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Paul Cézanne (1839-1906) fu l’esponente più di spicco della cosiddetta pittura postimpressionista. Abbandonò gli studi per dedicarsi totalmente alla pittura. Non fu mai una persona facile: schivo, tormentato, ipersensibile, tutti lo considerarono strano e persino paranoide. Come osserva un grande storico dell’arte, Giulio Carlo Argan, la sua biografia fu senza eventi: «Cézanne ha rinunciato ad avere una vita per fare la sua opera o, piuttosto, ha fatto dell’opera la sua vita. […] Come pura, disinteressata ricerca, simile a quella dello scienziato o del filosofo benché diversa nel metodo, concepì la pittura: ricerca di una verità, appunto, che non poteva essere altrimenti raggiunta che con quella meditazione fattiva in cospetto del vero ch’era, per lui, il dipingere». I nudi e i Bagnanti di Cézanne.
A Parigi, cercò invano di entrare nella prestigiosa École des Beaux-Arts, accontentandosi di frequentare i corsi dell’Académie Suisse. La visita al Salon des Refusés del 1863, dov’era esposta La colazione sull’erba di Manet, lo convinse che i tempi erano maturi per creare una nuova arte, fuori da ogni accademismo e da ogni scuola. Nel 1866, l’artista tentò di presentare al Salon un suo dipinto, che tuttavia gli fu rifiutato. Fu l’inizio di una carriera segnata da tanti insuccessi e da brucianti frustrazioni.
Negli anni successivi, Cézanne si accostò all’Impressionismo, pur non condividendo del tutto le istanze del gruppo. Risalgono a questo periodo i suoi primi, meravigliosi paesaggi.
Fu tuttavia il nudo uno dei generi pittorici più amato da Cézanne. L’artista, in particolare, produsse tre serie di dipinti con figure nude nel paesaggio, note come Bagnanti. La prima serie venne realizzata tra il 1873 e il 1877, quindi nel periodo impressionista: in questi quadri, le figure appaiono quasi integrate con gli elementi naturali, come le piante e l’acqua. La tavolozza è ridotta a pochi colori complementari (rosso-verde, giallo-azzurro), densi e profondi, stesi a pennellate parallele. È abbondantemente adottato il grigio, così spesso presente nelle opere di Cézanne: l’artista lo considerava una sintesi cromatica indispensabile per le sue composizioni. Il disegno è marcato, quasi assente il chiaroscuro. Soprattutto, l’immagine è bidimensionale e priva di effetto prospettico.
Nella seconda serie, prodotta tra il 1879 e il 1887, quindi nel cosiddetto periodo costruttivo, il colore sembra prevalere sul disegno e le figure presentano una monumentalità di stampo classico.
La terza serie, risalente agli anni 1895-1905, è sicuramente la più interessante e include tre grandi quadri, considerati come il suo testamento spirituale. In queste opere sono palesi i riferimenti all’arte greco-romana e rinascimentale: i nudi richiamano sia le Veneri antiche sia le tante divinità femminili dipinte da Tiziano nel Cinquecento. Nel contempo, è anche possibile riscontrarvi un qualche riferimento autobiografico: il tema dei bagnanti, infatti, si ricollega ai ricordi di gioventù del pittore, ai bagni fatti con gli amici e rievocati con nostalgia nelle sue lettere.
In queste opere, l’esperienza felice di un incontro armonico nel grembo della natura si arricchisce, al di là del semplice dato autobiografico, del riferimento alla mitica “età dell’oro”, durante la quale si era pienamente realizzata quella comunione fra l’uomo e la natura amica che la civiltà aveva poi spezzato.
In questi quadri, Cézanne ha cercato di raffigurare la “verginità del mondo”, quella totale fusione delle origini tra elemento umano ed elemento naturale; così come le figure che animano queste tele non possono che simboleggiare il principio femminile, la potenza creatrice primigenia.
