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Da Rubens a Saville: quando la bellezza è curvy
Artisti di ieri e di oggi contro l’idea stereotipata della figura femminile.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Arte Ieri Oggi – Data: Settembre 1, 2020 2 commenti 4 minuti
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Pieter Paul Rubens (1577-1640), fiammingo, è considerato uno dei pittori europei più colti del Seicento, al pari dei grandi maestri del Rinascimento italiano. La vastità dei suoi interessi e delle sue conoscenze in campo artistico ne fecero uno spirito universale e gli garantirono un prestigio ineguagliabile. Filippo IV di Spagna lo nominò consigliere di Stato e Carlo I d’Inghilterra gli conferì un titolo nobiliare. Dipinse straordinari ritratti, sontuosi cicli pittorici celebrativi, intense scene sacre. La pittura di Rubens, tuttavia, è ricordata soprattutto per i numerosi nudi femminili, molto diversi da quelli rinascimentali che avevano imposto al corpo umano, in una sorta di astrazione geometrica, la compattezza ideale della sfera e del cilindro.

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Le Tre Grazie

Le donne di Rubens sono assolutamente reali: la loro bellezza risiede nella verità dei loro corpi. Nelle figure di donna rubensiane, i contorni traboccanti delle membra, così come le pieghe e i gonfiori della pelle, ora tesa ora compressa, riescono a conseguire gli stessi risultati di un panneggio aderente. Il colore modella con grande efficacia gli incarnati luminosi, assumendo una forte valenza espressiva. Assecondando l’esaltazione dei sensi, Rubens cercava infatti di rendere costantemente anche la sensazione del tatto. L’espressione delle Tre Grazie, del 1639, oggi al Prado, è a un tempo parlante e indifferente; grate alla vita, come tutte le donne dipinte da Rubens, sono felici di essere state così favorite dalla natura ma non sembrano esserne del tutto consapevoli: in questo, forse, è il vero segreto della loro generosa freschezza.

Pieter Paul Rubens, Le tre Grazie, 1639. Olio su tavola, 2,21 x 1,81 m. Madrid, Museo del Prado.

Un nudo domestico

Rubens volle sempre scegliere modelle assai morbide o decisamente in sovrappeso, almeno per i nostri canoni estetici attuali. Molte delle sue dee o ninfe presentano chiari segni di cellulite, talvolta assai evidenti. Chiaramente, il maestro fiammingo si compiaceva nel rappresentare certe ridondanze e forse, da uomo, le apprezzava. Quando nel 1638 ritrasse la sua seconda moglie, Helena Fourment, completamente nuda e solo parzialmente coperta da una pelliccia, intese presentare senza dubbio una immagine sensuale, anzi esplicitamente (seppure non volgarmente) erotica della sua sposa.

E pare che nelle Tre Grazie del Prado Rubens abbia voluto ritrarle entrambe, le sue mogli, e sempre rigorosamente nude: sia Helena, che sarebbe quella di sinistra, sia Isabella Brant, la consorte precedente (scomparsa prematuramente), al centro. Chi fosse la terza modella non è ancora noto. Senza dubbio, l’artista volle rendere un omaggio sincero alle donne “normali”, di cui celebrò una bellezza fisica genuina, reale. Una donna può essere attraente nonostante le sue forme morbide (che oggi spesso si fa sparire dalle fotografie grazie a photoshop), anzi, magari proprio per quelle. Perché, sembra voler dire il grande fiammingo, è più concretamente attraente un corpo reale che non uno virtuale.

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Pieter Paul Rubens, Helena Fourment (La pelliccia), 1638. Olio su tavola, 176 x 83 cm. Vienna, Kunsthistorisches Museum.

Oggi, i nudi formosi della Saville

Oggi, la pittrice Jenny Saville (1970), una delle più importanti e discusse artiste britanniche contemporanee (che divide la sua vita privata e professionale tra Londra e Palermo), affronta il tema del corpo femminile in sovrappeso con la medesima, provocatoria convinzione, per dare volto e dignità, nella cultura figurativa del XXI secolo, alle donne large size. Come Rubens, Saville ha infatti scelto di celebrare nei suoi dipinti le donne con tutta la crudezza del grasso, della cellulite, delle smagliature e delle cicatrici, contestando l’idea che un corpo segnato, per esempio dalle gravidanze, non possa essere un soggetto artistico. Per un certo tempo Saville ha seguito il lavoro di un chirurgo plastico di New York.

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Studiando i corpi di quelle donne che, in una società ossessionata dall’apparire e dall’aspetto fisico, si sentono inadeguate e vivono il proprio corpo come un “errore” e per questo motivo si sottopongono a interventi chirurgici e liposuzioni, Saville ha cercato di carpirne anche la psicologia e di rimandarla al grande pubblico attraverso le sue tele. In pieno XXI secolo, insomma, l’artista ha voluto capovolgere l’idea stereotipata della figura femminile, rovesciare ogni preconcetto sui canoni di bellezza e rivendicare il diritto che ogni donna ha di piacersi, indipendentemente dalla taglia degli abiti che indossa.

Jenny Saville, Propped (Nudo Appoggiato), 1992. Olio su tela, 2,13 x 1,83 m. David Teiger Collection.


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  1. Credo che il corpi di Saville, spesso tumefatti e tragicamente martoriati, siano la metafora universale della condizione dell’uomo contemporaneo
    passato al tritacarne della sottocultura della massificazione;
    un corpo osceno privato della sua humanitas: inerme cede il passo alla pulsione biologica della carne informe.

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