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Nel 1964, i collezionisti John e Dominique de Menil, dopo aver visitato lo studio newyorkese dell’artista, commissionarono al pittore Mark Rothko (1903-1970), esponente di spicco del Nuovo Astrattismo americano (e più nello specifico del Color Field), la decorazione di una cappella, costruita a Houston, nel Texas, nei pressi della St. Thomas Catholic University. L’artista per quasi tre anni si dedicò a questo progetto, che riteneva il più importante della sua carriera. Consegnò quattordici dipinti dalle dimensioni monumentali: nove di questi compongono tre trittici, le altre tele sono invece singole. Tutti i quadri sono scurissimi, apparentemente neri, in realtà ottenuti con colori cupi: nero opaco, marrone, viola scuro. Solo un pannello mostra una flebile zona rossa. La cappella fu inaugurata nel 1971, un anno dopo il suicidio di Rothko; parteciparono alla cerimonia le principali cariche della chiesa cattolica, ebrea, buddista, musulmana, protestante e greco-ortodossa. Per desiderio dei committenti fu chiamata Rothko Chapel.
Progettata da Philip Johnson, Howard Barnstone e Eugene Aubry, la cappella presenta una pianta ottagonale, come gli antichi battisteri medievali; le pareti di cemento, ricoperte internamente di stucco grigio chiaro, sono prive di finestre e la luce cade dall’alto, passando da un lucernario. Con i dipinti di Rothko, sembra che la piccola costruzione abbia le pareti finestrate ma che queste finestre si affaccino sul buio del nulla.
Il “nero” delle tele non è propriamente nero, è vero, e grazie alla luce naturale emergono le flebili sfumature dei dipinti, sempre nuove, sempre diverse. Ma i quadri della Rothko Chapel rientrano comunque nella più generica categoria pittorica del black, inteso come assenza di luce o, se si preferisce, estrema flebilità di luce. D’altro canto, la Rothko Chapel è un ambiente religioso anzi, di fatto, seppur consacrato al cattolicesimo, interreligioso: e questo sia per l’assenza di qualsiasi immagine sacra, che potrebbe indirizzare verso una religione o l’altra, sia per la presenza dei testi sacri delle maggiori religioni del mondo.
Rothko lo sapeva benissimo. Sarebbe dunque irragionevole pensare che queste sue tele black siano una negazione dell’esistenza di Dio. Che quelle tele rappresentino il Mistero è piuttosto palese. Identificare quel Mistero con Dio è legittimo. Dio è silenzioso, non si mostra, non apertamente almeno, la sua voce va ascoltata nel silenzio e non è facile da sentire. Guardare le tele di Rothko vuol dire puntare gli occhi sul Mistero, interrogarlo: nei quadri della Rothko Chapel il Mistero non si risolve in epifania, come in altre sue tele che invece risplendono di giallo. Qui, il Mistero non risponde, almeno non apertamente, non si manifesta. Quindi si continua a interrogarlo.
Ogni opera d’arte, soprattutto se è un grande capolavoro, vive due vite: quella relativa al vissuto dell’artista che l’ha prodotta e quella di relazione con il pubblico. La Rothko Chapel, dicevamo, non è un monumento alla negazione di Dio ma un luogo sacro che apre le sue finestre sul Mistero e invita ad interrogarsi su di esso. E qui entra in gioco il personale rapporto che ognuno ha con il Mistero. Qualcuno coglie, all’interno della cappella, un’atmosfera tombale e claustrofobica. Per chi è credente, invece, quel buio non è minaccioso, perché vi si percepisce comunque la Presenza. Qualcuno infatti piange («quanti piangono davanti ai miei quadri vivono la stessa esperienza religiosa che ho vissuto io quando li ho dipinti», disse Rothko). Non sarà certo un caso che, dal 2011, la Rothko Chapel è segnalata dal National Geographic come uno dei primi dieci posti più dispensatori di pace nel mondo. Ma per Rothko? Qui l’artista lascia il posto all’uomo. A lui, il Mistero non rispose: è evidente, altrimenti non si sarebbe suicidato. Ma suicidandosi e lasciandoci la Rothko Chapel, vero testamento spirituale, è come se ci avesse passato il testimone, come se ci avesse detto: “continuate voi, continuate a interrogare, continuate a guardare, continuate a cercare. Io ci rinuncio”.
Buona sera, mi chiamo Dianella Bardelli, adoro la Rothko Chapel anche se l’ho vista solo in fotografia; vi segnalo nel mio sito web un testo frutto di una mia improvvisazione.
Grazie Dianella Bardelli
Grazie, lo leggerò con piacere
Grazie, mi hai aiutato a comprendere, forse, un frammento del pensiero di un grande Artista.
Sono molto contento. Grazie per l’apprezzamento
Io credo che Rothko si sia suicidato proprio perché al contrario ha trovato una risposta al mistero, ha voluto varcare la soglia di una stanza che solo con quel gesto estremo gli sarebbe stato possibile conoscere. Ha voluto creare una quindicesima stazione della Via Crucis, dedicata a se stesso, al suo desiderio di Resurrezione.
grazie, ho iniziato a seguirla, sono molto contenta di averla incontrata
Eh beh…. Mi viene proprio voglia di andarci, a Houston… Entrare là dentro e… vedere che cosa succede… È da una vita (ho quasi 70 anni…. e mi sono allontanato dal pensiero religioso molto presto, da ragazzo….) che vivo da border line…… Chissà se troverò una risposta, dentro di me, prima di…. riconsegnare la pelle alla Madre Terra….