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Caspar David Friedrich (1774-1840) fu uno dei principali esponenti del Romanticismo tedesco nonché uno dei principali paesaggisti dell’Ottocento europeo. Ma i suoi non furono semplici paesaggi. Attraverso la rappresentazione della natura, presa quasi a pretesto, Friedrich rese visibile l’aspirazione al grande e al bello che muove ogni uomo, il suo tendere verso l’Infinito, il suo costante interrogarsi sul significato stesso dell’esistenza, il suo ricercare ossessivamente risposte che quasi mai arrivano. I paesaggi di Friedrich sono la più compiuta manifestazione di quel sentimento del sublime che si genera in ogni animo sensibile di fronte allo sconfinato spettacolo del mondo e del cosmo. I paesaggi di Friedrich.
Il paesaggio e il sacro
Friedrich fu profondamente, intensamente religioso. Considerò l’opera d’arte come una finestra aperta sul mondo dell’invisibile e attraverso questa pittura religiosa, concepita come atto di fede e gesto di pietà, s’interrogò a lungo sul destino dell’uomo, ricercò sempre, nel mondo profano, l’esperienza dell’assoluto e del sacro. «La legge dell’artista è il suo sentimento», scrisse Friedrich. E se il sentimento aveva valore primario, l’oggetto rappresentato aveva importanza solo nel suo rapporto con l’interiorità, con l’anima dell’artista.
Attraverso questo percorso di ricerca, Friedrich sviluppò un nuovo rapporto fra la pittura di paesaggio e la pittura sacra. Anzi, giunse a concepire ogni forma d’arte come religiosa, ogni aspetto della natura come sacro. La santità, secondo Friedrich, poteva esprimersi in un prato, in un albero, in una nube, allo stesso modo che nella figura di un profeta, di un angelo o del Cristo. «Il divino è ovunque, anche in un granello di sabbia», scrisse una volta l’artista; «una volta l’ho raffigurato in un canneto». Egli, insomma, intese svelare la presenza divina nella natura, che a suo dire mediava nel rapporto dell’uomo con Dio.
Croci in montagna
In circa quaranta delle sue opere compare, in primo piano o sullo sfondo, un crocifisso. Ciò vale, ad esempio, per Croce in montagna, dipinto nel 1808 per una cappella privata. Un crocifisso è piantato sopra un picco montuoso ed è rivolto verso il sole che tramonta. «La croce si innalza su di una roccia che è salda come la nostra fede», scrisse l’artista a proposito di quest’opera. Non è un dipinto sacro, almeno non secondo i canoni tradizionali, ma un paesaggio che si riveste di una profonda religiosità. I paesaggi di Friedrich.
L’immagine, come tante altre del pittore, è carica di elementi allegorici: il sole è il Padre Eterno che dà la vita, la roccia è salda come la fede in Cristo, gli abeti sempreverdi che circondano la croce, resistenti allo scorrere del tempo, simboleggiano la speranza che gli uomini ripongono in Dio. Singolare e affascinante è anche la cornice (eseguita da un amico dell’artista, Karl Gottlieb Kuhn, su disegno dello stesso Friedrich), i cui elementi si riconnettono al simbolismo vegetale del quadro. Le cinque teste di angeli corrispondono ai cinque raggi di luce solare, dipinti nella tela dietro le rocce.
Basilius von Ramdhor
La critica del tempo attaccò Croce in montagna, accusando l’artista di aver infranto le leggi più elementari della tradizione pittorica: le proporzioni tra le figure e le distanze reali apparivano errate ma soprattutto si reputò scandalosa la scelta di un paesaggio per una pala d’altare. «In verità, quando la pittura di paesaggio vuole insinuarsi nelle chiese e salire sugli altari si è alla presenza di un’arroganza senza limiti»: così scrisse un critico d’arte dell’epoca, Basilius von Ramdhor, deplorando «quel misticismo che sta insinuandosi dappertutto e i cui tanfi ci assalgono come un miasma narcotico esalato dall’arte, dalla scienza, dalla filosofia e dalla religione».
