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Quello dei nabis fu uno dei più importanti gruppi di artisti francesi attivi negli anni Novanta del XIX secolo, la cui arte, ispirata dalle opere di Bernard e Gauguin, è da ricondursi all’ambito della pittura simbolista. L’intento di questi pittori, che fecero parte del fronte progressista della pittura francese di fine secolo, fu quello di proseguire sulla strada della ricerca di un’arte moderna, che fosse alternativa sia all’accademismo (oramai al tramonto) sia al realismo impressionista.
I caratteri fortemente evocativi e poetici dei dipinti nabis, così capaci di rappresentare le emozioni pure attraverso il colore e le forme sintetiche e bidimensionali, anticiparono gli esiti della pittura espressionista dei fauves.
Il gruppo si interessò anche di musica e di letteratura, dedicandosi alle letture di Baudelaire e Mallarmé. È indubbia, d’altro canto, la natura filosofico-letteraria della pittura nabis, i cui soggetti (tra cui scene di interni borghesi) rappresentano, il più delle volte, puri pretesti per creare immagini intimiste e non di rado spirituali. L’esperienza del gruppo non durò a lungo: già nel 1896 iniziarono i primi diverbi tra i suoi componenti e dopo l’ultima mostra del 1900 si sciolse. Gli artisti, tuttavia, continuarono singolarmente le proprie carriere, non tradendo l’ispirazione sintetista della precedente produzione nabis.
Nell’estate del 1888, il ventiquattrenne Paul Sérusier (1864-1927), proveniente dalla parigina Académie Julian, giunse a Pont-Aven, dove conobbe Gauguin e gli altri artisti della cosiddetta Scuola di Pont-Aven, che intorno al maestro si era formata. Nella cittadina bretone, Sérusier, guidato da Gauguin, dipinse sul coperchio di una scatola di sigari un paesaggio destinato a diventare una sorta di opera manifesto, paradigmatica di un nuovo modo, antinaturalista, di concepire la pittura: Paesaggio del Bois d’Amour a Pont-Aven. L’artista seguì praticamente alla lettera i consigli che Gauguin usava dargli:
«Come vedi questi alberi? Gialli? Bene, metti del giallo, il più bel giallo della tua tavolozza. E quest’ombra piuttosto blu? Non temere di dipingerla con dell’oltremare puro. E quelle foglie rosse? Usa il vermiglione».
Ne risultò un’immagine quasi astratta, certamente non naturalistica, una sintesi di forme e colori stesi a campiture piatte e senza chiaroscuro, scopertamente polemica nei confronti del metodo analitico impressionista. Questo quadretto fu poi intitolato Il talismano, per il potere quasi magico con cui invogliò gli amici di Sérusier ad abbracciare la nuova arte di Gauguin e ad abbandonare la pittura scolastica praticata sino a quel momento. L’opera venne esposta nel 1889 al Caffè Volpini di Parigi assieme ad altri quadri di Bernard e Gauguin.
Ritornato a Parigi, forte dell’esperienza bretone vissuta in seno alla Scuola di Pont-Aven, nel 1889 Sérusier fondò con altri artisti il gruppo dei nabis (dall’ebraico nebiim, ‘profeta’). Il termine venne loro suggerito da Auguste Cazalis, esperto di ebraico e lingue orientali: «un nome che faceva di noi degli iniziati, una sorta di società segreta di intonazione mistica», come affermò Maurice Denis (1870- 1943), uno dei più attivi partecipanti al gruppo nonché teorico del movimento omonimo.
Il suo capolavoro del 1893, Le Muse, rappresenta un bosco, abitato da un gruppo di donne vestite con abiti moderni ma immerse in un’atmosfera allusiva e irreale. Questo quadro è un tipico esempio di arte nabis, per il soggetto simbolista, la morbida sinuosità delle linee, l’accentuata bidimensionalità, la freschezza del colore. «Penso che la pittura debba essere prima di tutto decorativa», affermò ancora il pittore. «La scelta dei soggetti non ha alcun valore. Cerco di attingere lo spirito, risvegliare le emozioni attraverso la superficie colorata, il valore dei toni, l’armonia delle linee».
Un quadro «prima d’essere un cavallo da battaglia, una donna nuda o un aneddoto qualsiasi, è essenzialmente una superficie coperta da colori disposti in un certo ordine». Compito della pittura nabis era, insomma, quello di superare la distinzione tra rappresentazione e decorazione, in modo da rendere il linguaggio pittorico del tutto autonomo rispetto alla schiavitù del verosimile. Non a caso, tutti gli artisti nabis furono impegnati anche nella produzione di manifesti, paraventi, arazzi, vetrate, carte da parati, illustrazioni per libri, scenografie.
Pierre Bonnard (1867-1947) pervase le proprie opere di un’atmosfera malinconica e velata di nostalgia. Temi centrali della sua arte sono paesaggi, nature morte, scene di vita familiare. Nei suoi quadri, come ad esempio Sala da pranzo in campagna, le scene quotidiane, per effetto degli elementi troncati, distorti e deformati, vengono proiettate dalla sfera del reale a quella del ricordo, del sogno, dell’immaginazione.
I suoi nudi, dipinti in un’intima relazione con l’ambiente circostante, appaiono quasi intenti ad assorbire il calore irradiato dalle pareti. Ne La toilette, per esempio, il colore dell’incarnato della donna contiene lo stesso azzurro e lo stesso rosa della carta da parati sullo sfondo. Questo nudo di donna, sorpresa mentre si specchia ed è intenta nella cura quotidiana del proprio corpo, ricorda molto gli omologhi soggetti di Degas, anche per il suggestivo taglio fotografico.
Non sfugge, tuttavia, una fondamentale differenza: il maestro impressionista rendeva partecipe l’osservatore, come se questo fosse davvero presente nella scena. Nel dipinto di Bonnard, invece, i riferimenti spaziali sono deliberatamente annullati: l’osservatore si perde nel continuo gioco dei rimandi visivi, è costretto a ricostruire quell’ambiente frammentato, a mettere insieme le poche schegge di stanza che l’artista gli mette a disposizione per tentare di orientarsi. L’esito formale è comunque quello di un’astrazione decorativa che da un lato incanta e dell’altro disorienta, che proietta in una dimensione puramente onirica, inconoscibile. La verità, sembra dirci Bonnard, non si raggiunge attraverso la mera visione delle cose ma tramite il sentire e l’intuire.
Tra i Nabis sono da ricordare anche Édouard Vuillard (1868-1950), che produsse soprattutto scene domestiche con uno stile marcatamente ornamentale, e Félix Vallotton (1865-1925), autore di interni, ritratti, nudi e paesaggi quasi completamente privi di profondità, dalle audaci inquadrature e segnati da colori tersi e accesi.
Splendida “La visione dopo il sermone”; trovo che sia un opera con un dialogo cromatico davvero interessante.