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Tra il V e il VI secolo d.C., Ravenna visse un periodo di straordinaria fortuna politica, culturale e artistica. Nel 402, infatti, l’imperatore Onorio decise di trasferire, da Milano, la residenza imperiale in questa città. La nuova, inaspettata condizione di capitale dell’Impero Romano d’Occidente richiese una eccezionale espansione urbana e la costruzione di nuovi palazzi, chiese e battisteri, tutti splendidamente decorati come si conveniva agli edifici monumentali di una città così autorevole. Il Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna e i suoi mosaici.
Ricordiamo che a Ravenna fu deposto, nel 476, l’ultimo imperatore dell’Impero occidentale, Romolo Augustolo, per mano di Odoacre, re degli Eruli; che Teodorico, re degli Ostrogoti, la mantenne capitale del nuovo Regno ostrogoto, dal 493; e che con la conquista bizantina ad opera di Giustiniano, Ravenna, caduta nel 540, fu eletta nel 553 a sede dell’esarca, il quale governò il territorio italiano per conto dell’imperatore d’Oriente. Ravenna resistette a lungo alla conquista longobarda, iniziata nel Nord Italia nel 568; cadde, infatti, solo nel 751.
L’importanza degli edifici paleocristiani e bizantini di Ravenna è stata da sempre riconosciuta in tutto il mondo: non a caso, nel 1996, l’UNESCO ne ha inserito otto nella lista dei Patrimoni dell’Umanità. L’elenco comprende: il Mausoleo di Galla Placidia e il Battistero degli Ortodossi (prima metà del V sec.), la Cappella Arcivescovile, la Basilica di Sant’Apollinare Nuovo e il Mausoleo di Teodorico (inizio del VI sec.), il Battistero degli Ariani, la Basilica di Sant’Apollinare in Classe e la Basilica di San Vitale (metà del VI sec.).
Il Mausoleo di Galla Placidia fu costruito dopo il 426, in prossimità della Chiesa di Santa Croce alla quale era collegato per mezzo di un portico, oggi perduto. Secondo la tradizione (non confermata dai dati documentari), fu commissionato da Galla Placidia, figlia di Teodosio e quindi sorella dell’imperatore Onorio, nonché imperatrice reggente per conto del figlio, che intendeva esservi sepolta assieme al fratello e al marito, Costanzo III, sposato in seconde nozze.
Cosa che di fatto poi non avvenne, giacché la donna morì a Roma nel 450 e lì fu sepolta, forse, all’interno del Mausoleo onoriano, un tempo annesso all’antica Basilica paleocristiana di San Pietro. I tre grandi sarcofagi in marmo, ospitati all’interno, sono vuoti. È quindi possibile che l’edificio sia stato poi utilizzato come martyrium dell’annessa Basilica di Santa Croce (della quale rimangono pochi resti) oppure come oratorio dedicato a San Lorenzo.
La pianta, un po’ irregolare, è a croce latina, che tuttavia è percepita come una croce greca, giacché i quattro bracci sono quasi uguali. Esternamente l’edificio presenta un sobrio paramento in laterizio, ornato da arcate cieche in tutte le pareti, ad eccezione di quella d’ingresso, che invece è decorata da un fregio con rami di vite e grappoli d’uva, e due felini che si affrontano ai lati di un cratere. La cupola che copre l’incrocio dei bracci è nascosta all’esterno da un tiburio a base quadrata. Come altri edifici di Ravenna, il Mausoleo appare oggi più basso di un tempo: l’innalzamento del suolo lo ha infatti interrato di un metro e mezzo circa.
All’interno, i quattro bracci sono coperti da volte a botte che creano con le pareti esterne quattro lunette semicircolari. Anche la cupola è affiancata ai quattro lati da altrettante lunette. Le finestre sono schermate con lastre translucide di alabastro, che lasciano filtrare una luce fioca.
I tre sarcofagi in marmo sono uno, piuttosto semplice, di epoca romana (quello del braccio centrale) e due di età paleocristiana (IV e V secolo); questi ultimi, posti nei bracci laterali, sono decorati a bassorilievo con la figura dell’agnello (Agnus Dei), uno dei simboli più antichi di Cristo.
La magnifica decorazione musiva, risalente alla metà del V secolo, è di autore romano o comunque proveniente dal Centro-Italia. Essa ricopre le pareti e le volte, in un vero e proprio trionfo cromatico di stelle dorate su fondo blu notte, di girali di acanto, di festoni con fiori e frutti, di preziosi motivi decorativi che incorniciano le figurazioni sacre.
