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Nel 1419, il grande architetto Filippo Brunelleschi (1377-1446), considerato “il padre del Rinascimento”, progettò a Firenze, su incarico dell’Arte di Por Santa Maria (poi denominata Arte della Seta), e grazie al sovvenzionamento di Francesco Datini, mercante e banchiere pratese, il primo orfanotrofio d’Europa per bambini abbandonati: l’Ospedale degli Innocenti, o Spedale degli Innocenti, com’era chiamato un tempo. Considerando la sua data di progettazione, esso è il primo edificio compiutamente rinascimentale della storia. L’Ospedale e il Portico degli Innocenti.
I lavori di costruzione iniziarono nel gennaio del 1421, quando venne innalzata la prima colonna del portico, e sotto la direzione di Brunelleschi vennero completati, entro il 1427 (data dell’ultimo pagamento all’architetto), il portico medesimo, la chiesa, il dormitorio dei fanciulli e il Chiostro degli Uomini.
I lavori vennero poi sospesi, per riprendere solo nel 1436 sotto la direzione di Francesco della Luna, allievo e collaboratore di Filippo, che apportò qualche cambiamento al progetto brunelleschiano, non senza il disappunto dell’autore. D’altro canto, non sappiamo perché Brunelleschi scelse di non seguire più il cantiere. L’ospedale venne inaugurato il 25 gennaio 1445.
I neonati, abbandonati da ragazze-madri o da famiglie troppo povere per poterli crescere, venivano inizialmente deposti in una pila, situata sotto il portico; questa venne in seguito sostituita da una finestra, dotata ai primi del Cinquecento di una grata con le maglie abbastanza larghe da lasciare facilmente passare un bambino molto piccolo. L’innocente veniva collocato dentro la cosiddetta “ruota”, un meccanismo girevole a forma di cilindro diviso al suo interno da una paretina verticale.
A fianco della ruota, una campanella serviva a richiamare l’attenzione del custode. La finestra fu spostata, nel 1660, nell’attuale posizione, all’estremità sinistra del portico, per essere poi murata nel 1875.
L’edificio si affaccia sull’antistante Piazza della Santissima Annunziata, con il suo elegantissimo portico a colonne, che costituisce la parte più rilevante dell’intero intervento. I loggiati con portico erano già diffusi in epoca medievale ma uno così non si vedeva da secoli e costituiva una novità assoluta a Firenze. Prima che Brunelleschi si dedicasse all’architettura, l’interpretazione dell’antico era stata molto limitata e superficiale: forme tardogotiche erano state talvolta mescolate a elementi architettonici di ispirazione classica ma senza coerenza alcuna.
Mancavano progetti unificanti; inoltre, mancava sempre una relazione proporzionale fra le diverse parti degli edifici. Di fronte a uno scenario metodologico così approssimativo, il Portico degli Innocenti apparve subito come un vero e proprio miracolo artistico. Il suo aspetto così esplicitamente classicistico lo rendeva profondamente diverso dalla gran parte delle architetture realizzate in Italia durante il Medioevo e, nell’ottica di un recupero della cultura antica, esso risultò, agli occhi dei critici più colti ed illuminati, come una architettura modernissima.
Rialzato su un podio di nove gradini come un tempio romano, il portico brunelleschiano, lungo 71 metri circa, è formato da nove campate a pianta quadrata coperte da volte a vela. Le snelle colonne dai capitelli corinzi sostengono archi a tutto sesto, che poi in realtà sono formati da una sorta di architrave a settori incurvati. Le lesene scanalate con il sovrastante architrave creano un ordine maggiore tangente che inquadra e chiude la serie regolare degli archi.
