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Il Partenone è un tempio dorico greco, costruito nell’Acropoli di Atene e dedicato ad Athena Parthènos (cioè ‘vergine’). Fortemente voluto da Pericle, sostituì un precedente Partenone, distrutto dai Persiani nel 480 a.C. Il nuovo tempio venne edificato, a partire dal 465 a.C., nel cuore dell’Acropoli, non sull’asse principale della via d’accesso ma un po’ spostato a destra e in una posizione angolare con il prospetto principale rivolto in posizione opposta ai Propilei.
L’accesso al tempio, infatti, si trovava a est, dalla parte opposta rispetto all’ingresso dell’Acropoli. Il fedele, appena giunto sulla cittadella sacra, ne poteva ammirare, a colpo d’occhio, sia il prospetto posteriore, quello occidentale, sia un prospetto laterale, quello a nord.
Gli autori del progetto furono gli architetti Ictino e Callicrate, dei quali, peraltro, sappiamo pochissimo. È stata avanzata l’ipotesi che Callicrate abbia iniziato la costruzione del Partenone alcuni anni prima, intorno al 465 a.C., e che Ictino abbia preso il suo posto in un secondo momento, nel 447 o 445 a.C., quando il tempio, a sud, era già arrivato al livello della trabeazione. Ictino intervenne pesantemente sul progetto originario di Callicrate, alterando quanto era già stato edificato. Egli trasformò il tempio da esastilo a octastilo, aumentando il numero delle colonne di facciata da sei a otto. Aumentò anche il numero delle colonne laterali, da 16 a 17, e la larghezza della cella sino a 19 metri.
La decisione di ingrandire il tempio in corso d’opera fu dettata, senza dubbio, dalla necessità di ottenere lo spazio sufficiente a contenere la gigantesca statua di Athena Parthènos, che lo scultore Fidia stava realizzando per la cella, e a farne la sua spettacolare cornice. Non si può escludere, poi, che lo stesso Pericle, avendo deciso di fare del tempio l’espressione della nuova grandezza di Atene, non fosse soddisfatto di una struttura di tipo tradizionale. Così, le dimensioni del Partenone furono ricalcolate. Per motivi di natura economica, Ictino non poté abbattere quanto era stato già innalzato e dovette anche riutilizzare i rocchi delle colonne predisposti in fase di cantiere.
Non è stato del tutto chiarito il ruolo assunto da Fidia nella progettazione del Partenone, ma è improbabile che il grande scultore sia intervenuto in qualità di architetto. A lui venne sicuramente affidato il coordinamento dell’intera decorazione che comprendeva, oltre alla statua della cella, anche le sculture dei frontoni e i bassorilievi dei fregi.
Il Partenone ha la struttura di un tempio periptero octastilo. Presenta un crepidòma, ossia un basamento, di tre gradoni e una peristasi, ossia un colonnato continuo, di 46 colonne piuttosto compatta. Il naos (la cella), ossia il nucleo centrale, integrato da portico di ingresso (prònaos) e portico posteriore (opistòdomos), è piuttosto largo, sicuramente per valorizzare la gigantesca statua di Athena Parthènos, capolavoro di Fidia, che il tempio ospitava al suo interno.
Ciò comporta che il peristìlio, ossia il corridoio formato dal colonnato esterno (perìstasi) e dalle pareti del naos, è in proporzione un po’ più stretto che in altri templi coevi e anche i due portici di accesso, anteriore e posteriore, risultano piuttosto ridotti.
Il naos del Partenone presentava un muro trasversale che lo divideva in due parti. Quella anteriore, l’ekatòmpedon, la parte sacra dell’edificio, conteneva la colossale scultura della dea ed era a sua volta scandita da tre navate, ottenute grazie a due colonnati laterali raccordati da un terzo trasversale sul fondo. Questo particolare colonnato a forma di U circondava ed esaltava la statua di Athena Parthènos.
La parte posteriore del naos, detta parthènon, era profonda meno della metà dell’ekatòmpedon. Al suo interno, il parthènon aveva quattro colonne ioniche, posizionate ai vertici di un ideale rettangolo, e, non essendo comunicante con la cella anteriore, era accessibile solo dall’opistòdomos. La funzione del parthènon non è stata del tutto chiarita. Una teoria vuole che custodisse il tesoro del tempio o addirittura della città. Un’altra ipotesi è che tale ambiente fosse riservato alle vergini ateniesi, incaricate di tessere e ricamare a turno il peplo da offrire alla dea Atena durante le feste Panatenee.
I due prospetti principali del Partenone (quello anteriore a est e quello posteriore a ovest) presentano un colonnato octastilo, cioè composto da otto colonne, che sostiene la trabeazione orizzontale. Le falde inclinate del tetto creavano, in corrispondenza di questi prospetti, due frontoni: grandi aperture triangolari tamponate da un muro (timpano) che lasciava sulla trabeazione lo spazio per ospitare sculture a tutto tondo. Probabilmente, le tre estremità del frontone erano decorate, sul tetto, con ulteriori sculture, dette acroteri.
