseguenze.

Masaccio, Il tributo, 1424-25. Affresco. Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci.

Il tributo

L’episodio più importante fra quelli illustrati da Masaccio è Il tributo. Questo affresco, dipinto dall’artista fra il 1424 e il 1425, è riconosciuto ancora oggi come un capolavoro assoluto di tutta l’arte rinascimentale. La scena illustra una pagina del Vangelo di Marco (17, 24-27), dove leggiamo che, a Cafarnao, gli esattori della cosiddetta “tassa del tempio”, un’imposta destinata al mantenimento dei sacerdoti e alla cura dell’edificio, chiesero a Gesù di pagare quanto doveva. Cristo osservò che i figli dei re non sono tenuti a pagare le tasse; ma per non dare scandalo ordinò a Pietro di andare in riva al lago di Tiberiade, gettare l’amo per pescare, tirare fuori il pesce che avrebbe abboccato e prendere la grossa moneta d’argento che questo aveva in bocca. Pietro ubbidì e con la moneta trovata pagò la tassa.

Masaccio, Il tributo, 1424-25. Particolare con Gesù e gli apostoli.

Il capolavoro masaccesco presenta contemporaneamente tre momenti di questa celebre pagina evangelica, secondo l’antica consuetudine, di origine medievale, di riunire più episodi in una stessa scena. Al centro campeggia Gesù che, imperturbabile, ordina a Pietro (palesemente perplesso) di andare a pescare; in fondo a sinistra, Pietro estrae la moneta dal pesce; in primo piano a destra, Pietro paga il gabelliere, cioè l’esattore. Si noti che Masaccio ha scelto di relegare il miracolo in una posizione secondaria, perché il miracolo in sé, alla fine dei conti, ha un’importanza relativa.

Masaccio, Il tributo, 1424-25. Particolare con la pesca miracolosa.
Masaccio, Il tributo, 1424-25. Particolare con il pagamento del tributo.

Un incrocio di sguardi

Tutti i fatti rappresentati sono sapientemente collegati dalla rete di sguardi dei protagonisti e dipendono dal gesto imperativo di Cristo, vero fulcro dell’episodio, cui si lega quello, subordinato e incerto ma umanissimo, di Pietro. L’apostolo, che ha la fronte corrugata e gli occhi interrogativi, sembra chiedere conferma di quanto Gesù gli ha appena ordinato: l’espressione del suo volto, il suo indicare nella stessa direzione esprimono, allo stesso tempo, domanda e disponibilità.

Masaccio, Il tributo, 1424-25. Particolare con San Pietro.
Masaccio, Il tributo, 1424-25. Particolare con gli apostoli.

Questo incontro d’occhi, tra Dio che ordina e l’uomo che non capisce, ma vuole capire, esalta il significato dell’opera (o almeno uno dei possibili significati): l’affermazione delle radici storiche dell’autorità di Pietro, strumento di Cristo nel mondo, e dunque della Chiesa di Roma, che nella figura del primo papa si identifica.

Masaccio, Il tributo, 1424-25. Particolare con San Giovanni.

I corpi dei personaggi, coperti da panneggi morbidi e ben chiaroscurati, sono costruiti sinteticamente, con ampie campiture e rapide lumeggiature bianche, e appaiono massicci e scultorei, come raramente era accaduto nella pittura precedente. Solo Giotto aveva ottenuto risultati analoghi. Le figure sono tutte illuminate da una precisa fonte di luce, coincidente con quella reale della finestra (posta in alto a destra, rispetto all’affresco); infatti, proiettano le loro ombre verso sinistra.

Un nuovo senso della prospettiva

Nonostante la mancanza di uno sfondo architettonico e la presenza di un solo edificio sulla destra, sia pure prospetticamente ben definito, l’opera offre una precisa misura dello spazio, affidata soprattutto al gruppo degli apostoli, che circondano a esedra il loro maestro e si guardano l’un l’altro piuttosto increduli dopo aver ascoltato un ordine tanto singolare.

Masaccio, Il tributo, 1424-25. Schema prospettico.

Vasari, grande estimatore di Masaccio, commentando Il tributo nelle sue Vite esaltò proprio tali «gesti sì pronti che veramente appariscon vivi». Le f­igure masaccesche sono concepite come vere e proprie statue dipinte, tipologicamente neoromane, e risentono non poco della frequentazione degli amici scultori: se l’impostazione generale della scena rimanda alla formella donatelliana del San Giorgio e il drago a Orsanmichele, gli apostoli richiamano scopertamente, anche in alcuni particolari somatici, il gruppo scultoreo dei Quattro Santi Coronati di Nanni di Banco a Orsanmichele.

Donatello, San Giorgio e il drago, 1416-20. Marmo, 40 x 120 cm. Firenze, Museo Nazionale del Bargello. Copia nella nicchia all’esterno della Chiesa di Orsanmichele. Firenze.
Nanni di Banco, Quattro Santi Coronati, 1412-16. Marmo, altezza 2 m ca. Firenze, Museo di Orsanmichele. Copia nella nicchia all’esterno della Chiesa di Orsanmichele. Firenze.

Appare appena estraneo allo stile di Masaccio solo il bel volto dolce e apollineo di Cristo, che difatti alcuni studiosi propendono ad assegnare a Masolino, notando una forte somiglianza con l’Eva del Peccato originale.

