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Il Pantheon, dal greco, letteralmente, ‘tempio consacrato a tutti gli dèi’, passati, presenti e futuri, è un particolarissimo monumento dell’antica Roma. Si tratta, infatti, di un tempio grandioso che non segue la tradizionale tipologia del tempio italico. Un primo Pantheon, a pianta rettangolare, era stato costruito nel 27-25 a.C. in Campo Marzio a Roma, per volere di Agrippa, genero di Augusto. Distrutto da un incendio nell’80 d.C., restaurato da Domiziano e colpito da un fulmine nel 110 d.C., fu interamente ricostruito sotto Adriano fra il 118 e il 125 d.C.
La ricostruzione adrianea riporta tuttavia l’iscrizione originale in bronzo di dedica dell’edificio, M•AGRIPPA•L•F•COS•TERTIVM•FECIT, ossia «Marcus Agrippa, Lucii filius, consul tertium fecit», «Lo costruì Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta».
Consacrato come chiesa nel 608 d.C., e dedicato a Santa Maria della Rotonda o Santa Maria ad Martyres, il Pantheon fu trasformato, nel tempo, in un mausoleo. Prima vennero traslate, nei suoi sotterranei, le reliquie di alcuni martiri, poi furono allestite le tombe di eminenti personaggi (tra cui i pittori Raffaello e Annibale Carracci) e dei due primi re d’Italia, Vittorio Emanuele II e suo figlio Umberto I.
Il Pantheon è l’unico edificio antico quasi perfettamente integro, e l’unico con questa tipologia che non sia stato ridotto allo stato di rudere. Infatti, esso non è mai stato alterato, almeno non in maniera sostanziale. Il rivestimento interno di marmo, quello dell’ordine superiore, non è più originale. Inoltre, sono state asportate, nel tempo, le decorazioni bronzee a rosette, poste all’interno della cupola, la calotta di rivestimento esterna (anch’essa in bronzo dorato), le decorazioni del frontone nonché la travatura in bronzo del pronao, che nascondeva alla vista le capriate.
Questa scellerata spoliazione venne in gran parte compiuta nel XVII secolo, per ricavare il materiale necessario alla realizzazione dei cannoni di Castel Sant’Angelo e (in minima parte) anche del colossale Baldacchino di San Pietro del Bernini. In realtà, i documenti d’archivio avrebbero accertato che Bernini, non conoscendo la lega usata dai romani, si sia poi rifiutato di utilizzare quel bronzo. In ogni caso, dallo scellerato scempio deriva una celebre frase satirica di Pasquino (in questo caso identificato con monsignor Carlo Castelli), ossia Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini, che tradotto letteralmente significa: «quello che non fecero i barbari, fecero i Barberini», in riferimento a Maffeo Barberini, ossia papa Urbano VIII, il quale, nel 1625, diede appunto l’ordine di strappare l’antico bronzo al Pantheon.
Fu sempre Urbano VIII a ordinare la demolizione dell’antico campanile medievale impostato sull’avancorpo del tempio (il ‘corpo intermedio’ che unisce il pronao alla rotonda) e la sua sostituzione con due nuovi campanili moderni. Le torri realizzate tuttavia non piacquero al pontefice, che ne chiese l’immediata distruzione. Ne vennero quindi costruite altre due, su disegno di Carlo Maderno, affiancato a quel tempo dal Borromini. Non avrebbe invece partecipato a tale progetto il Bernini, a differenza di quanto è stato lungamente sostenuto. Le due torri, dispregiativamente chiamate dai Romani “orecchie d’asino”, furono poi demolite nell’Ottocento, per ripristinare l’aspetto originario del tempio.
Il Pantheon presenta una pianta circolare ed è preceduto da un profondo pronao, ossia un portico d’ingresso, combinando dunque una tipologia centrale (la rotonda) e una longitudinale (il tempio italico).
Il pronao è octastilo, ossia con 8 colonne sulla facciata, ma presenta in tutto sedici colonne corinzie di granito grigio e rosso, con basi e capitelli in marmo, disposte su tre file (otto frontali e due gruppi di quattro). In realtà, due colonne non sono originarie del monumento e provengono dalle Terme Neroniane: furono lì collocate nel Seicento, a seguito di un’operazione di restauro.
Il frontone del pronao presenta un timpano liscio ma una volta era certamente decorato con inserti in bronzo, come testimoniano i fori provocati dai supporti che li sostenevano. Si trattava, probabilmente, di un’aquila con una corona.
Il tetto del pronao, a doppio spiovente, è sorretto da capriate lignee, un tempo nascoste alla vista da una ricca copertura bronzea. Il pavimento è invece decorato da lastre marmoree policrome, che creano una sofisticata decorazione geometrica a cerchi e quadrati.
Una volta l’edificio si affacciava su una stretta piazza porticata, dalla quale appariva solamente il pronao con la sua facciata alla greca, simile a quella del Tempio di Marte Ultore del Foro di Augusto. Il pronao rappresentava il doveroso omaggio alla tradizione greca e la scelta di nascondere la rotonda della cella alla vista dei fedeli era l’ennesima dimostrazione che i Romani, in pieno II sec. d.C., ancora non ritenevano opportuno imporre, in un edificio pubblico e ufficiale come il tempio, le proprie peculiari concezioni architettoniche.
