L’affresco con San Giorgio e la principessa è l’indiscusso capolavoro del pittore Antonio Pisano detto Pisanello, probabilmente originario di Pisa: l’ultimo, geniale artista italiano del Gotico internazionale. Di lui si hanno solo notizie frammentarie, comprese tra il 1395 e il 1449. L’opera gli venne commissionata dalla famiglia dei Pellegrini per la propria cappella della Chiesa di Santa Anastasia a Verona, dove si trova ancora oggi (nella parete esterna, sopra l’arco di ingresso).
La sua realizzazione si colloca tra il 1433 e il 1435. L’affresco, che faceva parte di un ciclo più ampio, purtroppo perduto, è rimasto lungamente esposto alle infiltrazioni d’acqua provenienti dal tetto della chiesa, e per questo motivo si è in parte rovinato (soprattutto nella parte sinistra, quella con il drago). In occasione di un restauro del secolo scorso è stato staccato dal muro, riportato su tela e ricollocato nella sua posizione originaria. Purtroppo, durante questa operazione sono cadute tutte le decorazioni metalliche e le dorature.
Il soggetto dell’affresco rimanda a un’antica leggenda medievale, raccolta da Jacopo da Varazze nella sua Leggenda Aurea del XIII secolo: in un grande lago della Libia viveva un drago capace di uccidere con il fiato chiunque gli si avvicinasse; per placarne la furia, gli abitanti della vicina città di Trebisonda dovevano dargli periodicamente in pasto un ragazzo o una ragazza estratti a sorte. Giorgio, valoroso cavaliere, giunse da quelle parti proprio mentre la principessa, destinata a essere immolata, attendeva che si compisse il suo destino: affrontò il drago e lo uccise. Pisanello organizzò la scena intorno all’arco a tutto sesto che immette nella cappella. Nella parte destra, scelse di rappresentare il momento in cui Giorgio si congeda dalla principessa prima di combattere il drago (che, come il serpente, è simbolo di Satana).
A sinistra, nella parte oramai scialbata (cioè sbiadita) si trovava il mostro, circondato da teschi e cadaveri, in attesa della sua regale vittima. Il santo, che come ogni vero eroe non tradisce la minima esitazione, è ritratto con un piede sulla staffa, con lo sguardo già rivolto al nemico da affrontare. La principessa, in piedi davanti a lui, assiste silenziosa alla scena. È vestita sontuosamente con un abito di foggia quattrocentesca, ornato di pelliccia. Porta i capelli in una elaborata acconciatura, altissima e tenuta da larghe fasce, che, secondo la moda del XV secolo, prevedeva la depilazione della fronte.
Non era sola, al momento dell’incontro con l’eroico salvatore: era stata infatti accompagnata da alcuni cavalieri e da un gruppo di curiosi, che affollano lo spazio intorno. Insieme ai cavalli, Pisanello rappresentò, magistralmente, anche altri animali, un ariete accovacciato, un levriero e un cagnolino da compagnia.
Ogni particolare di quest’opera sembra concepito per destare l’ammirazione del pubblico: l’eleganza del biondo cavaliere, la grazia e il profilo inquieto della bella principessa dalle labbra sottili, la snella figura del levriero, la solida e possente massa del cavallo visto di tergo, i preziosi monumenti traforati della città di fiaba sullo sfondo, vere opere d’oreficeria, persino i due impiccati che penzolano dalla forca con i colli slogati, osservati da un corvo appollaiato sulla traversa. La caduta del colore ha lasciato in vista il fondo preparatorio nero, lì dove in origine c’era un cielo azzurro; questa perdita contribuisce a rendere la scena ancora più irreale e ha quasi fatto sparire un arcobaleno che preannunciava il lieto fine.
Quando Pisanello realizzò quest’opera, il Rinascimento italiano già vantava più di trent’anni di storia, che, tuttavia, il pittore tardogotico sembrò quasi del tutto ignorare. L’artista rappresentò con la stessa cura e nitidezza i sassolini in primo piano e i pinnacoli delle architetture sul fondo. Nonostante l’abbondanza di dettagli realistici, nonostante la presenza di arditi scorci prospettici e la consistenza dei corpi che ne fanno un dipinto stilisticamente aggiornato, l’affresco resta privo di sintesi e manca di una vera unità spaziale. Quella presentata dall’affresco di Pisanello non è altro che una realtà poetica e malinconica, uscita come d’incanto dalle pagine di un antico libro miniato, una realtà, insomma, che si può solo immaginare.
Che vuol dire che non c’è unità spaziale ?
Lo spazio del San Giorgio non è prospetticamente definito attraverso la creazione della tipica scatola spaziale all’interno della quale si muovono i personaggi. Al contrario, lo spazio è come frammentato, primo piano e sfondo hanno la medesima importanza. Tutto ciò è tipico della pittura tardogotica.