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La Metafisica
L’enigma e il mistero dietro l’apparenza della realtà.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Il Novecento: gli anni Venti, Trenta e Quaranta – Data: Maggio 12, 2021 0 commenti 10 minuti
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Durante la Prima guerra mondiale, si affermarono in Europa alcuni importanti movimenti artistici. Il primo, quello della Pittura Metafisica, aveva già esordito negli anni precedenti alla Grande guerra, durante il Salon d’Automne di Parigi del 1912, dove furono esposti per la prima volta al pubblico alcuni dipinti del pittore Giorgio de Chirico.

Giorgio de Chirico, Ettore e Andromaca, 1917. Olio su tela. Collezione privata.

Un anno eccezionale

Il 1912 era stato un anno davvero ricco di eventi culturali: basti ricordare che fu allestita a Parigi una mostra dei pittori futuristi e che Umberto Boccioni pubblicò il Manifesto tecnico della scultura futurista e Marinetti il Manifesto tecnico della letteratura futurista. Sempre nel 1912, i teorici del gruppo cubista Albert-Léon Gleizes e Jean Metzinger scrissero il saggio critico Du cubisme. Fu allestita la prima mostra della Section d’Or, una sezione autonoma nata in seno al Cubismo. Ancora nel 1912 nacque il “Cubismo orfico” di Robert Delaunay, un grande protagonista della seconda stagione cubista.

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L’esordio della Metafisica

A Parigi, Giorgio de Chirico iniziò a dipingere i primi esempi di quella che sarebbe diventata la Pittura Metafisica; ne ritroviamo i primi segni nella cosiddetta serie delle Logge, delle Piazze e delle Torri, realizzata intorno al 1910. È questa, in fin dei conti, la vera data di nascita della Metafisica, che dunque si sviluppò parallelamente al Futurismo.

Fu però la partecipazione di de Chirico al Salon d’Automne a segna l’esordio ufficiale della Metafisica, anche se gli orientamenti teorici del movimento furono chiariti solo più tardi. Alla poetica metafisica aderirono molti artisti, tutti in disaccordo con le Avanguardie (e in particolare con i Futuristi), sostenendo la necessità di un ripristino della tradizione. Nei primi anni Venti, questo invito al cosiddetto Ritorno all’ordine fu accolto in Italia da altri pittori, in parte reduci proprio dall’esperienza della Metafisica, i quali fondarono il gruppo chiamato “Novecento” e una corrente artistica conosciuta come Realismo magico.

Giorgio de Chirico, Enigma dell’oracolo, 1910. Olio su tela, 46 x 16 cm. Collezione privata.

Il conflitto con le avanguardie

Agli espressionisti, ai cubisti, agli astrattisti e soprattutto ai futuristi, de Chirico rimproverava una ricerca di modernità a tutti i costi e un’eccessiva preoccupazione per i problemi formali, a discapito di quelli filosofici. Il suo messaggio era invece un altro: de Chirico propugnava un ritorno al “mestiere” di pittore, sostenendo la necessità di recuperare la tecnica e gli strumenti tradizionali della pittura: «prima di essere cézanniani, picassiani, soutiniani o matissiani», scrisse de Chirico con una punta di sarcasmo, «e prima di avere l’emozione, l’angoscia, la sincerità, la spontaneità, la spiritualità, i nostri geni modernisti farebbero meglio a imparare a fare una buona e bella punta al loro lapis».

Giorgio de Chirico, Il Grande Metafisico, 1917. Olio su tela, 104,5 x 69,8 cm. New York, The Museum of Modern Art (MoMA).

Dalla filosofia all’arte

Se il primo a parlare esplicitamente di “Pittura Metafisica” sarebbe stato Carlo Carrà nel 1918, il termine “metafisica” venne utilizzato da de Chirico nei suoi scritti giovanili, dove affermava che sognare una persona era, per esempio, una «prova della sua esistenza metafisica»; ancora, aveva attribuito una «realtà metafisica» a «certi avvenimenti fortuiti che talvolta viviamo» e che provocano in noi «l’immagine di un’opera d’arte». Nei suoi appunti, de Chirico prendeva a prestito dal pensiero filosofico alcune riflessioni, affermando che la filosofia poteva riportare la nozione di metafisica ma soltanto l’arte era realmente in grado di esprimerla e rappresentarla.

