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Il ritratto romano repubblicano
La celebrazione della virtus.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Le civiltà etrusca e romana – Data: Luglio 28, 2020 0 commenti 7 minuti
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L’arte del ritratto fu l’espressione figurativa più originale dell’età di Roma repubblicana. Per il suo carattere sostanzialmente privato, legato al culto dei valori familiari, essa risultò particolarmente congeniale al patriziato romano, che era piuttosto incline alla concretezza, rispettoso del valore individuale e poco propenso alle idealizzazioni. Ritratto romano repubblicano.

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I volti rappresentati sono resi con minuziosa precisione; sembra quasi che i patrizi dell’antica Roma si compiacessero nel mostrare le facce rugose e le teste calve dei loro illustri parenti, come a volerne celebrare la virtus eminentemente contadina, lo spessore morale alimentato da una vita austera.

Ritratto di patrizio romano, 60 a.C. ca. Marmo. Monaco di Baviera, Gliptoteca.

I busti-ritratto

Il cosiddetto Busto repubblicano di Boston, uno dei pochi in terracotta giunti fino a noi, ci mostra, per esempio, un uomo di età matura, dai tratti decisi e l’espressione fiera, di chi è ben consapevole del proprio valore e della propria posizione sociale.

Busto repubblicano, 50 a.C. ca. Terracotta, altezza 35,5 cm. Boston, Museum of Fine Arts.

Nel celebre Ritratto di patrizio romano è ancora evidente come il volto del nobile romano sia reso con un realismo altrettanto vigoroso: l’espressione è dura e corrucciata, le labbra sono strette in una smorfia sprezzante; la raffigurazione del grosso naso, delle orecchie a sventola e delle rughe profonde appare quasi impietosa. Ritratto romano repubblicano.

Ritratto di patrizio romano, prima metà del I sec. a.C. Marmo, altezza 35 cm. Roma, Museo Torlonia.

Come ha scritto il grande storico dell’arte Giulio Carlo Argan, «i busti-ritratti del I sec. a.C. non si limitano a riprodurre fedelmente le fattezze della persona, ne ricostruiscono figurativamente la biografia. Se il ritratto etrusco tende a prolungare idealmente la vita oltre la morte, il ritratto romano è rivolto, per così dire, all’indietro e tende a rivelare nell’immagine presente il tempo vissuto, il passato. Per il Romano il valore della persona si identifica con la sua storia, con ciò che ha fatto, con l’esperienza compiuta». Ritratto romano repubblicano.

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Presunto ritratto di Lucio Cornelio Silla, metà I sec. a.C. Marmo. Venezia, Museo Archeologico.

I ritratti a figura intera

In età repubblicana iniziarono a circolare anche ritratti di stampo propriamente ellenistico, più eleganti e nobilitanti, attenti all’interpretazione psicologica del soggetto e in genere destinati ad ambienti pubblici. Nel ritratto del cosiddetto Generale romano, per esempio, il corpo è quello di una figura eroica, nuda, pudicamente coperta da un mantello. I Romani infatti, a differenza dei Greci, non apprezzavano molto la nudità integrale. La posa dell’uomo è di tipo policleteo-lisippesco; la corazza, deposta per terra, serve alla statua come puntello. Su questo nudo, chiaramente idealizzato, si innesta il ritratto crudamente realistico del presunto generale: appare evidente, in questo caso, una duplicità d’ispirazione tradotta ancora in una stridente contraddizione stilistica, che sarà superata definitivamente dalla corrente neoattica della successiva età di Augusto. Ritratto romano repubblicano.

Generale romano, 78-68 a.C. Marmo, altezza 1,88 m. Roma, Museo Nazionale Romano.

