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Il Romanticismo fu un movimento letterario e artistico che affondò le sue radici nella seconda metà del Settecento, raggiungendo la sua massima espressione negli anni Venti, Trenta e Quaranta dell’Ottocento. Infatti, si è soliti distinguere fra un primo Romanticismo (1770-1815), che sostanzialmente convisse con il Neoclassicismo, e un Romanticismo maturo (1815-45), inteso come fenomeno tipicamente ottocentesco.
Il Romanticismo, ricco di fermenti sociali e culturali, fu artisticamente caratterizzato da scelte antitetiche, da soluzioni stilistiche contrapposte. Del Romanticismo possiamo infatti individuare due diverse anime: la prima si espresse attraverso la pittura di paesaggio e si affermò in area anglo-tedesca; la seconda, molto più radicata nella tradizione figurativa, si diffuse in area italo-francese e spagnola.
Il Romanticismo trae il suo nome dall’aggettivo inglese romantic, usato in Gran Bretagna nel corso del Seicento per connotare con accezione negativa i paesaggi fantastici e i temi bizzarri dei vecchi romanzi cavallereschi. Tale aggettivo fu poi recuperato dal filosofo settecentesco Jean-Jacques Rousseau per definire l’emozione che gli suscitavano i paesaggi solitari e selvaggi. L’impulso principale alla nascita del Romanticismo provenne però dalla Germania, dove un nuovo, emergente atteggiamento ideologico ed estetico portò a posizioni sempre più antitetiche a quelle del classicismo e del razionalismo illuministico.
All’incirca tra il 1760 e il 1785 si affermò il movimento letterario dello Sturm und Drang (letteralmente, ‘tempesta e assalto’), i cui princìpi fondanti sono considerati basilari per la teorizzazione degli ideali romantici. Lo Sturm und Drang volle infatti sottolineare il valore del sentimento e della passionalità nella vita di ogni individuo e nell’arte contrappose alle forme chiuse del classicismo l’impiego di strutture svincolate da ogni regola.
L’elaborazione della teoria artistica romantica si deve a uno scrittore tedesco, Wilhelm Wackenroder (1773-1798), il quale, nel suo Effusioni del cuore di un monaco amante dell’arte (1797) presentò l’arte come un dono divino e affermò che ogni stile e ogni posizione spirituale hanno una propria validità. Con gli scritti teorici dei fratelli tedeschi Friedrich (1772- 1829) e August Wilhelm (1767-1845) von Schlegel, entrambi letterati, il movimento romantico acquisì i caratteri propri di una teoria ideologica ed estetica, con cui si designava una nuova disposizione dello spirito umano, caratterizzata da una irresistibile ma consapevole e sofferta attrazione per tutto quanto appariva indefinito, ignoto, misterioso, soprattutto guidato e ispirato dal sentimento.
In particolare, Friedrich von Schlegel osservò nel suo saggio Princìpi generali sull’arte pittorica (1803) che pittura e poesia sono entrambe tese all’universalità, dunque il loro legame è totale e indissolubile. Nello stesso periodo, in Inghilterra vennero pubblicate le Lyrical Ballads (1798), di William Wordsworth (1770-1850) e Samuel Coleridge (1772-1834), considerate il primo importante approccio inglese verso il nuovo stile poiché celebravano il valore dell’emozione come unica via per produrre poesia, attraverso un fluire costante di naturalità palpitante.
Sempre in Inghilterra, furono teorizzate le categorie estetiche del sublime e del pittoresco, riferite soprattutto alla pittura di paesaggio. In particolare, il pittoresco s’identifica con tutto ciò che è spontaneo, selvaggio, libero da schemi, in aperta contrapposizione alla freddezza e alla compostezza dell’arte del Neoclassicismo.
