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La Bella è giunta. Questo significa il nome di Nefertiti, la bellissima moglie del faraone Amenofis IV, poi Akhènaton: una donna tanto potente quanto intelligente, ricordata dalle antiche iscrizioni come “Signora della felicità”, “Signora dal viso luminoso”, “Dotata di tutte le virtù, dama piena di grazia, grande nell’amore, i cui sentimenti fanno la felicità del signore dei Due Paesi”. Grande Sposa Reale, fu amatissima dal sovrano d’Egitto, che la preferì ad altre pretendenti sicuramente più qualificate di lei a diventare regine. Non si esclude sia stata nominata coreggente dal marito e forse gli succedette per breve tempo come sovrano, dopo aver mutato il proprio nome in Smenkhara. Ma queste sono solo ipotesi.
Di Nefertiti, in effetti, sappiamo pochissimo. Non era imparentata con il faraone, che pure aveva almeno cinque sorelle minori, legittimamente destinate a sposare Akhènaton, com’era uso allora in Egitto, e a regnare al suo fianco. In considerazione del suo nome, alcuni egittologi ritengono che Nefertiti sia stata di origine straniera, e che sia “giunta”, ossia arrivata, in Egitto da lontano. Ma non esistono altri indizi. È più probabile che Nefertiti, per i suoi contemporanei, fosse “giunta” dal cielo, donata al re e al mondo dalla benevolenza degli dèi. Si pensa che, venerata dal popolo, sia stata divinizzata in vita, come incarnazione della Dea Tefnut, Signora dell’Umidità.
Della regina Nefertiti, celebrata per la sua straordinaria bellezza, sono rimasti numerosi ritratti. Uno, in particolare, riesce a valorizzare la finezza dei suoi elegantissimi tratti somatici. Questo celebre busto, noto come Ritratto di Nefertiti, Busto di Nefertiti o semplicemente Nefertiti, fu scoperto a Tell el-Amarna il 6 dicembre 1912, durante gli scavi della Società Orientale Tedesca diretti dall’archeologo Ludwig Borchardt, ed è per questo conservato oggi a Berlino. L’opera fu rinvenuta nei resti di una casa di mattoni d’argilla, laboratorio dell’antico scultore egizio Thutmose, che del ritratto è quindi considerato l’autore. È stato ipotizzato che il busto si trovasse sopra una mensola di legno e che a seguito di un crollo cadde, rimanendo tuttavia quasi integro e venendo poi conservato e protetto dalle macerie sovrastanti.
Realizzato intorno al 1340 a.C., ossia negli anni ultimi del regno di Akhènaton, il busto, alto 50 cm, è di pietra calcarea, è interamente ricoperto di gesso dipinto e non riporta alcuna iscrizione geroglifica. L’identificazione del soggetto con Nefertiti non è però in discussione, in base alla somiglianza con altri ritratti e soprattutto per la caratteristica corona dalla forma tronco-conica allungata, il cui originale era impreziosito da un diadema d’oro e pietre preziose. Il serpente Ureo (nell’Antico Egitto, come la barba posticcia, simbolo di regalità) che si trovava sul lato anteriore della corona è andato perso.
L’occhio destro è in cristallo di rocca, con iride e pupilla finemente incise e dipinte. L’occhio sinistro è invece mancante. Non è stato mai stabilito con certezza se il busto sia stato abbandonato incompiuto oppure se, come sarebbe più legittimo supporre, questa parte è caduta. Nefertiti è, indiscutibilmente, bellissima: occhi leggermente a mandorla, zigomi alti, naso sottile, bocca carnosa dalle labbra sensuali, collo lungo ed elegante. Sembra, in effetti, una diva di Hollywood, finemente truccata da un moderno make up artist che ha disegnato le sopracciglia, esaltato il contorno occhi con il kajal e valorizzato le labbra con leggero tocco di rossetto rosso-bruno.
Secondo alcuni studiosi, questa immagine di Nefertiti è di una donna troppo bella per essere verosimile: il volto della sovrana sarebbe, dunque, di pura invenzione, del tutto idealizzato. Per quanto non sia affatto improbabile che lo scultore abbia reso più fini i lineamenti della regina e magari corretto alcune proporzioni, non vi è ragione di credere che Nefertiti, nota per la sua avvenenza, non assomigliasse a questo ritratto. Dobbiamo infatti considerare che l’arte egizia conobbe una spiccata attenzione per il dato naturalistico proprio durante il periodo della riforma religiosa imposta dal marito.
Salito al trono nel 1353 a.C., il faraone Akhènaton aveva infatti trasferito la capitale a Tell-el Amarna e sostituito il culto dominante del Sole, Amon, e di tutti gli altri dèi, con quello unico di Aton, il disco solare, imponendo, di fatto, una religione di tipo monoteista. Aveva anche cambiato il proprio nome regale originario, Amenofis, in quello che significava ‘colui che piace ad Aton’. La concezione religiosa di Akhènaton, chiamato il “primo profeta” e il “primo individualista” della storia, ebbe un suo pilastro ideologico nell’amore per la verità; e in un paese dove il legame fra l’arte e la religione era sempre stato così stretto, un principio tanto rivoluzionario non poté che portare a conseguenze di grande rilievo, seppure temporanee.
Con le antiche tradizioni religiose furono contestate le consuetudini artistiche, colpevoli di aver condannato l’arte egizia all’immobilismo. Il nuovo stile, oggi detto amarniano dal nome della nuova capitale, doveva esprimere amore per la vita e descriverla nella sua essenza più intima e individuale. In alcune opere, il re e la regina furono quindi riproposti com’erano nella realtà. Così, ammirando i suoi ritratti, scopriamo che Akhènaton era tutt’altro che atletico e bello, con il suo viso allungato, il naso pronunciato e le labbra carnose, il ventre cascante, le cosce grasse sugli stinchi sottili.
Possiamo poi ammirare i coniugi reali mostrati mano nella mano, una posa davvero inconsueta per due sovrani divinizzati, o mentre accudiscono affettuosamente le figlie femmine (sei, in tutto) nate dal loro matrimonio.
In realtà, questa “rivoluzione artistica” fu effettiva solo per quanto riguarda le opere private; le immagini ufficiali di Akhènaton, e in particolare le scene cerimoniali e protocollari, non avevano ancora risentito della grande riforma. Nel rilievo inciso con L’offerta ad Aton ritroviamo gli schemi tradizionali e i rigidi rapporti proporzionali di tipo gerarchico. Il faraone Akhènaton, con indosso la corona dell’Alto Egitto, è rappresentato con la moglie e la figlia mentre adora il dio Aton. La regina è alta solo due terzi, e la principessa appena un terzo del faraone: evidentemente, pochi anni di riforma non furono sufficienti a rimuovere per intero consuetudini secolari.
Peraltro, la rivoluzione monoteista non durò che l’arco di pochi anni e non sopravvisse ad Akhènaton, morto prematuramente (intorno ai 40 anni) e in circostanze mai del tutto chiarite. Il suo figlio illegittimo Tutankhamon, che recenti analisi del DNA hanno rivelato essere stato concepito da Akhènaton con una delle proprie sorelle biologiche, divenne faraone a soli nove anni, fu spinto a ripristinare i culti precedenti e restituì gli antichi privilegi ai sacerdoti.
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