Secondo Friedrich, tuttavia, il culto della natura non aveva nulla di blasfemo e non era incompatibile con l’adesione al cristianesimo; anche se, con opere del genere, egli dimostrò di voler fondare la propria fede più sui sentimenti individuali che sui dogmi della Chiesa.
Paesaggi invernali con chiese
Il sentimento celebrato da Friedrich non è mai caratterizzato da una particolare immediatezza o violenza; esso è sempre triste e contemplativo: è, prima di tutto, una forma di struggimento, una logorante sofferenza interiore causata dalla nostalgia e da un desiderio tormentoso. Un desiderio che non può mai raggiungere la propria meta, perché non la conosce e non sa, non può o non vuole conoscerla. L’artista, come uomo romantico, ha un’anima inquieta, riconosce la transitorietà della vita, sente di non appartenere al passato ma non crede nel futuro. Ama dunque la riflessione e la solitudine. I paesaggi di Friedrich.
In Paesaggio invernale con chiesa, del 1811, Friedrich ha rappresentato una landa innevata con un grande crocifisso eretto fra gli abeti. Un uomo, seduto per terra e appoggiato ad una roccia, ha gettato le sue stampelle di lato ed osserva la croce, quasi rapito da una visione estatica, forse attendendo il miracolo che lo guarirà. Prega.
Il dipinto e la preghiera
In mezzo a tutta questa neve, gli alberi che circondano la croce sono sempreverdi: come la vera fede, che resiste a ogni avversità e non appassisce. Sullo sfondo, sorge nella foschia la visione fantastica di una cattedrale gotica, simbolo della vittoria dello spirito e della trascendenza. Questo paesaggio è una sorta di visione onirica, la trascrizione di una scena di sogno. Gli oggetti e gli elementi rappresentati hanno sembianze reali; risultano, tuttavia, composti in modo da esaltare la valenza simbolica di tutta la scena. Non è, insomma, la semplice rappresentazione di una preghiera: il dipinto “è”, esso stesso, una preghiera.
Ritroviamo un soggetto analogo in un quadro di poco posteriore, Croce e cattedrale nella montagna, del 1812. Qui la croce è in primo piano, manca la figura umana in preghiera; sullo sfondo emerge una cattedrale, la quale si mescola, visivamente, con gli alti alberi, che quasi sembrano generarla. I paesaggi di Friedrich.
I paesaggi innevati
La neve e il ghiaccio rendono tangibile il silenzio, ovattano ogni suono e lasciano spazio ai pensieri. Certamente, gli sconfinati paesaggi innevati si fanno anche metafora esplicita e immediata di morte, soprattutto in presenza di rovine, cimiteri o tombe.
L’Abbazia nel querceto, dipinta nel 1809-10, è, difatti, una delle sue più struggenti allegorie della vita e della morte. L’antico edificio gotico in rovina, di cui resta solo la facciata, si fa testimone della caducità di tutto, e di come il tempo trascorra ignaro dei destini di ognuno, ogni cosa consumando. Non v’è ambizione che non venga vanificata dall’ineluttabilità del tempo che passa e che nulla lascia integro o in vita. I paesaggi di Friedrich.
Uomini e donne a contemplare l’Infinito
I protagonisti dei quadri di Friedrich non guardano verso di noi ma ci danno le spalle. Essi contemplano i paesaggi sconfinati che si aprono davanti a loro e dunque ai nostri occhi. E anche noi, che non possiamo incrociare il loro sguardo, finiamo con il condividere quella visione, a fare nostra la loro contemplazione. Gli uomini e le donne di Friedrich siamo noi, infatti, che facciamo nostre le domande del pittore. I paesaggi di Friedrich.