I capitelli, di ordine corinzio, sono i primi del Rinascimento di corretta imitazione classica, perché basati su rilievi condotti a Roma: «nelle tre file di foglie sovrapposte abbiamo un ritmo di crescita energico, che si conclude con determinazione nei caudicoli che assumono una precisa e turgida forma geometrica a spirale. Inoltre, al centro due caudicoli si uniscono fra di loro, mostrandosi frontalmente, e non di scorcio, cioè con falsa prospettiva, come negli esempi tardo-classici e medioevali ma mantengono quasi le dimensioni di quelli angolari.
I peducci, con la loro forma a cesta stilizzata, rappresentano in modo specialmente evidente il processo di crescita del capitello corinzio, che indubbiamente Brunelleschi cercò di imitare» (E.Battisti).
Alla data del 1427, quando Brunelleschi abbandonò i lavori, la facciata dell’Ospedale sulla piazza si presentava così: il portico costituito dalle dieci colonne con le nove arcate; i tre ingressi, in corrispondenza della seconda, quinta e ottava arcata che immettono, rispettivamente, alla chiesa, al chiostro e al dormitorio; ai lati del portico, due pareti, con altrettanti ingressi, incorniciate da due lesene scanalate per lato. Gli elementi decorativi rotondi, inseriti negli spazi compresi fra i nove archi centrali e la trabeazione (pennacchi) erano a superficie concava e vuoti. Le volte del portico erano coperte da un semplice tetto, oltre il quale emergevano i corpi simmetrici delle costruzioni retrostanti, ossia la chiesa e il dormitorio.
I materiali scelti da Brunelleschi per la costruzione del suo Portico, ossia la pietra serena per le membrature architettoniche (un’arenaria di colore grigio-azzurrognolo) e l’intonaco bianco delle pareti, sono a basso costo ma hanno il pregio di creare un’equilibrata ed elegante bicromia. I tondi, che Brunelleschi aveva previsto vuoti, nel 1487 furono colmati dallo scultore Andrea della Robbia (1435-1525) con figure di bambini in fasce, i famosissimi Putti degli Innocenti, realizzati in terracotta invetriata.
Questa tecnica, elaborata dalla famiglia dei della Robbia, consisteva nel verniciare con effetto vitreo le terrecotte (letteralmente il termine vuol dire ‘verniciato a vetro’). Andrea raffigurò i dieci putti in maniera diversa l’uno dall’altro, variandoli nelle pose e nelle espressioni sui volti. Elemento unificante è il blu cobalto degli sfondi, che fanno risaltare i corpicini bianco latte e le fasce, colorate in delicate cromie violette, azzurre, rosse e vinaccia. I quattro Putti posti nei relativi tondi alle due estremità della facciata sono invece di imitazione, vennero realizzati dalla Manifattura Ginori e collocati, nel 1845, in occasione del restauro condotto dall’architetto Leopoldo Pasqui, il quale consolidò e sostituì anche le colonne del portico, lesionate dal terremoto del 1842.
A differenza di quanto avveniva negli edifici medievali, l’organismo architettonico del portico brunelleschiano presenta un modulo proporzionale che istituisce un rapporto matematico preciso fra altezza, larghezza e profondità dell’edificio. Tutte le misure del portico dipendono infatti da una sola, ossia l’altezza della colonna (poco meno di 6 metri), che dunque non è più solo adottata per la sua forma ma, come nell’architettura antica, diventa unità di misura di tutto l’insieme.
La misura della corda degli archi è infatti uguale all’altezza totale di ogni colonna (dalla base al pulvino che sovrasta il capitello) e alla distanza dalla parete di fondo. Il modulo tra colonna e colonna non è quindi calcolato partendo dagli assi centrali delle colonne ma misurando la distanza fra le basi (intercolumnio). Ne consegue ugualmente, tuttavia, un congegno architettonico modulare, formato da spazi cubici accostati e sormontati dalle forme curve delle volte.
