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Il grande pittore rinascimentale Giorgione (1477-1510), probabilmente così chiamato perché di corporatura robusta, fu nominato tra i pittori “eccellentissimi” da Baldassare Castiglione, nel suo Cortegiano del 1528. Diede corpo con la propria pittura a tutti gli aspetti più misteriosi e affascinanti della cultura veneziana, prima fra tutte l’abolizione di qualsiasi sfondo architettonico. Nei suoi dipinti seppe raggiungere una finezza straordinaria nella realizzazione dello sfumato pittorico, per mezzo del quale conferì alle sue forme una pienezza incredibile. Nessuno prima di lui aveva rappresentato il paesaggio restituendo, in maniera tanto mirabile, la viva sensazione della densità atmosferica. La Pala di Castelfranco di Giorgione.
Lo dimostra uno dei suoi più celebri capolavori: la Pala di Castelfranco, unica pala d’altare conosciuta di Giorgione. L’opera fu commissionata dal condottiero Tuzio Costanzo con intenti commemorativi e realizzata nel 1500 circa per la Cattedrale di Castelfranco, paese natale dell’artista, dove ancora oggi è conservata. La semplice composizione di questa sacra conversazione è ancora legata agli schemi iconografici del Quattrocento veneziano. A differenza di quanto avevano fatto gli artisti che lo avevano preceduto, però, Giorgione rinunciò alle complesse ambientazioni architettoniche: abolì infatti la tradizionale nicchia absidale e sostituì lo sfondo con un vasto e luminoso paesaggio.
La Madonna col Bambino siede isolata sul trono, poggiato a sua volta sopra un altissimo basamento, decorato da eleganti tappeti e dallo stemma di famiglia del committente.
San Francesco e san Nicasio, quest’ultimo rivestito di un’armatura che splende di luci riflesse, si trovano ai piedi della Vergine e formano gli estremi di base del triangolo compositivo.
Dietro questa apparente semplicità, si cela una delle opere più complesse dell’arte veneta: il paesaggio collinare, ricco di prati e alberi, non è costruito e architettato come nella pittura quattrocentesca ma è un’immagine “diretta” della natura, nel senso che le sue distanze sono misurate e dunque costruite sulla tavola attraverso le diverse reazioni dei colori alla luce. Allo stesso tempo, il paesaggio partecipa intimamente al carattere dei santi in primo piano: il turrito castello sovrasta infatti il giovane guerriero, mentre al melanconico frate corrisponde una dolce e distesa prateria.
La Vergine, che appare quasi turbata, sembra isolata e neanche in grado di poter comunicare con i santi ai suoi piedi. Per accentuare il suo isolamento, Giorgione non esitò a utilizzare nel quadro due sistemi prospettici autonomi, uno per la parte bassa e uno per la parte alta del piedistallo. In tal modo la figura femminile, nonostante l’evidente corporeità, è trasfigurata nel ruolo dell’icona, diventa essa stessa pala d’altare, quasi un dipinto nel dipinto.