Della rude architettura non resta traccia, essa si è come dissolta in una nuvola di colore: ricoprendo ogni centimetro delle pareti e delle volte, le tessere del mosaico nascondono le congiunzioni strutturali, smussano gli spigoli, deformano i contorni.
Fissate al muro dal mosaicista attraverso la semplice pressione del dito, e quindi con inclinazioni diverse, le tessere dei mosaici riflettono la luce del sole, che filtra dalle piccole finestre, scomponendola in una miriade di minuscoli raggi colorati.
L’apparato musivo è infatti concepito come strumento per la realizzazione di uno spazio alternativo, per certi versi “un antispazio”, uno spazio non terrestre o reale ma celeste e divino. Anche il contrasto con la povertà dell’esterno è ricercato e non casuale. In un ideale parallelo con la natura umana, l’esterno rappresenta la materia, grezza e di poco valore, che nasconde all’interno l’anima, la luce spirituale.
Spicca, nella lunetta sopra l’ingresso, la raffigurazione del Buon Pastore; nella lunetta opposta, San Lorenzo si avvia al martirio. Nelle lunette laterali sono invece rappresentate coppie di cervi che si abbeverano; questo soggetto deriva da un passo di un celebre Salmo (XLII, 1-2) che recita: come la cerva assetata cerca un corso d’acqua, anch’io vado in cerca di te, di te, mio Dio.
Le lunette della cupola presentano coppie di apostoli in adorazione, tra i quali sono riconoscibili San Pietro e San Paolo. Ai piedi degli apostoli, coppie di colombe che bevono rimandano, nuovamente, al tema delle anime cristiane che si abbeverano alla fonte della Grazia divina.
La cupola, decorata da un motivo di stelle decrescenti verso l’alto, è dominata al centro da una grande croce dorata. Il fondo blu intenso di questo cielo stellato rimanda al tema della morte e del Paradiso che accoglie i giusti. Il blu è d’altro canto dominante fra i colori della decorazione, come si conviene in un mausoleo, ossia in una tomba.
Nei pennacchi della cupola si trovano le quattro figure alate del Tetramorfo (leone, aquila, angelo, bue), a questa data ancora legate al tema dell’Apocalisse e solo successivamente (ossia dal VI secolo) adottate dalla Chiesa come simboli degli evangelisti (rispettivamente Marco, Giovanni, Matteo, Luca).
Anche le volte a botte e gli archi della crociera sono riccamente decorati con motivi geometrici e festoni di fiori e frutta.
Tra le scene figurate presenti nel Mausoleo, la più interessante è certamente quella del Buon Pastore, realizzata sulla lunetta della porta d’ingresso. Cristo è rappresentato senza barba, secondo un’iconografia ancora diffusa a questa data. È seduto su una roccia al centro della composizione ed è circondato da sei pecore; appoggiato con la mano sinistra a una piccola croce, con la destra accarezza il muso di una pecorella che gli si è avvicinata.
Questa complessa torsione del busto conferisce una vaga tridimensionalità alla figura del Redentore. Lo sfondo è costituito da un paesaggio piuttosto realistico, con il cielo azzurro, piante e rocce. È evidente, insomma, la permanenza di un certo naturalismo, ereditato dall’arte classica.
Il Buon Pastore di Galla Placidia è una delle prime testimonianze in un contesto monumentale di questa particolare iconografia del Cristo, assai antica e molto presente nelle catacombe. In effetti, mentre il soggetto paleocristiano del pastorello con la pecora sulle spalle era una immagine ancora simbolica di Gesù, in questo caso ci troviamo, più propriamente, davanti alla figura di “Cristo come Buon Pastore”, con un chiaro riferimento alla omonima parabola: l’aureola (non ancora crociata), la croce, la tunica e il mantello imperiali rendono, infatti, esplicita ed inequivocabile l’identificazione di Gesù con il giovane imberbe.
In un’altra lunetta del mausoleo si può ammirare anche la bellissima scena del Martirio di san Lorenzo, ucciso nel 258, a soli 33 anni, durante la persecuzione voluta dall’imperatore Valeriano. Secondo una consolidata tradizione, venne bruciato su di una graticola. Tale tradizione risale a uno scritto di sant’Ambrogio, il De Officiis Ministrorum. Racconta Ambrogio che, durante l’orribile supplizio, Lorenzo si rivolse al suo aguzzino e disse: «Assum est… versa et manduca», cioè ‘Questa parte è cotta… girami e mangia’.
