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Il Polittico Averoldi è un capolavoro giovanile del grande pittore rinascimentale veneziano Tiziano Vecellio (1488/90-1576), ancora oggi conservato nella Chiesa dei Santi Nazaro e Celso a Brescia. È firmato e datato, “Ticianus Faciebat / MDXXII”, sulla colonna spezzata del pannello destro (quello con San Sebastiano).
L’opera venne commissionata all’artista, nel 1519, dal prelato Altobello Averoldi, nunzio apostolico a Venezia, e, secondo le fonti dell’epoca, richiese a Tiziano una «longa praticha», ossia un lungo tempo di realizzazione, tanto da provocare un ritardo nel completamento di altri quadri cui stava lavorando, tra cui i Baccanali per Alfonso I d’Este, duca di Ferrara (che di tale inconveniente molto si lamentò).
L’opera conquistò subito l’apprezzamento di tutti: Jacopo Tebaldi, per esempio, scrisse al duca di Ferrara che il San Sebastiano del polittico valeva da solo i 200 ducati pagati a Tiziano per l’opera intera. Anche l’artista era molto soddisfatto dei risultati. Leggiamo sempre in Tebaldi: «Heri fui a veder la pictura di Sancto Sebastiano, che ha facto magistro Titiano, et vi trovai multi de questa terra, quali cum grande admiratione la vedevano, et laudavano, et epso disse a tutti noi, ch’eramo ivi, ch’el’era la megliore pictura ch’el facesse mai».
Sappiamo anche che Tebaldi cercò di convincere Tiziano a rivendere il San Sebastiano del polittico al duca d’Este, con buona pace dell’Averoldi. Tuttavia, non se ne fece nulla e il polittico venne consegnato integro al suo committente.
Il polittico, che nel suo complesso ha una forma rettangolare, è composto da cinque pannelli di tre dimensioni diverse. Al centro campeggia la scena principale, con la Resurrezione di Cristo; a sinistra si trovano i Santi Nazaro e Celso con donatore e a destra il San Sebastiano; in alto a sinistra l’Angelo annunziante e in alto a destra la Vergine annunciata.
La tipologia del polittico era da tempo considerata antiquata e superata e certamente Tiziano cedette alle pressioni del committente; cercò, tuttavia, di conferire una certa unità alla scena nel suo complesso, utilizzando un unico paesaggio e la medesima fonte di luce mattutina per tutti i pannelli, sicché, tralasciando il disturbo visivo delle cornici, sembra che i santi siano materialmente presenti al momento della resurrezione di Gesù, assieme ai soldati armati e vestiti delle loro luccicanti armature.
Il Risorto, nella soluzione iconografica scelta da Tiziano, ricorda un Cristo che ascende al cielo: la tradizione, infatti, prediligeva l’immagine del sepolcro vuoto con le tre Marie, oppure il Messia nel sepolcro al momento del suo risveglio, mentre non era così comune l’immagine di Gesù sospeso in aria. In questo caso, invece, Cristo trionfa in tutto il suo vigore fisico, con il busto lievemente di scorcio e le braccia spalancate. Con la mano destra, il Redentore tiene il vessillo crociato, simbolo della sua vittoria sulla morte e di tutto il Cristianesimo.
I due santi del pannello di sinistra sono i titolari della chiesa cui il polittico era destinato; anche Nazario porta un’armatura di metallo ricca di riflessi luminosi. Il committente, Altobello Averoldi, è mostrato inginocchiato e devotamente in preghiera.
Il magnifico San Sebastiano del pannello destro, cui si deve la fama dell’opera, è mostrato legato a un albero, con il piede destro su un frammento di colonna spezzata. Il vigore della sua anatomia e la complicata posizione in torsione rivela con quale attenzione Tiziano stesse meditando, in quella fase della sua carriera, sulle novità dell’arte di Michelangelo, che il veneziano certamente ben conosceva.
Possibili modelli di riferimento potevano essere sia i Prigioni del Louvre, in quegli anni già ultimati dallo scultore fiorentino, oppure uno degli Ignudi della Cappella Sistina, che potrebbe avergli ispirato anche la posizione del Cristo risorto, assai simile a quella di Aman, dipinto in un pennacchio della Volta, a destra dell’altare.
Sullo sfondo, visivamente sotto la gamba destra di Sebastiano, si scorge un angelo intento a dialogare con San Rocco, che la devozione popolare venerava, al pari di Sebastiano, come protettore dalle pestilenze.
I due pannelli in alto presentano l’Angelo annunciante a sinistra e la Vergine annunciata a destra. I due personaggi dell’Annunciazione, qui separati secondo una consuetudine iconografica assai diffusa nel Medioevo (la ritroviamo, per esempio, nella Cappella degli Scrovegni di Giotto), sono svincolati dalla composizione generale.
Gabriele, illuminato alle spalle da una luce che fa risaltare il suo abito bianco ricco di pieghe, tiene in mano un cartiglio, dove si leggono le parole evangeliche “Ave [Maria] Gratia Plena”. Maria, che porta la mano destra al petto in un gesto di accettazione, è invece immersa in una morbida penombra.
Nel corso della sua carriera, Tiziano affrontò in più occasioni il soggetto del Cristo risorto. In una tavola conservata agli Uffizi di Firenze, e antecedente al Polittico Averoldi, la figura di Gesù è isolata, come una figura classica, e il suo bel corpo seminudo si staglia contro un luminoso cielo azzurro. Il Risorto tiene il vessillo crociato con la mano sinistra; un lungo drappo bianco dal bordo frangiato gli parte dalla spalla per annodarsi sui fianchi.
Un’immagine di Cristo risorto si trova anche in uno stendardo processionale realizzato da Tiziano a Venezia tra il 1542 e il 1544 per la Confraternita del Corpus Domini di Urbino, oggi conservato nella Galleria Nazionale delle Marche. Lo stendardo era dipinto su entrambi i lati con le scene dell’Ultima cena e della Resurrezione. Le due scene vennero successivamente staccate dal supporto originario, separate e, nel 1545, incollate su nuove tele.
Anche in questo caso, come nel Polittico Averoldi, la figura di Cristo è mostrata sospesa in aria, trionfante nella possente fisicità e nella presentazione del vessillo, con i soldati in basso colti nel sonno e sorpresi dall’evento miracoloso e inaspettato.
L’opera è attualmente sottoposta ad un lavoro di restauro, allo scopo di recuperare la cromia originale, offuscata dall’alterazione della vernice.
Appartiene alla maturità del maestro una tela oggi conservata in provincia di Mantova, in cui il pittore affronta un soggetto mai ricordato dai Vangeli e quindi raramente rappresentato: il momento in cui Cristo apparve a sua madre dopo la resurrezione. Tiziano dipinse quest’opera mentre si trovava a Medole ospite del nipote; è il suo unico quadro presente nel mantovano.
La scena non è intima e privata, come si vorrebbe da un simile tema: Cristo, potente e trionfante, circondato da un bagliore di luce ogivale da cui emergono delle testine di cherubini, si mostra alla Madre che si inginocchia adorante ai suoi piedi. Madre e Figlio sono intenti in un mistico e silenzioso colloquio, tutto giocato sugli sguardi e i movimenti delle mani. Alle spalle di Gesù si riconoscono Noè, Abramo, Adamo con la croce e, seminascosta, Eva. È chiaro che quest’opera risente fortemente del clima devozionale e controriformista che già da quegli anni cominciava a diffondersi in Italia.
La cosa più interessante che ho riscontrato nell’articolo sono i rimandi ad altre opere dell’artista stesso o di altri.con le immagini collegate.
Grazie