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Masolino (1383-1440) fu il soprannome del pittore Tommaso di Cristoforo Fini, nato a Panicale, vicino a San Giovanni Valdarno (Arezzo). Secondo le fonti fu molto apprezzato dai contemporanei e soprattutto dall’aristocrazia cittadina e dal clero, che gli garantirono importanti e continue commissioni. Vasari ci racconta della sua formazione presso la bottega di Gherardo Starnina (1354-1409), un artista fra i più raffinati del Gotico internazionale fiorentino che aveva lavorato a lungo in Spagna.
Masolino crebbe dunque in ambiente tardogotico e rimase sostanzialmente legato alla sua formazione, anche quando nella sua bottega iniziò a lavorare il giovane Masaccio, ossia l’artista che per primo portò la rivoluzione rinascimentale in pittura. L’“ingombrante” influenza del giovane socio lo spinse ad approfondire alcune tematiche rinascimentali e ad adottare l’uso della prospettiva; ciononostante Masolino non volle mai abbandonare la sua ispirazione poeticamente fiabesca e cortese.
Nelle sue scene della Cappella Brancacci, come nel caso della Guarigione dello storpio e la Resurrezione di Tabita, le prospettive geometriche e gli scorci urbani (un tempo attribuiti a Masaccio ma oggi considerati di sua mano) servono solo a inquadrare, con valore decorativo, figure gentili ed eleganti, le cui azioni appaiono isolate dal contesto e come sospese fuori dal tempo.
Praticamente sconosciuta è l’attività di Masolino in Ungheria, dove l’artista si recò nel 1425. A Roma, gli venne commissionato il Polittico di Santa Maria Maggiore (1427- 28), oggi smembrato e distribuito in vari musei; fu per dipingere quest’opera che Masolino chiese a Masaccio di raggiungerlo nella città papale, dove però il giovane amico morì improvvisamente.
Delle sue opere dipinte senza la collaborazione di Masaccio, la Madonna dell’Umiltà o Madonna del latte è un caso emblematico che dimostra la totale autonomia del percorso stilistico goticheggiante del più anziano pittore: la tavola, infatti, è stata datata da alcuni storici al 1420 e da altri al 1430-35, cioè sia prima sia dopo la collaborazione di Masolino con Masaccio.
Le grandi mani esili e aristocratiche della Vergine trattengono delicatamente sia il Bambino sia il castissimo, minuscolo seno che sbuca dalla veste, mentre dall’ampio mantello, ondulato e protettivo, spuntano il tenero rosa del vestito materno e il rosso vivido del manto infantile.
I colori tenui e trasparenti, i panneggi morbidi e gli incarnati diafani sono accesi da una luce che lambisce le forme e le tornisce, conferendo alle figure una morbida corposità.
Nel 1435, Masolino si trasferì a Castiglione Olona, presso Varese, dove il cardinale Branda gli aveva commissionato una serie di affreschi. L’artista decorò il palazzo del prelato, il Battistero con Storie del Battista e la Collegiata con Storie della Vergine.
Il ciclo di san Giovanni Battista, forse il più celebre di Masolino, ricalca, nell’impostazione generale, quello della Cappella Brancacci. Le scene sono ambientate sullo sfondo di un delicato paesaggio o di eleganti scorci cittadini.
In particolare, il Banchetto di Erode è presentato in un sontuoso contesto architettonico, rappresentato attraverso una prospettiva centrale quasi vertiginosa. Il banchetto vero e proprio si svolge a sinistra, sotto una loggetta architravata, dove riconosciamo Erode, seduto a capotavola e circondato da tre ospiti, uno dei quali potrebbe avere le sembianze del cardinale Branda.
Alcuni dignitari in piedi, due dei quali indossano un mazzocchio (tipico cappello del tempo) richiamano le figure masolinesche della Cappella Brancacci. A destra della scena, invece, sotto un lunghissimo portico con colonne ed archi a tutto sesto, avviene la consegna della testa del Battista a Erodiade da parte di Salomè.