D’altro canto, anche la loro prosperosa fisicità sembra rimandare alla figura di Demetra, la dea greca del grano e della terra coltivata, legata all’eterno ciclo della natura. L’artista è, insomma, alla ricerca di un nuovo classicismo, «non più fondato sull’imitazione scolastica degli antichi, ma rivolto a formare una nuova, concreta immagine del mondo», che «non doveva più essere cercata nella realtà esterna ma nella coscienza» (G.C. Argan).
Il linguaggio adottato da Cézanne, soprattutto nella terza serie, appare assolutamente rivoluzionario: i corpi umani, evidentemente lontani dal naturalismo di stampo classico, sono infatti concepiti come composizioni di linee, superfici e volumi e vengono trattati al pari dei tronchi d’albero, dei cespugli e delle nubi. I colori sono stesi in molti strati successivi e conferiscono alle immagini un marcato senso di compattezza; predominano i blu e i viola, che nella tradizione artistica sono identificati con la spiritualità.
Nel quadro intitolato Le grandi bagnanti, dipinto fra il 1898 e il 1905 e oggi a Philadelphia, i corpi femminili non intendono richiamare il tema della seduzione: al contrario, essi si presentano come spersonalizzati, ridotti a semplici volumi che nel loro piegarsi seguono l’andamento degli alberi. La disposizione di queste figure umane risponde in sostanza all’esigenza più pressante dell’ultimo Cézanne: quella di creare semplici rapporti spaziali in un’atmosfera carica di silenziosa contemplazione.
In dipinti come Nudo sdraiato con pere, del 1886-90, Cézanne arrivò a risultati quasi estremi, degni degli esiti più radicali del successivo Cubismo. In questo quadro, una donna è sdraiata su un divano blu ed è vista frontalmente. A sinistra, ribaltato in verticale, riconosciamo un tavolino ovale con una tovaglia e due pere.
Non solo, in questo caso, Cézanne ha utilizzato due punti di vista diversi (il primo frontale per la donna, il secondo dall’alto per il tavolo) ma ha anche differenziato le distanze. Il tavolo appare infatti irragionevolmente grande, e questo perché è visto da molto più vicino. Possiamo apprezzare il fascino indiscutibile di opere come questa solo accettandole come qualcosa di diverso dalla “semplice” rappresentazione della realtà.
In ciò consiste la grandezza di Cézanne: nella sua capacità di imporre una visione “distorta” della vita quotidiana, come se questa visione fosse più vera, più evidente e più vitale di quella dell’osservatore. Nei suoi quadri, le figure e gli oggetti appartengono a una realtà strutturata che l’artista, in qualche modo, visse come sostitutiva di quella quotidiana, con la quale non riuscì mai a confrontarsi. In altre parole, l’artista volle fornire il maggior numero possibile di informazioni sull’oggetto: quindi, nella sua pittura, sintetizzò ciò che si vede (con la percezione) e ciò che si sa (con la conoscenza), grazie alla memoria.
È chiaro che, così operando, Cézanne scardinò il sistema figurativo tradizionale, che da secoli si era basato sulla trascrizione prospettica delle esperienze percettive; la prospettiva, però, razionalizza e rende obbiettivo il processo percettivo, che secondo Cézanne è invece soggettivo e personale.
Leggiamo quanto scrive su di lui un grande storico dell’arte del XX secolo, Ernst Gombrich: «non si proponeva di deformare la natura, ma non gli importava che potesse riuscire deformata in qualche particolare minore se ciò poteva contribuire all’effetto desiderato. Non lo interessava molto la scoperta brunelleschiana della “prospettiva lineare”, e la buttò a mare non appena si accorse che intralciava il suo lavoro. […] Cézanne non mirava a creare un’illusione: voleva piuttosto esprimere il senso della solidità e della profondità, e capì di poterlo fare senza ricorrere al disegno convenzionale. Forse non si rendeva bene conto che questo suo esempio di indifferenza dinanzi al “disegno esatto” avrebbe provocato un franamento della storia dell’arte». Infatti, la pittura di Cézanne offrì degli spunti fondamentali per le nuove ricerche pittoriche del Novecento e in particolare per quelle di Picasso, che proprio nei quadri di Cézanne trovò un modello di riferimento essenziale.