I due prospetti laterali apparivano sicuramente molto più semplici, giacché presentavano solo i lunghi colonnati di diciassette colonne, la parte di trabeazione sovrastante e, in cima, il tetto.
Il tetto (oggi totalmente assente) era in legno e copriva non solo la cella ma anche il corridoio esterno, accessibile ai fedeli. Era probabilmente composto da un sistema di capriate e ricoperto da tegole di terracotta (embrici e coppi).
Il Partenone è un tempio dorico classico: i suoi capitelli sono poco espansi e la rastremazione dei fusti delle colonne (cioè la progressiva diminuzione di diametro verso l’alto) non è accentuata. Il prònaos e l’opistòdomos, ossia il portico anteriore e posteriore del Partenone, presentavano, ciascuno, sei colonne doriche, leggermente più piccole e più basse di quelle della perìstasi esterna. Il colonnato a U dell’ekatòmpedon, ossia della parte anteriore del naos, era a doppio livello, cioè composto da due file di colonne doriche sovrapposte.
Tali colonne erano ovviamente più piccole, per rispettare le proporzioni imposte dall’ordine. Le quattro colonne del parthènon posteriore erano ioniche e a tutta altezza. La presenza di colonne ioniche all’interno di un tempio dorico costituiva sicuramente un’anomalia nel panorama architettonico greco, ma il Partenone non era un tempio come tutti gli altri.
La perìstasi sosteneva una trabeazione continua in marmo, ancora in gran parte integra, composta a sua volta da architrave, fregio e cornice. Il fregio dorico era decorato con un’alternanza di metope (decorate a bassorilievi) e triglifi (dotati di scanalature verticali). Un secondo fregio ionico ornava le pareti del naos, all’esterno nella parte più alta.
Tutte le sculture e i bassorilievi del Partenone, così come le sue principali parti architettoniche (incluse le colonne), erano un tempo vivacemente dipinte. I colori prevalenti erano il rosso, il blu, il giallo e il verde.
Nel Partenone, è ricorrente il rapporto di 9 a 4. Questa è la proporzione tra la lunghezza e la larghezza dell’intero edificio, misurate sullo stilòbate, ossia il pavimento del crepidoma; lo stesso rapporto ricorre fra l’altezza del cornicione, e così pure della grondaia del tetto, e l’altezza dei triglifi del fregio. Tale proporzione è anche rilevabile fra il diametro inferiore delle colonne esterne e la larghezza dei triglifi. È altrettanto ricorrente l’uso della cosiddetta sezione aurea (o rapporto aureo), il cui risultato costante corrisponde al numero 1,618: questo valore governa, per esempio, la proporzione dei prospetti principali, la cui larghezza è uguale a 1,618 volte l’altezza complessiva. Il rapporto aureo si ripete, poi, più volte tra diverse parti dei prospetti.
Il Partenone presenta alcune correzioni ottiche rilevate solo a partire dal XIX secolo e assai spesso impercettibili ad occhio nudo. Tutte le linee orizzontali disegnano una lieve curva verso l’alto: il basamento a tre livelli, la trabeazione e la base del frontone presentano una convessità la cui freccia varia da 2 a 11 cm. Si tratta, insomma, di una correzione di ordine millesimale. Tale curvatura aveva funzioni pratiche (favoriva il defluire delle acque verso l’esterno) ma anche estetiche, perché corregge l’impressione che le strutture orizzontali si incurvano verso il basso, al centro. Le colonne sono leggermente inclinate verso l’interno; quelle angolari della peristasi sono leggermente più larghe delle altre (più di 4 cm), per apparire meno esili. Anche lo spessore dei muri diminuisce dal basso verso l’alto, perché la loro faccia esterna si inclina verso l’interno, così come gli stipiti delle porte.
Celebrato come l’edificio più bello dell’età classica, emblema stesso di perfezione architettonica e normativa, il Partenone sopravvisse integro a lungo. Nel IV secolo d.C., quindi verso la fine dell’Impero romano, era ancora in uso come tempio di Atena. Certo, aveva quasi ottocento anni ed era considerato un monumento antico: per capirci, era già vecchio come lo è, per noi oggi, la Cattedrale di Notre-Dame a Parigi. In età cristiana, liberato della statua di Atena, fu trasformato in chiesa e dedicato alla Madonna (Maria Parthenos, Vergine Maria).
La trasformazione del tempio in chiesa, risalente al VI secolo, richiese alcuni interventi: l’ingresso principale venne spostato a ovest, dove si trovava il parthènon, e le colonne dell’opistòdomos furono murate, lasciando un portale centrale e due laterali. Nel muro trasversale del naos si aprirono delle porte per accedere all’ambiente principale, l’ekatòmpedon, di cui si mantennero le navate; a est venne creata un’abside, sfruttando lo spazio dell’antico prònaos. Nelle pareti del naos furono aperte delle finestre. Il Partenone divenne la quarta destinazione più importante di pellegrinaggio cristiano nell’impero bizantino, dopo Costantinopoli, Efeso e Tessalonica.
