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La pala con la Sacra Conversazione, nota come Pala di Brera, fu commissionata al grande pittore rinascimentale Piero della Francesca (1415/20-1492) da Federico da Montefeltro, signore di Urbino, per celebrare la nascita dell’erede maschio Guidubaldo nel 1472 e per commemorare la morte della moglie Battista Sforza, deceduta per le conseguenze del parto. Destinata in origine a un mausoleo mai realizzato e collocata nella Chiesa di San Bernardino a Urbino, dove riposano il duca e sua moglie, la tavola fu poi prelevata, nell’Ottocento, dagli esperti d’arte francesi mandati in Italia da Napoleone a far incetta di opere d’arte.
A causa della scarsa considerazione che godeva il suo autore all’epoca, l’opera fu tuttavia destinata alla Pinacoteca milanese di Brera (museo napoleonico “minore”) e non al Louvre. Dalla Pinacoteca di Brera, l’opera ha poi ereditato il nome con cui è ancora oggi conosciuta.
La Pala di Brera raffigura in tutto tredici figure: la Madonna, Gesù Bambino, sei santi, quattro angeli e il committente. La Madonna, tanto dolce quanto enigmatica, è seduta su un trono basso, ma posto su una pedana, e tiene le mani giunte, mentre il Bambino giace addormentato sulle sue ginocchia. L’inclinazione del piccolo è la stessa delle braccia di Federico e della sua spada: un artificio per collegare le due figure e alludere alla nascita dell’erede.
Gesù è nudo e ornato solo da una collanina di corallo (usato come amuleto sin dai tempi antichi). Il sonno del piccolo Gesù prefigura, simbolicamente, la sua futura morte: il ramoscello pendente di corallo, infatti, gli disegna sul corpicino la ferita sanguinante del costato. Gli angeli sono ornati da perle e rubini (simboli della purezza e dell’amore).
Federico da Montefeltro è inginocchiato in primo piano, come sempre mostrando il lato sinistro, e indossa l’armatura, a indicare il suo impegno a difendere la Chiesa. Pare che Piero abbia dipinto il duca con la collaborazione di un fiammingo, forse Giusto di Gand (1430-1480), cui sono state attribuite le robuste mani inanellate e le bellissime stringhe di cuoio rosso, tipico vezzo dei ricchi di allora.
I personaggi si trovano, apparentemente, al centro di una crociera, davanti a un coro ornato da marmi policromi, coperto da una volta a lacunari e concluso da un’abside con una nicchia a conchiglia, simbolo della natura generatrice della Vergine, dalla quale pende un uovo di struzzo. Quest’ultimo simboleggia ancora una volta la Vergine e la sua miracolosa gravidanza (giacché un tempo si credeva che gli struzzi fossero capaci di fecondarsi da soli), oltre che rimandare all’emblema dei Montefeltro, nel quale lo struzzo è presente con un pezzo di lancia nel becco.
L’architettura che accoglie i personaggi è di stampo albertiano. Lo straordinario effetto prospettico con cui è resa viene esaltato dalla luce che irrompe da sinistra. Questo effetto di tridimensionalità, una volta, era più evidente: la pala infatti fu tagliata ai lati e privata dell’originale porzione di navata, della quale oggi s’intravedono soltanto gli angoli. Dobbiamo tuttavia osservare che Piero, da grande maestro prospettico, volle giocare con gli effetti illusionistici.
La zoccolatura che s’intravede sotto il gomito del Battista chiarisce, per esempio, che lo spigolo è alle sue spalle e non davanti a lui, e che dunque le figure si trovano nella navata e non nella crociera, come invece appare a un primo sguardo. Una finzione nella finzione, insomma; e non a caso manca la scacchiera del pavimento, tradizionale strumento di misurazione ottica usato nel Quattrocento.
D’altro canto, noi sentiamo il gioco delle luci profondamente unitario e coerente, cosa che non è: l’uovo, che si trova alle spalle della Vergine e sul fondo di un ambiente senza finestre, è illuminato come la testa di Maria, e dunque sembra pendere a perpendicolo su di lei. Quest’uso intellettuale e non naturalistico della luce serve a fondere intimamente i personaggi con l’architettura, e a fare della figura della Madonna un’allegoria della Chiesa stessa.
Non sono le uniche ambiguità. Si noti come l’artista abbia usato lo stesso cartone per i volti di due santi diversi, e per giunta vicini: San Bernardino e San Girolamo (il secondo e il terzo da sinistra), come a dire che la santità ha sempre lo stesso volto. I rapporti proporzionali, poi, sono volutamente scorretti: si provi ad immaginare quale altezza raggiungerebbe la Vergine se solo si alzasse in piedi.
Un’ultima annotazione riguarda l’immagine del duca, che veniva sempre rappresentato dal medesimo lato per ragioni di decoro in quanto, nel 1450, aveva perduto l’occhio destro durante un torneo, come ci mostra una recente e suggestiva ricostruzione del reale aspetto di Federico. Il suo particolarissimo profilo, reso celebre dal ritratto, oggi agli Uffizi, che Piero realizzò per lui, era poi il risultato di un intervento di chirurgia, dai risultati estetici discutibili ma, per altri versi, assai funzionale: il duca si era fatto asportare un pezzo di naso, per poter sbirciare con l’unico occhio anche dall’altra parte.
Piero della Francesca Pinacoteca di Brera Pittori del Quattrocento Tempera
La famosa Pala di Brera….ma dal suo commento chiaro e circostanziato ho imparato qualcosa in più sulla storia del dipinto e sui significati simbolici. È un’eresia se ammetto che mi ha sempre colpito molto la luminosità della corazza del duca?
Per nulla. È prodigiosa!
Un articolo scritto molto molto bene. E’ interessante anche il corallo che, oltre a essere un richiamo al sangue di Gesù (come raccontato), sta a significare “richiesta di protezione”. E lo stesso corallo torna in un’altra opera di Piero della Francesca, vale a dire la Madonna di Senigallia, dove il bambino che “richiede protezione” presenta molti richiami all’appena nato Guidobaldo, figlio di Federico da Montefeltro. Solo un’ipotesi, per carità… ma di certo estremamente suggestiva. Un sorriso.
Nararzione interessanet e utile per capire meglio.
Bisognerebbe trovarla, quando si va a vedere il quadro di persona