Il portico brunelleschiano è anche una costruzione di straordinario valore urbanistico, giacché qualifica la piazza antistante. L’intelligente completamento dello spazio di Piazza dell’Annunziata da parte di successivi architetti, che nel Cinquecento realizzarono portici simili su altri due lati della piazza, ha consentito la creazione di un vero e proprio “foro porticato moderno”, uno spazio unitario simile a quelli dell’antica Roma ma pensato per la città rinascimentale.
Un luogo che in tanti secoli non ha perso il suo fascino: oggi, per esempio, Piazza dell’Annunziata è la meta privilegiata degli studenti universitari, che amano riposarsi sui gradini dei portici durante la pausa delle lezioni ma anche dei turisti, che qui si concedono una pausa nella loro visita della città.
Nel 1436, Francesco della Luna riprese i lavori, interrotti da Brunelleschi, intervenendo sul progetto originario. Nel 1439, soprelevò il portico di un piano, al fine di ottenere una vasta sala coperta. Il tetto del portico venne così sostituito da una struttura chiusa, scandita da finestre rettangolari, poste in asse con gli archi sottostanti, sormontate da timpani e visivamente sostenute da una cornice marcapiano.
Inoltre, aggiunse al portico di facciata una campata cieca sulla destra, che integrò con un’altra lesena, e piegò a squadra l’architrave, a mo’ di cornice laterale, secondo il modello dell’attico del Battistero di Firenze che egli credeva, come tanti, un edificio di età classica. Secondo la testimonianza del Vasari, Brunelleschi criticò tale soluzione:
«Dicesi che Filippo fu condotto a Milano per fare al duca Filippo Maria [Visconti] il modello d’una fortezza, e che a Francesco della Luna, amicissimo suo, lasciò la cura di questa fabbrica degli Innocenti. Il quale Francesco fece il ricignimento d’uno architrave che corre a basso, di sopra, il quale secondo l’architettura è falso: onde tornato Filippo e sgridatolo, perché tal cosa avesse fatto, rispose averlo cavato dal tempio di San Giovanni [il Battistero di San Giovanni a Firenze] che è antico. Disse Filippo: “Un error solo è in quello edifizio, e tu l’hai messo in opera”».
Secondo altre fonti, tra cui Antonio Manetti, Brunelleschi osservò che se poi si fosse sovrapposto un secondo ordine di lesene alle colonne sottostanti, si sarebbe ovviato, otticamente, anche al problema della distanza tra le finestre, che non è regolare e aumenta alle estremità della facciata.
Si deve a Francesco della Luna la realizzazione del secondo cortile dell’Ospedale, detto Cortile delle Donne.
Negli anni successivi vennero poi ricavate le due grandi arcate che oggi fiancheggiano il portico e venne estesa la facciata anche nella parte sinistra, conferendo alla facciata dell’Ospedale l’aspetto attuale.
La soluzione brunelleschiana degli archi impostati sulle colonne, presente nel Portico degli Innocenti, si rifà direttamente alle strutture paleocristiane, come per esempio la Basilica di Santa Sabina a Roma, che Brunelleschi considerava ancora “classiche” (e sono pur sempre romane-tardoantiche) ma che in alcun modo possono considerarsi canoniche.
Gli antichi Romani, infatti, in età imperiale percepivano come contraddittoria la combinazione fra colonna e arco, giacché quest’ultimo appartiene al muro entro il quale sembra essere stato ritagliato, mentre la colonna è un elemento plastico autosufficiente. Le colonne devono dunque sostenere solo trabeazioni rettilinee e orizzontali, secondo l’insegnamento dei Greci, mentre gli archi vanno impostati su pilastri. Nel Portico degli Innocenti, insomma, Brunelleschi commise un errore, almeno in un’ottica rigorosamente classicistica: un errore del tutto giustificabile, considerando la scarsa conoscenza che ancora ai primi del Quattrocento si aveva dell’architettura antica.
Il rigore scientifico e la chiarezza espositiva compongono un binomio perfetto. Tutto assai ben descritto e spiegato. Tutto molto bello
Grazie per le preziose osservazioni.
Maria