Masaccio, Il tributo, 1424-25. Particolare con Gesù.
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Guarigione dello storpio e resurrezione di Tabita

Nel registro superiore della parete destra si trova il contributo più importante di Masolino, ossia l’affresco con la Guarigione dello storpio e la resurrezione di Tabita. Si tratta di due episodi diversi, che secondo gli Atti avvennero rispettivamente a Lidda e a Giaffa. L’artista, tuttavia, decise di unificarli nel medesimo spazio.

Masolino, Guarigione dello storpio e resurrezione di Tabita, 1424-25. Affresco. Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci.

A sinistra, Pietro e Giovanni guariscono uno storpio davanti a una loggia, rappresentata in prospettiva. A destra, invece, presso la soglia di una casa, Pietro resuscita una donna cristiana di nome Tabita. Al centro, passeggiano inconsapevoli e incuranti due borghesi elegantemente vestiti. Sullo sfondo, si distende una Firenze rinascimentale magnificamente riprodotta, con le sue case merlate, le pertiche appese tra le finestre, le gabbie appese alle pertiche, le scimmiette sui davanzali.

Masolino, Guarigione dello storpio e resurrezione di Tabita, 1424-25. Particolare con gli edifici dello sfondo.

In questo caso emerge con grande chiarezza la profonda differenza tra l’arte già pienamente rinascimentale di Masaccio, che adotta uno stile sobrio e sintetico e ricerca la saldezza dei personaggi e l’intensità delle espressioni, e quella ancora tardogotica di Masolino, molto più incline a soffermarsi su dettagli accessori che tuttavia gli servono a rendere la scena ricca e piacevole. Inoltre, a differenza di quanto aveva fatto Masaccio nel suo Tributo, Masolino non cerca di unificare episodi diversi attraverso una concatenazione dei gesti e degli sguardi. Al contrario, mantiene i due miracoli di Pietro nettamente separati, come se avesse lavorato a due affreschi differenti.

Per molto tempo l’architettura dello sfondo è stata ricondotta alla mano di Masaccio: ipotesi che tuttavia oggi non è più sostenuta dagli studiosi. È chiaro, tuttavia, che in questa porzione di affresco Masolino ha deliberatamente scelto di richiamare lo stile del suo compagno di bottega.

Gli affreschi di Filippino

Nel 1485, Filippino Lippi (1457-1504) ricevette l’incarico di completare la Cappella Brancacci, lasciata incompiuta da Masaccio e Masolino. Questo artista, figlio del pittore Filippo Lippi, era molto stimato a Firenze, in quanto allievo prima del padre e poi di Botticelli.

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Masaccio e Filippino Lippi, Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra, 1427 (intervento di Masaccio) e 1485 (completamento di Filippino Lippi). Affresco. Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci.

Nella Brancacci, Filippino dipinse quattro episodi. La scena sulla parete sinistra, con la Resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra, è per metà di Masaccio, che vi lavorò nel 1427 dipingendo San Pietro in cattedra, sulla destra.

Masaccio, San Pietro in cattedra, 1427.

Tra i personaggi dipinti da Masaccio sono stati identificati alcuni artisti dell’epoca. Il gruppo all’estrema destra ritrae infatti Brunelleschi, Alberti, Masolino e Masaccio, che guarda verso l’osservatore; il giovane carmelitano in piedi sarebbe Filippo Lippi, padre di Filippino, che di Masaccio era stato allievo.

Masaccio, San Pietro in cattedra, 1427. Particolare. Ritratti di (da sinistra) Masolino, Masaccio, Alberti e Brunelleschi.
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Masaccio, San Pietro in cattedra, 1427. Particolare. Ritratto di Filippo Lippi (carmelitano in piedi a destra).

Il giovane Lippi intervenne dunque su un affresco già iniziato, completandolo con la scena che si estende dal centra a sinistra e illustra la Resurrezione di Teofilo.

Filippino Lippi, Resurrezione del figlio di Teofilo, 1485.

La grande scena della Disputa con Simon Mago e Crocifissione di san Pietro occupa la parte inferiore della parete destra e si distingue per la parte dedicata alla crocifissione del primo apostolo. Pietro, infatti, è già inchiodato alla croce a testa in giù e nonostante l’età avanzata vanta un fisico ancora pieno di vigore.

Filippino Lippi, Disputa con Simon Mago e Crocifissione di san Pietro, 1485-87. Affresco, 2,30 x 5,98 m. Firenze, Chiesa del Carmine, Cappella Brancacci.

L’affresco contiene alcuni ritratti di artisti. Si riconosce lo stesso Filippino, nel ragazzo bello e consapevole di sé, all’estrema destra, dietro Nerone sul trono; il giovane sotto l’arco, al centro dell’affresco, che guarda verso lo spettatore è Sandro Botticelli.

Filippino Lippi, Autoritratto, dalla Disputa con Simon Mago, 1485-87.
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Filippino Lippi, Crocifissione di san Pietro, 1485-87. Il personaggio al centro è Botticelli.

I restauri

Tra il 1983 e il 1990, gli affreschi della Brancacci sono stati sottoposti a una meticolosa campagna di restauro, che ha riportato la cromia dei dipinti agli antichi splendori e consentito il ritrovamento di due sinopie, ossia i disegni preparatori sottostanti a due affreschi, distrutti in età barocca: il Pentimento di Pietro di Masaccio e la Chiamata di Pietro di Masolino. In tale occasione sono state anche eliminate le fronde settecentesche che censuravano, anacronisticamente, i nudi di Adamo ed Eva.

Masaccio, Cacciata di Adamo ed Eva, prima e dopo il restauro. Firenze, Cappella Brancacci.


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