La cella circolare ha un diametro di 43,21 metri ed è coperta da una cupola emisferica cassettonata, aperta al centro da un finestrone, detto oculo, di 9 metri di diametro. Questo oculo ha il compito di fare entrare aria e luce; non essendo schermato da vetri, consente alla pioggia di penetrare all’interno della costruzione. La cupola del Pantheon è, ancora oggi, una delle cupole in muratura più grandi del mondo.
Il cilindro che costituisce la parete continua della cella (detto, per la sua forma “tamburo”) è spesso circa 6 metri, ed è scavato da sette nicchie rettangolari e semicircolari, incorniciate da lesene e ornate da coppie di colonne corinzie. La trabeazione continua, sostenuta dalle colonne e dalle lesene, forma un grande anello, sormontato da un’alta parte superiore (detta attico) con finestre timpanate.
L’interno del Pantheon era quanto di più originale gli architetti romani avessero saputo inventare sino ad allora: uno spazio dilatato e continuo, avvolgente e vibrante, con la sua cupola che si gonfia verso il cielo e che fa entrare, dal suo oculo centrale aperto in alto, la luce del giorno facendola cadere, in modo uniforme e solenne, sui marmi, le colonne, i frontoni, le sculture. Non mancavano precedenti architettonici capaci di creare un effetto simile, come alcune sale termali oppure la Sala ottagonale della Domus Aurea di Nerone, ma nel Pantheon la ricerca romana dell’architettura intesa come massa, come spazio, come continuità di curve e superfici, così diversa da quella greca per concezione e composizione, raggiunse probabilmente il suo traguardo più importante.
L’architetto del Pantheon seppe sfruttare, oltre i limiti allora conosciuti, tutte le possibilità del calcestruzzo, o anche opus caementicium, ossia del principale materiale da costruzione usato dai Romani, impastando la malta di calce con sabbia pozzolanica e con inerti più grossolani. La distribuzione dei pesi e l’opposizione alle spinte mostrano la conquista di una competenza tecnica veramente prodigiosa. Le fondazioni sono, infatti, mastodontiche e la cupola, il cui effetto è simile a quello di un gigantesco monolite, è interamente in calcestruzzo e fu realizzata mediante una gigantesca impalcatura che già riportava, in negativo, le forme dei cassettoni.
Gli inerti sono distribuiti in base al loro peso e alla resistenza alla compressione: tufo in basso, poi tufo e laterizio e, alla sommità della cupola, leggerissima pietra pomice. Anche lo spessore della cupola non è costante, ma diminuisce progressivamente dall’imposta alla chiave (riducendosi da sei metri a un metro e mezzo circa). Lo spessore del tamburo è scavato da profonde nicchie, finestre cieche e altre cavità, destinate a diminuire il peso della muratura.
Nell’edificio sono stati identificati alcuni simboli cosmici: alcuni sono piuttosto palesi (per esempio il cerchio, che rappresenterebbe lo spazio; le otto cavità della parete, che richiamerebbero i punti cardinali; o la cupola, che sarebbe il cielo), mentre altri risultano meno chiari (per esempio il numero dei cassettoni, 28 per ogni anello). Anche le ricerche proporzionali impegnarono sicuramente il suo architetto: l’altezza del tamburo è equivalente a quella della cupola; sicché all’interno del tempio si può iscrivere, idealmente, una sfera.
Ma tali importanti componenti concettuali non sono sufficienti a fare del Pantheon un’architettura razionale, come quella del Partenone. Il Pantheon non è solo una perfetta e cristallina scultura geometrica; è uno spazio vitale, concepito per accogliere e avvolgere il fedele, per suggestionarlo e invitarlo al silenzio. Si tratta dunque di un’architettura profondamente religiosa, e forse non è un caso che i cristiani abbiano voluto preservarla dalla distruzione.
Con il suo interno di epoca imperiale, il Pantheon è la sola architettura pagana ancora “viva”, in grado di comunicare, attraverso gli effetti spaziali e le suggestioni dei materiali, le stesse sensazioni di un tempo, senza obbligare il visitatore moderno a faticose ricostruzioni con la fantasia. Inoltre, questo monumento, insieme al Colosseo, rappresentò per gli architetti europei dal XV al XIX sec. un’occasione continua di studio, di stimolo e di emulazione, costituendo un indiscusso punto di riferimento. Prima che venisse “riscoperta” la Grecia con il suo Partenone, per gli artisti dell’era cristiana il Pantheon fu l’edificio principe dell’antichità e della classicità.
La presentazione di questo straordinario monumento è eccellente sia dal punto di vista didascalico sia per la ricchezza di foto e immagini. Complimenti
Grazie mille
Affascinante…
Vedrò il Pantheon, d’ora in poi, con occhi diversi…
Belli mi è piaciuto.
Ma le orecchie d’asino non era stato un progetto del Bernini per la facciata di San Pietro forse o capito male?
Bernini riuscì a costruire un solo campanile per San Pietro, più una piccola parte del secondo, ma quanto edificato venne presto abbattuto.
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