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I poetici ready-made di Félix González-Torres
Perché due orologi possono essere arte.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Il Novecento: dagli anni Settanta ad oggi – Data: Dicembre 22, 2020 0 commenti 4 minuti
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A New York, nel gennaio 1996, moriva di Aids l’artista cubano Félix González-Torres (1957-1996), la cui opera è stata ricondotta dalla critica a più di un movimento artistico del secondo Novecento: Neodadaismo, Minimalismo, Concettuale, e questo perché González-Torres ha lavorato con gli oggetti, realizzando opere minimali che valgono non per sé stesse ma per il concetto che esprimono.

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La principale fonte di ispirazione per le sue creazioni, tutte cariche di uno straordinario impatto emozionale, è stato Ross, il compagno morto anch’egli di Aids nel 1991. Lacerato dal dolore, e prima di spegnersi a sua volta pochi anni dopo, González- Torres ha voluto condividere col pubblico la sua storia, che è al contempo individuale e universale, giacché parla di amore e di paura e riguarda o può riguardare tutti. «L’amore ti dà una ragione di vita – ha detto l’artista in un’intervista – ma è anche un motivo di panico, si ha sempre paura di perdere quell’amore».

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Due orologi

Utilizzando intrecci di luci, fogli di carta, cartelloni pubblicitari, orologi, cumuli di caramelle colorate, l’artista ha invitato lo spettatore a far parte, sia pure per un breve istante, della sua vita, senza paura, senza vergogna. Per questo la sua è stata anche definita “arte relazionale”. L’amore per Ross si ritrova prima di tutto nel simbolismo del numero due: per esempio, in Untitled (perfect lovers), installazione che ha riproposto più volte, due orologi perfettamente sincronizzati si trasfigurano nella metafora di un legame che trascende gli oggetti in sé. Ross è morto ma la coppia Félix-Ross è viva perché l’amore continua a unirla.

Félix González-Torres, Untitled (Perfect Lovers), 19871990. Orologi da muro. New York, The Museum of Modern Art (MoMA).

«Non aver paura degli orologi», aveva scritto Félix a Ross nel 1988, «sono il nostro tempo, il tempo è stato generoso con noi. Abbiamo marchiato il tempo col dolce sapore della vittoria. Abbiamo dominato il destino incontrandoci in un certo tempo e in un certo spazio. siamo un prodotto del tempo, perciò rendiamo merito a chi è dovuto: al tempo stesso. siamo sincronizzati, ora e per sempre».

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Félix González-Torres, Lettera a Ross, 1988.

Un letto vuoto

Nel 1991, a New York, con la collaborazione del MoMA e in 24 luoghi pubblici, González- Torres ha esposto, in formato gigante, una fotografia di un letto bianco che reca ancora le impronte di due corpi. Era il proprio letto, dove era morto Ross, una metafora silenziosa della perdita e dell’assenza, che racconta l’amore perduto con l’immediatezza di una sola immagine.

Félix González-Torres, Untitled (Billboard of an Empty Bed), 1991. Installazione, New York.

Un mucchio di caramelle

L’installazione più famosa di González-Torres è un cumulo di caramelle colorate, ammucchiate in un angolo, che tutti potevano prendere liberamente per mangiarle o portarle a casa: un’opera effimera, votata alla scomparsa, come Ross a cui era dedicata. «Volevo creare un’arte che potesse sparire – ricorda Félix – che non fosse mai esistita, una metafora per quando Ross stava morendo».

Il cumulo di caramelle, all’inizio della giornata, pesava circa 80 chili, come Ross, e nel corso della giornata perdeva peso, come Ross medesimo a causa della malattia. Allo stesso modo del mucchio di caramelle, sottratte una a una, Ross era stato consumato dall’Aids, giorno dopo giorno. A fine giornata, tuttavia, il mucchio veniva reintegrato, fino a tornare a pesare 80 chili.

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L’opera d’arte è instabile, come la vita, ma l’arte consente di tornare indietro nel tempo, in un processo ciclico. Attraverso l’arte, Ross ogni giorno è ritornato, idealmente, a vivere.

Félix González-Torres, Untitled (Portrait of Ross in L.A.), 1991. Installazione con caramelle. New York, metropolitan museum of Art, met Breuer.

Cumuli di caramelle sono stati riproposti, negli anni successivi, in varie esposizioni. Non si tratta di falsi o di copie. «Tutti questi lavori sono indistruttibili – ha chiarito l’artista – perché possono essere duplicati all’infinito. Esisteranno sempre perché in realtà non esistono o perché non devono esistere per sempre. sono creati per le mostre, o a volte sono creati in luoghi diversi contemporaneamente. Non esiste un originale, ma solo un certificato di originalità». L’opera d’arte, come ha insegnato Duchamp, è prima di tutto un’idea.


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