Puoi ascoltare il mio podcast su: Apple Podcasts | Google Podcasts | Spotify | Cos'è?
Verso l’inizio del secondo millennio a.C., gli Achei si stabilirono nel Peloponneso, una regione della penisola greca. Qui fondarono alcuni importanti centri urbani: Tirinto, Pilo, Argo, Tebe, Atene e Micene, la città da cui prese il nome la loro intera civiltà. I Micenei affermarono la loro potenza intorno al 1450 a.C., dopo l’improvviso declino della civiltà cretese provocato da misteriose catastrofi. Approfittando anche di queste calamità, i Micenei occuparono l’isola intorno al 1450-1440 a.C., distruggendo definitivamente i suoi gloriosi palazzi. Da quel momento, furono i Micenei e non più i Cretesi a dominare sul Mediterraneo. Maschera di Agamennone
Attorno al 1250 a.C., i re del Peloponneso, cui la tradizione ha dato un nome, Agamennone e Menelao, strinsero alleanza per una comune spedizione contro Troia, ricca città della costa anatolica che controllava gli accessi al Mar Nero. La difficile conquista e la distruzione di Troia, cantate nell’Iliade e nell’Odissea da Omero, poeta epico greco dell’VIII secolo a.C., furono pagate a caro prezzo dai Micenei: pochi decenni dopo, infatti, ebbe inizio il loro lento ma progressivo declino.
Delle arti figurative micenee non ci sono rimaste molte testimonianze: gli affreschi dei palazzi sono andati perduti e i pochi frammenti ritrovati mostrano lo stretto legame della pittura micenea con quella cretese. Del tutto assente poi, come a Creta, la grande statuaria. Assai ricca fu la produzione della ceramica. Numerosi sono anche gli oggetti preziosi, ossia le coppe, le maschere funerarie in oro (che ricoprivano il volto dei defunti, alla maniera egizia), le armi cesellate e i gioielli, ritrovati nelle tombe.
Nella Necropoli reale di Micene, uno spazio circolare delimitato da lastroni di pietra ritrovato all’interno delle mura, sono state scoperte anche diverse tombe a fossa, attribuite agli Atrìdi e risalenti al XVI-XV sec. a.C. Queste sepolture ci hanno restituito numerosi corredi funebri. Quando, durante gli scavi archeologici della seconda metà dell’Ottocento, l’archeologo tedesco Heinrich Schliemann portò alla luce queste tombe, ritenne di aver scoperto le sepolture dei grandi eroi achei tornati vittoriosi dalla Guerra di Troia. In particolare, nel 1876, Schliemann ritenne di riconoscere la tomba di Agamennone e della sua famiglia.
In realtà si trattava di sepolcri principeschi molto più antichi, anteriori di circa 300 anni alla Guerra di Troia. Non era dunque Agamennone quel re dalla folta barba, ritratto in una splendida maschera funeraria in lamina d’oro martellata che tanto colpì l’immaginazione dell’archeologo. Posto, ovviamente, che Agamennone è un personaggio letterario e quindi mai esistito. Essendo, comunque, la maschera databile fra il 1550 e il 1500 a.C., non potrebbe essere neppure di uno di quei valorosi, anonimi sovrani che guidarono la storica spedizione contro Troia.
La maschera non vuole riprodurre fedelmente le fattezze del defunto cui fu destinata, perché si tratta della rappresentazione stilizzata di un volto. Osserviamo infatti che la forma del viso è costruita in modo rigorosamente simmetrico, rispetto a un asse verticale che passa per il naso. Altri due assi orizzontali attraversano gli occhi e la bocca. Le forme degli occhi, del naso, delle orecchie, della bocca, dei baffi e della barba appaiono fortemente semplificate. Nonostante la schematicità con cui ha “disegnato” il volto, l’artista ha saputo comunque esprimere con efficacia il carattere forte del guerriero raffigurato, esaltandone la nobile, eroica fissità di fronte al mistero della morte.