«Schopenhauer e Nietzsche per primi insegnarono il profondo significato del non-senso della vita e come tale non-senso potesse venir trasmutato in arte, anzi dovesse costituire l’intimo scheletro d’un’arte veramente nuova, libera e profonda». Oltre l’apparente “non-senso” del mondo si nasconde, insomma, un significato più profondo ma indecifrabile, ossia “metafisico”: tale significato non può essere descritto con le parole ma solo rivelato da un’immagine, che l’artista ha il potere di fissare nella sua opera.

Giorgio de Chirico, Mistero e malinconia di una strada, 1914. Olio su tela, 71 x 84,5 cm. New Canaan (Connecticut), Collezione privata.

Al di là della fisica

Il termine “metafisica”, applicato alla pittura, dev’essere letto, tuttavia, solo in senso letterale, come al di là della fisica. Secondo de Chirico, l’arte non doveva avere alcun legame con la realtà, poiché il suo scopo non era rappresentare le cose così come sono ma scoprire la via primaria per mostrare il lato insolito e misterioso che si cela dietro l’apparente banalità della vita quotidiana. «Perché un’opera d’arte sia veramente immortale», scrisse de Chirico, «è necessario che esca completamente dai confini dell’umano: il buon senso e la logica la danneggiano», annullano il senso di mistero che ognuno di noi percepisce entro e oltre la visione reale.

L’artista metafisico si avvale pertanto di un linguaggio nuovo e a-logico, crea costantemente un clima di magia silenziosa, priva di dramma e di azione, e nelle sue opere ricerca il meraviglioso che affiora nel quotidiano. L’enigma, il mistero, lo spaesamento sono i veri protagonisti della sua pittura. Il repertorio figurativo della Metafisica costituisce, insomma, un universo simbolico da interpretare, dove gli oggetti, accostati in maniera insolita, sono la chiave per risolvere l’enigma.

Giorgio de Chirico, Il Vaticinatore, 1915. Olio su tela, 88,5 x 69,5 cm. New York, The Museum of Modern Art.

La pittura metafisica

La Metafisica non si tradusse in un vero e proprio movimento artistico; essa può definirsi, più correttamente, come una tendenza della pittura italiana del secondo decennio del Novecento, l’esito di un’operazione estetica, la manifestazione di un’espressione pittorica maturata principalmente dalla ricerca di de Chirico. Ciononostante, è possibile individuare una sorta di scuola metafisica che vide la sua nascita per così dire “ufficiale” nel 1916, dopo l’incontro fortuito di de Chirico con Carlo Carrà in un ospedale militare di Ferrara.

All’insegna di princìpi comuni si riunirono, oltre ai due primi protagonisti, anche Alberto Savinio (fratello di de Chirico e teorico del gruppo) e, in un secondo tempo, Giorgio Morandi. Alle suggestioni metafisiche si accostarono, in tempi successivi, anche altri pittori come Mario Sironi e Felice Casorati, esponenti di Novecento e del Realismo Magico.

Lo spazio metafisico

La Metafisica si identifica con immagini legate alla sospensione del tempo, a una realtà percepita nel silenzio e nell’immobilità. Tutto il repertorio di oggetti enigmatici e di simboli arcani proposto da Giorgio de Chirico si colloca in uno spazio indefinito (anche se talvolta costruito secondo il principio della spazialità rinascimentale), illuminato da una luce priva di vibrazioni atmosferiche, capace di solidificare i colori come in un gioco di tarsie marmoree.

Le forme dell’architettura, assimilate a un sistema di volumi geometrici (cui non è certo estraneo l’influsso della pittura cubista), sono sicuramente legate al suo amore per la tradizione architettonica di Firenze, città in cui le nette strutture disegnate nel Rinascimento da Leon Battista Alberti e Filippo Brunelleschi già sembrano costruire spazi “metafisici”. Il mistero, nelle opere di de Chirico, è certamente evocato anche dall’uso del colore, che non è mai squillante o luminoso ma opaco, talvolta perfino cupo, steso per piani sovrapposti con una tecnica a superfici piatte.