Il sublime (dal latino sublimis, composto di sub ‘sotto’ e limen ‘soglia’: ‘che giunge fin sotto la soglia più alta‘) è invece quel peculiare sentimento, misto di terrore e piacere, che sottende la vista di qualcosa di eccelso e spettacolare, capace di colpire e “innalzare” l’animo dello spettatore. In altre parole, è sublime ciò che turba e persino spaventa ma che inspiegabilmente, e proprio per questo motivo, attrae. Per esempio, una violenta tempesta di neve oppure un misterioso e cupo notturno rischiarato dalla luna.
Fu Edmund Burke (1729-1797), politico e scrittore inglese, ad affermare nel 1754 che il sublime non si raggiunge attraverso la contemplazione ma è provocato da ciò che è spaventoso, sconvolgente, dall’orrore che suscita la vista e il pensiero dell’infinito. In generale, secondo Burke, se l’armonia del bello classico suscita indubbiamente un piacere positivo, esiste anche un piacere ambiguo che si mischia con il dolore. L’esperienza della bellezza può insomma scaturire anche da quelle emozioni che provocano un turbamento, che quindi sono del tutto soggettive e che le regole del classicismo non sono più in grado di spiegare.
Questo concetto fu sviluppato dal filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804) nella sua Critica del Giudizio e divenne un vero e proprio ideale nell’estetica romantica. Per il grande filosofo tedesco, il sentimento del sublime può sorgere dinanzi all’infinità quantitativa (sublime matematico) o accendersi allo spettacolo delle forze travolgenti della natura (sublime dinamico); in entrambi i casi, esso conferma la superiore dignità dell’uomo, che non può chiudersi nei limiti dell’ordine fenomenico.
Dunque, per Kant, l’esperienza del sublime costituisce l’opportunità di un riscatto dell’uomo sulla natura. Le grandezze della natura, così come quelle dell’arte (i grandiosi monumenti, le statue colossali), sono esempi emblematici di sublime matematico. Di fronte alla grandezza, l’immaginazione si rivela inadeguata e allora l’animo dà ascolto dentro di sé alla voce della ragione che esige la totalità: quindi è in grado di comprendere attraverso l’intuizione.
«Sublime è dunque la natura in quei suoi fenomeni la cui intuizione comporta l’idea della sua infinità». Di fronte alla manifestazione della potenza schiacciante della natura (uragani, tempeste, valanghe, incendi, terremoti, eruzioni vulcaniche) non è possibile provare un sentimento sublime se è presente una situazione di pericolo, perché in quel caso prevale l’istinto di sopravvivenza.
Altra è la situazione in cui chi osserva tali spettacoli si trova al sicuro: «La natura viene considerata sublime nel nostro giudizio estetico non in quanto suscita timore, ma perché evoca in noi la nostra forza, così da farci considerare ciò di cui ci preoccupiamo (beni, salute, vita) come piccola cosa». Ciò vale anche per le opere d’arte: assistere dal vivo a un omicidio o addirittura a un eccidio è orribile e ci terrorizza (giacché temiamo di essere coinvolti) ma contemplarlo in un’opera d’arte (o in un film, in tempi moderni), ci turba, ci commuove, ci strugge, suscita in noi un sentimento sublime.
Il Romanticismo, insomma, contrastò l’aspirazione neoclassica alla bellezza ideale con l’esigenza di dare nuova espressione all’impeto del sentimento e alla forza dell’emozione, al travolgente potere delle passioni. Riscoprendo il cuore e il sentimento, l’uomo romantico verificò i limiti della ragione; e dal contrasto tra ragione e cuore nacque una nuova, incontenibile esigenza di infinito, intesa come esigenza di senso esistenziale, di superamento dei limiti imposti dal contingente e dal quotidiano. L’uomo romantico cercò una risposta al significato dell’esistenza e lo fece ignorando i ristretti confini della ragione.