Il mosaico di Galla Placidia mostra il santo che, volontariamente, si avvia al martirio verso la graticola (munita di rotelle), sotto la quale già arde il fuoco con fiamma viva, portando una croce sulla spalla destra, mentre con la mano sinistra regge un libro aperto con scritte ebraiche. È vestito di una tunica e un pallio a tinte chiare (bianco e grigio), porta sandali ai piedi e ha il volto circondato da una grande aureola. A sinistra della scena, un armadietto aperto mostra i Vangeli (segnati dai nomi degli evangelisti), simboli della sua fede. Ciò che colpisce di questa scena è l’atteggiamento disinvolto, quasi festoso, con cui il santo non solo accetta ma quasi sembra cercare una morte orribile.
Sono diverse le testimonianze che confermano la sicurezza e l’eccezionale forza interiore con cui i martiri affrontavano il supplizio, sostenuti dalla fede e sicuri che ad aspettarli, dopo la morte, ci fosse una vita di eterna gioia. Proprio a proposito di san Lorenzo, il testo ambrosiano del De Officiis riporta un dialogo fra questi e Sisto, martirizzato prima di lui: Lorenzo, «vedendo il suo vescovo Sisto condotto al martirio, cominciò a piangere non perché quello era condotto a morire, ma perché egli doveva sopravvivergli.
Comincia dunque a dirgli a gran voce: “Dove vai, padre, senza il tuo figlio? […] Non vuoi che versi il sangue insieme con te colui al quale hai affidato il sangue del Signore, colui che hai fatto partecipe della celebrazione dei sacri misteri?” […] Allora Sisto gli rispose: “Non ti lascio, non ti abbandono, o figlio; ma ti sono riservate prove più difficili. A noi, perché vecchi, è stato assegnato il percorso d’una gara più facile; a te, perché giovane, è destinato un più glorioso trionfo sul tiranno.
Presto verrai, cessa di piangere: fra tre giorni mi seguirai. Tra un vescovo e un levita è conveniente ci sia questo intervallo. Non sarebbe stato degno di te vincere sotto la guida del maestro, come se cercassi un aiuto. Perché chiedi di condividere il mio martirio? Te ne lascio l’intera eredità. Perché esigi la mia presenza? I discepoli ancor deboli precedano il maestro, quelli già forti, che non hanno più bisogno d’insegnamenti, lo seguano per vincere senza di lui”».
Sono molte, dicevamo, le fonti letterarie e tutte dello stesso tenore. Scrisse Ignazio di Antiochia, martirizzato sotto Traiano, prima di morire: «Non procuratemi altro che di essere immolato a Dio […]. È bello per me tramontare dal mondo verso Dio per risorgere in lui. […] Lasciatemi essere pasto delle belve, per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e vengo macinato dai denti delle belve, per diventare immacolato pane di Cristo».
Il vescovo di Cartagine, Cipriano, ascoltata la sentenza di morte esclamò: «Grazie a Dio». Perpetua, madre appena ventenne di un figlio ancora in fasce, rifiutò di salvarsi rinnegando la propria fede. Scrisse in carcere, prima di essere data in pasto alle fiere, la propria triste storia. Leggiamo il suo dialogo con il padre, che la implorava di abiurare Cristo: «Vedi, ad esempio, questo vaso qui per terra, orciolo o altra cosa che sia? Mi rispose: sì. E io dissi: può forse chiamarsi con un nome diverso da quello che è? Mi rispose: no. Allo stesso modo io non posso chiamarmi con un nome diverso da quello che sono: cristiana».
Qui è la Grazia.
Se mani umane hanno creato queste bellezze cercate di immaginare cosa possono essere il Paradiso e la vita eterna.
Consiglio il libro: San Lorenzo o Re Davide: la liturgia funeraria antica nel mausoleo di Galla Placidia. Nuova lettura dei mosaici in base alle fonti liturgiche d letterarie del IV V secolo
Meraviglioso, tutto.
Un edificio cosi piccolo ma così ricco di arte.. una bellezza rara.
Descrizione esaustiva ed appassionata! Verrò a visitare a breve Ravenna e i suoi meravigliosi mosaici. Grazie!