Nel dipinto intitolato Un uomo e una donna davanti alla luna, una coppia sta contemplando la luna all’orizzonte. In una versione successiva, troviamo invece due amici assorti nel medesimo paesaggio notturno. L’immagine, misteriosa e cupa per i colori scelti, genera nell’osservatore un senso di sottile inquietudine e sembra volerlo spingere a interrogarsi sulla condizione dell’uomo, solo e vulnerabile di fronte alla vastità della natura. Due grandi alberi, uno spoglio e quasi sradicato e l’altro invece ricco di foglie, invitano a meditare sull’eterno conflitto fra la vita e la morte.
Giacomo Leopardi
Che sembra quasi di sentirle, a guardare questo quadro, le parole di Giacomo Leopardi in Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: «Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,/ silenziosa luna? / Sorgi la sera, e vai, /contemplando i deserti; / indi ti posi. / Ancor non sei tu paga / di riandare i sempiterni calli? / Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga / di mirar queste valli?». Ad esse il poeta, come il pittore, pone le domande che non sembrano avere risposta.
«Dimmi, o luna: a che vale / al pastor la sua vita, / la vostra vita a voi? dimmi: ove tende / questo vagar mio breve, / il tuo corso immortale?». E infine: «e quando miro in cielo arder le stelle; /dico fra me pensando: /— A che tante facelle? / che fa l’aria infinita, e quel profondo / infinito seren? che vuol dir questa / solitudine immensa? ed io che sono?».
Il viandante sul mare di nebbia
Il viandante sul mare di nebbia, capolavoro assoluto dell’artista, dall’alto della vetta faticosamente raggiunta interroga il mistero del mondo, che poi è anche il Mistero dell’esistenza. E anche il Monaco sulla spiaggia, che sparisce di fronte alla vastità del mare e del cielo, si annulla di fronte a quella immensità. Spaurito? Angosciato? Difficile a dirsi. Certo è che, come osservava Leopardi, la grandezza dell’uomo sta proprio in questa sua capacità di percepirsi infinitamente piccolo, poiché egli è capace anche di comprendere e abbracciare l’infinitamente grande.
Carmelo Bene recita il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi.
Il naufragio della vita
Nel 1824, Friedrich manifestò i primi sintomi di una grave malattia nervosa legata probabilmente al suo perenne stato depressivo. Fu proprio in questo periodo, tuttavia, che realizzò uno dei suoi grandi capolavori: Il mare di ghiaccio, opera nota anche come Il naufragio della Speranza. Il quadro rappresenta un vascello naufragato e inghiottito dal ghiaccio. Dell’imbarcazione s’intravedono, a destra, solo alcune tracce scheletriche, pochi resti frantumati quasi interamente nascosti dalla piramide frastagliata di un iceberg spezzato, che sembra composto da lapidi di marmo sovrapposte. I paesaggi di Friedrich.
La scena fu giudicata inattendibile, quel paesaggio di ghiaccio non era verosimile. Ma Friedrich non intendeva dare alla sua pittura alcuna valenza oggettiva. Egli non si limitò mai ad osservare la natura, piuttosto la contemplò. I suoi paesaggi sono prima di tutto paesaggi dell’anima, proiezioni di un sentimento, traduzioni in immagini di un pensiero, di un’aspirazione, di un anelito di fede.
Nel Mare di ghiaccio, l’allucinante visione del mondo gelato, trasformatosi tragicamente in un paesaggio cimiteriale, è dunque concepita con intento simbolico: essa vuole indicare che le aspirazioni effimere dell’uomo sono regolarmente distrutte dalle forze ostili di una natura onnipotente. Ogni sforzo sembra risultare vano. L’azione, il coraggio, l’energia sono del tutto inutili. La natura si vendica sempre per le ferite che l’uomo le ha inferto e nel momento in cui questi lede la sua inviolabilità essa lo distrugge.
Il paesaggio glaciale di Friedrich offre, comunque, una chiave di lettura religiosa. I blocchi di ghiaccio potrebbero, ancora una volta, alludere a Dio, un Dio eterno e inaccessibile, e i resti della nave richiamare la fragilità umana di fronte all’essenza divina. In tal caso, il dipinto sarebbe nuovamente un’allegoria della morte, l’ultima tappa della navigazione della vita.