Puoi ascoltare il mio podcast su: Apple Podcasts | Google Podcasts | Spotify | Cos'è?
Il percorso artistico del pittore rinascimentale Tommaso di ser Giovanni (1401-1428), detto Masaccio, fu tanto breve (morì improvvisamente a soli 27 anni) quanto fulminante. La carriera di Masaccio è infatti paragonabile a quella di pochissimi pittori nella storia dell’arte occidentale. Filippo Brunelleschi e Donatello furono i primi a comprendere l’eccezionale portata innovatrice dell’opera masaccesca, che infatti sarebbe diventata un riferimento obbligato per tutta l’arte fiorentina del Rinascimento.
Finché Masaccio fu in vita, Brunelleschi lo tenne sempre sotto la sua ala protettrice. Secondo quanto ci riferisce il Vasari, Filippo, uomo dal carattere ruvido e poco incline ai sentimentalismi, rimase affranto per la scomparsa del giovane pittore; pare abbia affermato: «Noi abbiamo fatto in Masaccio una grandissima perdita».
Masaccio giunse a Firenze nel 1417, dalla provincia di Arezzo, e dimostrò sin dagli esordi il suo talento con il Trittico di San Giovenale, dove una Madonna col Bambino siede su di un trono raffigurato con un effetto prospettico. Fu nella città dei Medici che acquisì il soprannome affettuoso con cui è ancora oggi ricordato. Lo racconta ancora il Vasari, che scrive: «Fu detto da tutti Masaccio: non già perché e’ fusse vizioso, essendo egli la bontà naturale ma per tanta trascurataggine»; Masaccio, infatti, «si curava poco di sé e manco degli altri», concentrandosi unicamente sulla sua arte.
Nel 1423, Masaccio divenne socio di Masolino, pittore di formazione tardogotica. I due realizzarono insieme, nel 1424-25, la cosiddetta Sant’Anna Metterza, ossia una tavola con la Madonna e il Bambino accompagnati da Sant’Anna. In quest’opera Masaccio dimostrò una notevole perizia nell’esaltazione della struttura delle figure della Madonna e del Bambino ma anche nel saper rendere il senso del rilievo, del volume e della luce che segna e definisce le forme. Masolino, invece, dipinse Sant’Anna con un corpo privo di massa, raggiungendo risultati assai meno naturalistici.
I due pittori raggiunsero una maggiore unità d’intenti nella decorazione della Cappella Brancacci, nella Chiesa fiorentina del Carmine, anche perché, probabilmente, il più anziano Masolino si sforzò di adeguarsi al potente stile del giovane collega. L’opera sarebbe rimasta incompiuta.
Tra gli affreschi si distinguono due episodi della Genesi: il Peccato originale di Masolino e la Cacciata di Adamo ed Eva di Masaccio. Il primo risente del clima tardogotico in cui era maturata l’arte di Masolino. Nel secondo, Masaccio dipinge i progenitori dotandoli di corpi e sentimenti totalmente umani e li immagina investiti da una luce che appare reale e proietta ombre sul terreno.
Nell’affresco masaccesco, Adamo ed Eva, cacciati dal Paradiso terrestre dopo il peccato originale, caduti nella disperazione, devono farsi carico delle proprie responsabilità. Essi mantengono, tuttavia, la dignità umana di chi ha la possibilità di ricominciare.
Nella Cappella Brancacci, Masaccio dipinse alcuni episodi della vita di san Pietro, il più importante dei quali è considerato quello del Tributo, che presenta contemporaneamente tre momenti di un episodio evangelico. L’opera offre una precisa misura dello spazio, affidata soprattutto al gruppo degli apostoli che circondano a semicerchio il loro maestro e alla prospettiva dell’edificio posto sulla destra. La vivissima espressività degli apostoli, la loro ingenua e spontanea reazione alle parole di Cristo calano l’evento miracoloso in un contesto quotidiano e familiare.
La portata rivoluzionaria delle scene masaccesche è paragonabile solo a quella giottesca della Cappella degli Scrovegni a Padova. Le pareti della Cappella Brancacci sono animate da un’umanità eroica, pienamente consapevole del suo ruolo e conscia del suo destino.
Nelle Storie di San Pietro, sono continui i riferimenti alla vita reale e al mondo vissuto. Masaccio sceglie come protagonisti personaggi vestiti con abiti contemporanei, uomini credibili, illuminati da una luce che proietta ombre sul terreno. Gli sfondi degli episodi ricostruiscono fedelmente la Firenze del Quattrocento. Ne consegue che la dimensione umana prevale sulla divina e il vero miracolo è quello della Storia, teatro dell’azione dell’uomo.
Nel 1426, Masaccio ricevette a Pisa la commissione del Polittico di Pisa, composto da molti pannelli. La Madonna col Bambino presenta una grandiosità consapevolmente classica. L’Adorazione dei Magi è sobria ed essenziale, in aperta polemica con la contemporanea pittura tardogotica. La Crocifissione è intensamente drammatica.
È oramai unanimemente riconosciuto che il vero maestro di Masaccio fu Brunelleschi. L’affinità elettiva con il grande architetto è testimoniata infatti, nelle opere del pittore, da frequenti e puntuali riferimenti all’architettura di Filippo e soprattutto dalla piena adesione ai suoi princìpi prospettici.
L’affresco della Trinità, nella Basilica di Santa Maria Novella a Firenze, dimostra una tale padronanza della prospettiva che a lungo si è ipotizzato un diretto intervento di Brunelleschi. Masaccio ambientò la scena in una cappella concepita e mostrata come una struttura reale. All’interno della cappella, ai piedi della croce, compaiono Maria e Giovanni; alle spalle del Crocifisso, Dio Padre sorregge idealmente il figlio e fra loro è lo Spirito Santo in forma di colomba. Il dogma della Trinità, in quanto tale, non ammette spiegazioni; Masaccio, attraverso il gesto esplicito della Vergine, sceglie di mostrarlo utilizzando la concretezza delle immagini.
Per spiegare la costante presenza del Padre e del Figlio nella storia dell’uomo, Masaccio conferisce loro una dimensione “umana” e li inserisce in uno spazio “storico”, esemplificato dall’architettura classica, scorciata prospetticamente in funzione dell’altezza dello spettatore, per legare lo spazio reale a quello rappresentato.
Un grande storico del XX secolo, Bernard Berenson, ha dato di Masaccio una definizione che ha fatto scuola: «Giotto rinato, che ripiglia il lavoro al punto dove la morte lo fermò». Secondo Berenson, Masaccio fu l’unico, vero erede di Giotto. Lo confermano i caratteri essenziali dello stile masaccesco: il potente senso prospettico dello spazio, i continui riferimenti alla vita reale e al mondo vissuto, la concretezza volumetrica dei corpi, il verosimile gioco dei panneggi, i chiaroscuri intensi e le ricche ombreggiature, la vivacità delle espressioni e, non ultima, la vivissima concezione della storia che vede protagonisti tutti gli uomini, anche quelli che si potrebbero classificare come ultimi.
Esauriente e indovinata sintesi sulla vita di un grandissimo artista del 400.