Sotto gli Ottomani, che conquistarono Atene nel 1458, l’edificio fu nuovamente riciclato, stavolta come moschea, con la semplice aggiunta di un minareto; l’altare cristiano venne rimosso e le pareti furono imbiancate per coprire le immagini cristiane. Ancora una volta, la struttura del Partenone rimase sostanzialmente intatta. Possiamo affermare che tutte queste ‘vite’ preservarono a lungo il tempio dalla distruzione.
Purtroppo, nel 1687, durante la guerra tra Veneziani e Ottomani, una cannonata colpì e fece esplodere l’edificio: gli Ottomani, infatti, avevano deciso di usarlo come magazzino di polvere da sparo. Buona parte del tempio crollò, portandosi dietro molte delle sue sculture. Caddero il tetto, tre dei quattro muri del naos, sei colonne del lato sud, otto del lato nord, il portico orientale (l’antico prònaos), eccetto una colonna, gran parte dei bassorilievi dei fregi.
Il comandante veneziano minimizzò l’accaduto ma è molto probabile che il colpo di mortaio sia stato diretto intenzionalmente contro il glorioso edificio, su suo ordine.
Per fortuna, pochi anni prima, nel 1674, un ambasciatore francese riuscì a visitare l’Acropoli assieme al pittore Jacques Carrey, che realizzò numerosi schizzi, riproponendoci l’aspetto dell’edificio prima della sua distruzione.
Tra le rovine del Partenone venne poi costruita una nuova, piccola moschea.
Nel 1801, Thomas Bruce, settimo conte di Elgin, ambasciatore britannico presso Costantinopoli, chiese il permesso al Sultano di realizzare stampi e disegni delle antichità sull’Acropoli e, a tal fine, di rimuovere alcune sculture. In realtà, egli prelevò dal tempio quasi tutte le opere scultoree rimaste in situ, ossia statue e bassorilievi, e le portò a Londra, per poi venderle al British Museum.
Si trattava di più della metà di ciò che restava della decorazione dell’intera Acropoli: circa 17 statue provenienti dai due frontoni, 15 (delle originarie 92) metope raffiguranti battaglie tra Lapiti e Centauri (tra le poche sopravvissute all’esplosione) e 75 metri (in origine erano 160) del fregio ionico.
La questione dei Marmi di Elgin, come ancora oggi sono conosciuti i capolavori di Fidia, è rimasta controversa: il British Museum si considera il loro legittimo proprietario, avendole regolarmente acquistate, mentre il governo greco, da anni, ne chiede la restituzione, sostenendo che Lord Elgin avesse deliberatamente frainteso la generica autorizzazione del Sultano a prelevarle, a solo scopo di studio. Altri frammenti dei capolavori fidiaci provenienti dal Partenone sono esposti al Museo dell’Acropoli di Atene, al Louvre, ai Musei Vaticani, al Kunsthistorisches di Vienna e al Museo Nazionale di Copenaghen.
Nel corso del Novecento è stato avviato un lungo e complesso processo di restauro e di ricostruzione di almeno una parte del Partenone, riutilizzando, laddove possibile, i materiali rimasti sull’Acropoli dopo il crollo dell’edificio, nel XVII secolo. Questo particolare tipo di intervento, chiamato anastilosi, è molto complesso, perché richiede di identificare gli elementi originali, integrarli delle parti mancanti, trovare la loro antica collocazione, ricostruire i pezzi andati perduti e ricomporre l’antica struttura.
Come 2500 anni fa, i migliori scalpellini della Grecia lavorano il marmo grezzo delle stesse cave del Monte Penteli (per questo chiamato marmo pentelico), al fine di ricavare blocchi, capitelli, cornici, elementi di fregio. Le parti nuove sono immediatamente riconoscibili, a causa del loro candore: dovranno passare molti anni prima che il marmo degli innesti assuma la stessa colorazione di quello antico.
Bisogna considerare che dell’edificio del V secolo a.C. ormai rimane ben poco. Già la trasformazione del tempio greco in chiesa cristiana durante l’epoca bizantina e in moschea durante la dominazione ottomana della Grecia comportò la distruzione definitiva di alcune parti; l’esplosione del 1687 e la sottrazione delle sculture da parte degli inglesi fecero il resto. Il lavoro di ricostruzione del Partenone si è concentrato sulla cella, sulla peristasi e sulla trabeazione. Saranno utilizzati, a conclusione dei lavori, 360 pezzi di marmo e pietra originali, tra quelli giacenti sul piazzale dell’Acropoli. L’edificio, insomma, non sarà integralmente ricostruito ma solo parzialmente integrato.
Una curiosità: nel 1897, a Nashville, capitale dello Stato del Tennesee, negli Stati Uniti, è stata invece costruita una replica esatta Partenone, nelle stesse dimensioni dell’originale e così come doveva apparire nel V secolo a.C. Dal 1997 è presente al suo interno anche una ricostruzione dell’Athena Parthenos di Fidia.