La testimonianza di Polibio

Per comprendere a fondo il senso dell’evoluzione del ritratto romano di età repubblicana, è particolarmente preziosa la testimonianza di Polibio (206-118 a.C.), uno storico greco antico, studioso della Repubblica romana. La sua opera principale, le Storie, ambì a fornire una storia universale del periodo compreso fra il 220 a.C. e il 146 a.C., con un prologo sulla storia romana a partire dal 264 a.C. Purtroppo, dei quaranta libri in cui, sappiamo, si divideva l’opera, sono giunti completi fino a noi solo i primi cinque (che coprono il periodo fino al 216 a.C.) Gli altri ci sono pervenuti solo attraverso frammenti.

Ritratto di Pompeo, 70-50 a.C. Marmo, altezza 26 cm. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek.

Polibio racconta di un’abitudine tipicamente romana, legata alla successiva fortuna e diffusione del ritratto di tipo realistico: la tradizione di celebrare il defunto raccontando pubblicamente la sua vita ed esaltandone le virtù. Dopo l’elogio funebre (laudatio funebris), tenuto da «un figlio maggiorenne, se esiste e si trova in città, o altrimenti [da] il suo parente più prossimo», il morto veniva seppellito e il suo ritratto, realizzato con una maschera di cera, veniva posto in un reliquario di legno. Tale immagine raffigurava con grande fedeltà i tratti somatici del defunto, «nelle sembianze e nel colorito». In occasione di cerimonie pubbliche, queste immagini erano esposte dalle famiglie e onorate con ogni cura. Durante i funerali, invece, venivano indossate da alcuni parenti del defunto, simili «nella statura e in tutta la taglia del corpo», in modo da far partecipare anche gli avi al rito funebre, sia pure idealmente. Ritratto romano repubblicano.

Ritratto di Giulio Cesare, 44-30 a.C. Marmo, altezza 52 cm. Roma, Musei Vaticani, Museo Pio Clementino, Galleria dei busti.

La testimonianza

«Non è possibile – commenta Polibio – per un giovane dabbene e amante della fama assistere a uno spettacolo più nobile e splendido di questo; quale infatti potrebbe essere più bello del vedere tutte insieme, quasi vive e spiranti, le immagini degli uomini che hanno ottenuto fama col loro valore? Quale visione potrebbe essere più alta? L’oratore incaricato della lode funebre, dopo aver parlato del morto, ricorda le imprese e i successi dei suoi antenati cominciando dal più antico; così la fama degli uomini valorosi, continuamente rinnovata, è fatta immortale, mentre la gloria dei benefattori della patria viene resa nota a tutti e tramandata ai posteri».

Essendo la cera un materiale estremamente deperibile, si suppone che le maschere funebri di cui ci parla Polibio siano state sostituite, con il passare del tempo, da busti di pietra. L’importanza del ritratto veristico romano – vedi per esempio il ritratto d’uomo di Osimo, con il volto e il collo segnati da profonde rughe, a simboleggiare la dura vita del patriziato romano – è dunque più di natura politica, sociale e religiosa che propriamente artistica, e ciò spiega la sua grande fortuna nel periodo repubblicano. Del resto, pochi cittadini, nella Roma repubblicana, godevano dello jus imaginum, ossia del privilegio di esporre immagini degli avi nell’atrio della propria dimora. Ritratto romano repubblicano.

Ritratto d’uomo di Osimo, 80-70 a.C. Marmo, altezza 31 cm. Osimo (Ancona), Palazzo Campana.

La Statua Barberini

La cosiddetta Statua Barberini (o Togato Barberini) è proprio esemplificativa di questa tradizione. Raffigura un anonimo patrizio romano, forse un senatore, vestito con una toga dal ricco panneggio, raffigurato mentre mostra i ritratti di due suoi antenati. Impossibile l’identificazione del personaggio, considerando poi che la statua, così come la vediamo, è frutto di un successivo restauro: la testa, infatti, proveniva da un’altra scultura e venne montata sul corpo, probabilmente rimasto acefalo, ossia privo di capo. Ritratto romano repubblicano.

Statua Barberini (cosiddetto Bruto Barberini), I sec. d.C. Marmo, altezza 1,65 m. Roma, Palazzo dei Conservatori.


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