L’infinito romantico va dunque inteso in senso puramente spirituale. Esso è prima di tutto una forma di desiderio, di irresistibile attrattiva per qualcosa che si intuisce come più grande di sé, inconoscibile ma di cui si sente il bisogno, che si vorrebbe dunque conoscere, come se da essa dipendesse tutto. Tale infinito si può percepire attraverso la contemplazione della natura selvaggia, incontaminata, disordinata e grandiosa, una natura interiorizzata o concepita come manifestazione del divino. Essa non è, ovviamente, l’infinito in sé, ma lo può suggerire. Contemplare la natura è funzionale per andare oltre la natura.
Scrisse il poeta Giacomo Leopardi (1798-1837) nel suo Zibaldone, composto tra il 1817 e il 1832: «All’uomo sensibile e immaginoso [provvisto di feconda immaginazione], che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo e immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono d’una campana; e nel tempo stesso coll’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obbietti [oggetti] sta tutto il bello e il piacevole delle cose.
Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che gli oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione». L’uomo romantico glorificò, dunque, la potenza dell’intuizione, celebrò il sogno e l’immaginazione come le sole forze capaci di redimere un mondo soffocato dalla mediocrità. Allo stesso modo, rivalutò gli slanci religiosi, elevò la famiglia a luogo privilegiato degli affetti, affrontò con dolente consapevolezza il tema del tempo che tutto corrode e della morte che tutto cancella. In sintesi, affermò una nuova concezione dell’assoluta continuità fra arte e vita.
Rifiutando la tradizione e appellandosi al nuovo e al desiderio di rivolta, il Romanticismo si propose come l’arte della libertà, conferendo un altissimo valore agli ideali patriottici. Lo storicismo, pensiero filosofico che sostiene la natura storica e progressiva della realtà, si affermò come lettura del mondo, per cui ogni fase passata, e non solo l’età classica, poteva acquisire valore per l’interpretazione del presente.
Questa nuova visione condusse alla rivalutazione del Medioevo e dei suoi eventi più significativi, che i neoclassici al contrario disprezzavano. Di quell’epoca, in particolare, si vollero esaltare sia il peculiare spirito popolare e nazionale sia la spiritualità, interpretata come una perenne tensione verso l’assoluto e dunque verso l’infinito.
È bene osservare che le formulazioni teoriche del Romanticismo si svilupparono parallelamente a quelle neoclassiche. Edmund Burke dette alle stampe la sua Ricerca filosofica sull’origine delle idee del sublime e del bello (1756), considerato un caposaldo teorico del Romanticismo, negli stessi anni in cui Winckelmann, teorico del Neoclassicismo, pubblicava i suoi trattati (le Considerazioni sull’imitazione delle opere greche in pittura e scultura, del 1754, e i Pensieri sull’imitazione, del 1755).
Dunque, il Romanticismo non seguì il Neoclassicismo ma nacque insieme ad esso. I grandi maestri del Romanticismo maturo inglese, francese e tedesco iniziarono a operare mentre i grandi neoclassici erano all’apice della propria carriera. La successione cronologica Neoclassicismo-Romanticismo è, dunque, puramente convenzionale e in sé stessa errata e solo per comodità di studio i due temi sono affrontati separatamente.
Certo, il Neoclassicismo precedette il Romanticismo nella formulazione chiara e integrale di una poetica, ma il filone neoclassico e quello romantico coesistettero, in una relazione dialettica molto stretta. Anzi, secondo una parte della critica, il Neoclassicismo fu «il primo atto del Romanticismo europeo» (G.C. Argan), giacché molti artisti neoclassici elaborarono, di fatto, un’immagine romantica dell’antichità. I neoclassici riconobbero il valore delle passioni ma, attenendosi alle indicazioni del razionalismo illuminista, preferirono sublimarle, superarle in nome di ideali etici ed estetici, alti e universali; i romantici, invece, vollero esaltare il valore dell’individuo e la passionalità dell’animo umano e ambirono a sprigionarne l’incontenibile forza creativa.
Davvero ben fatto tenuto conto dei pochi minuti occorsi.