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De Chirico: le piazze e i manichini

I tipici soggetti della pittura di Giorgio de Chirico (1888-1978) furono le grandi piazze vuote e solitarie, circondate da portici ombrosi, ispirate ai paesaggi urbani affrescati da Giotto, e le ciminiere e le torri che talvolta si stagliano sullo sfondo.

Nell’Enigma dell’ora, per esempio, l’intero spazio della tela è occupato da un porticato sovrastato da una loggia, nella cui ombra si scorge una figura umana che aspetta immobile.

Giorgio de Chirico, Enigma dell’ora, 1911. Olio su tela, 55 x 71 cm. Firenze, Collezione privata.
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Nella Torre rossa, una grande piazza, completamente deserta, presenta ai lati due porticati, un monumento equestre posto su di un alto basamento e, sullo sfondo, una torre solida e compatta.

Giorgio de Chirico, La torre rossa, 1913. Olio su tela, 73,5 x 100,5 cm. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim.

De Chirico usava collocare immagini di statue antiche nella solitudine delle sue piazze porticate. A partire dal 1915, tali sculture furono sostituite dai cosiddetti “manichini”, che in realtà sono sagome inanimate spesso costituite da misteriosi trofei assemblati.

Giorgio de Chirico, Melancolia, 1912. Olio su tela, 79 x 63,5 cm. Londra, Collezione P. Watson.

I manichini

I manichini sono gli emblemi dello stato d’animo melanconico, i simboli di una solitudine eroica ed epica. Essendo privi di capelli, occhi, orecchie, naso e bocca, evocano l’impossibilità di vedere, udire e parlare ma alludono anche alla capacità superiore di andare oltre l’apparenza della realtà.

Nelle Muse inquietanti, del 1917, due manichini-vestali, ammantati all’antica e con grandi teste ovoidali, appaiono chiaramente collocati in un contesto illogico. Sono inquietanti perché devono suggerirci di andare oltre le apparenze e farci dialogare col mistero.

Giorgio de Chirico, Le Muse inquietanti, 1917. Olio su tela, 97 x 66 cm. Milano, Collezione Mattioli.
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Carrà

Carlo Carrà (1881-1966) entrò nella sfera della Pittura Metafisica dopo aver partecipato all’avventura futurista. La sua pittura scarna ed essenziale abbandona l’allegorismo metafisico, pur mantenendo il senso dell’attesa e della solitudine. La sua ricerca si mosse verso il recupero dei “primitivi italiani”: Giotto, Paolo Uccello, Masaccio, Piero della Francesca, di cui indagò il linguaggio formale filtrandolo attraverso l’insegnamento di Cézanne e del Cubismo.

Carlo Carrà, La musa metafisica, 1917. Olio su tela, 90 x 66 cm. Milano, Collezione Jesi.

Morandi

Giorgio Morandi (1890-1964) aderì alla Pittura Metafisica senza compromettere il purismo e l’essenzialità della sua visione artistica, che si mantenne priva di compiacimenti simbolistici e letterari. Le sue celebri nature morte, dove peraltro si avverte chiaramente la lezione di Giotto e dei maestri del primo Rinascimento, si distinguono per la scelta antiretorica di oggetti di uso quotidiano (tra cui bottiglie, vasetti, bricchi), disposti come sagome in uno spazio senza prospettiva e quasi privati della loro fisicità dal colore sobrio e opaco.

Giorgio Morandi, Natura morta metafisica, 1919. Olio su tela, 56,5 x 47 cm. Milano, Pinacoteca di Brera.

Savinio

Alberto Savinio (pseudonimo di Andrea de Chirico, 1891-1952), attraverso il fratello Giorgio entrò in contatto con la Pittura Metafisica, partecipando alla sua teorizzazione con intelligenti interventi critici. L’arte saviniana presenta una forte componente onirica ed è pervasa da un profondo senso dell’ironia, del grottesco e della tragedia. La sua stesura pittorica esalta i chiaroscuri e gli effetti cangianti del colore smaltato, avvolgendo gli oggetti, le persone e i paesaggi con un’atmosfera magica.

Alberto Savinio, Annunciazione (Donna alla finestra), 1932. Olio su tela, 99 x 75 cm. Milano, Civico Museo d’Arte Contemporanea.


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