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Antonio Benci (1431-1498), detto il Pollaiolo poiché figlio di un venditore di pollame, fu certamente una delle figure più interessanti della seconda generazione di artisti fiorentini del Quattrocento. Pittore, scultore, orafo e incisore, si avvalse spesso della collaborazione del fratello Piero (1443 ca.-1496). Erede del plasticismo di Donatello e di Andrea del Castagno, pittore molto attivo a Firenze nella prima metà del secolo, Pollaiolo abbandonò in parte il rigore del metodo prospettico brunelleschiano-masaccesco, preferendo esercitarsi sullo sviluppo dinamico della linea, attraverso la quale amò definire i volumi delle sue figure.
I suoi principali capolavori furono le tre grandi tele con le Fatiche di Ercole dipinte per la sala grande di Palazzo Medici poco dopo il 1460, su commissione di Piero il Gottoso (padre di Lorenzo dei Medici). Queste tele sono andate purtroppo perdute alla fine del Cinquecento ma ne resta il ricordo in due tavolette dipinte a tempera con Ercole e l’Idra ed Ercole e Anteo oltre che in un bronzetto di Ercole e Anteo, opere autografe ma realizzate almeno una decina d’anni dopo.
Ercole, considerato nume tutelare di Firenze, difensore di ordine e giustizia, identificava il tipo dell’eroe fiorentino e per questo il Pollaiolo, memore della lezione di Donatello, lo rese nel suo bronzetto credibile e umano, trasformandolo in un rozzo energumeno che scuote e stritola il povero Anteo urlante sollevandolo da terra. Anteo, infatti, era figlio di Gea (la Terra), che lo rendeva praticamente invincibile restituendogli le forze ogni volta che la toccava.
Senza dubbio, dai tempi dell’Ellenismo, non era mai stato rappresentato con tanta evidenza lo spiegamento della violenza muscolare; d’altro canto, però, difficilmente in epoca ellenistica avrebbero apprezzato questo personaggio maschile sgraziato, col naso pronunciato, i capelli arruffati e la schiena inarcata.
Racconta il Vasari che Pollaiolo «spellò molti cadaveri per vedere com’eran fatti di sotto, e fu il primo a mostrare il modo di cercare i muscoli, secondo la forma e l’ordine che hanno sulle figure».
Questa sua ricerca si tradusse, intorno al 1470, nella più antica stampa d’arte conosciuta, intitolata la Battaglia dei nudi. Nel disegnare queste mirabili figure di uomini in lotta fra di loro, Pollaiolo distinse le forme degli arti, dei singoli muscoli, persino dei tendini, traducendole in pura tensione lineare.
Con tutta evidenza, l’artista si ispirò alla ceramografia antica, che certamente ben conosceva; tuttavia, egli non cercò in questo caso di celebrare l’armonica bellezza del corpo umano ma preferì evidenziare la complessità della struttura anatomica, rivelando i segreti del motore della forza fisica. E difatti, nonostante il loro virtuosismo, questi vigorosi nudi fiorentini non sono paragonabili alle eleganti figure greche, rispetto alle quali possono apparire, come l’Ercole del bronzetto, piuttosto sgraziati.
Pollaiolo si distinse anche come ritrattista. La sua Fanciulla di profilo, databile 1470-72, meglio nota come Dama del Pollaiolo, è una delle più celebri figure femminili del Rinascimento. La donna è raffigurata di profilo, secondo la convenzione ancora in voga nella ritrattistica italiana del Quattrocento, sullo sfondo di un cielo azzurro solcato da sottilissime nubi.
Una linea di contorno netta e incisiva, tipica dello stile del Pollaiolo, consente alla figura di stagliarsi con molta chiarezza contro il paesaggio. L’artista dedicò una particolare attenzione alla raffigurazione del corpetto aderente, della manica in velluto a motivi floreali, dei preziosi gioielli, della complessa acconciatura a vespaio ornata di perle e del velo sottile che copre il capo della donna fino alle orecchie.