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Mantegna, Perugino e Antonello da Messina furono tre grandi maestri del Rinascimento italiano. Ammiratissimi ai loro tempi, svilupparono stili molto differenti, a dimostrazione del fatto che il Rinascimento non può in alcun modo considerarsi una stagione artistica segnata da uniformità di intenti e di risultati. Il confronto di un soggetto affrontato dai tre artisti e molto amato a quei tempi, ossia il San Sebastiano, soldato romano, martire del primo cristianesimo ucciso dalle frecce dei suoi commilitoni, ci offre l’occasione per verificarlo.
Il San Sebastiano, oggi al Louvre, è un grande capolavoro dipinto nel 1481 da Andrea Mantegna (1431-1506). Il quadro raffigura il santo (trafitto da parte a parte) con il volto contratto in una smorfia di dolore e il corpo percorso da una terribile tensione. Ogni particolare è delineato attraverso contorni netti e precisi: le rughe che gli segnano il volto, i rilievi delle ossa e dei muscoli, le pieghe aggrovigliate del panno che gli cinge i fianchi. Anche le nuvole presentano la consistenza di corpi solidi e si stagliano sull’azzurro cupo del cielo con un disegno secco e spigoloso.
Sebastiano è legato ad un frammento di architettura classica: una colonna corinzia sovrastata da un moncone di trabeazione e concatenata ad un pilastro su cui s’imposta il primo concio di un arco. Questa rovina rappresenta la Storia cui si lega l’età cristiana ed esprime da un lato il senso della continuità fra antico e moderno, dall’altro la decadenza del mondo pagano, destinato ad essere sostituito da quello cristiano.
I due personaggi tagliati in primo piano sembrano colti per sbaglio da un fotografo distratto, nel loro casuale passaggio. Tale espediente, magistrale e modernissimo, rende la scena, per altri versi monumentale e solenne, quasi immediata.
In questo dipinto, si possono cogliere alcuni aspetti, che sono tipici dello stile mantegnesco: in particolare, l’uso di linee dure e intense, di colori accesi e contrastanti e di una luce nitida e tagliente. Ritroviamo frequentemente nelle figure mantegnesche di nudi anche il vigore monumentale del corpo di Sebastiano e la sua muscolatura aspra e secca, oltre che l’espressività del volto.
Anche Pietro Perugino (1445/50-1523) realizzò, verso il 1495, un San Sebastiano, oggi al Louvre. Anzi, com’era solito fare, di questo dipinto propose altre due versioni, pressoché identiche: una si trova a Roma, alla Galleria Borghese, e l’altra al Museu de Arte di San Paolo del Brasile.
Nella tavola di Perugino, il martire è mostrato all’interno di una loggia classica, i cui pilastri sono decorati a candelabre. Una volta e un pilastro rovinati a sinistra alludono, come consuetudine, alla fine del mondo pagano. Sullo sfondo, verso cui l’occhio è accompagnato dalla rigorosa prospettiva del pavimento a riquadri, si apre un delizioso e sereno paesaggio collinare, punteggiato di alberelli. La composizione dell’opera è rigorosamente simmetrica; san Sebastiano, al centro, legato a una colonna di porfido rosso, ostenta un corpo apollineo, molto giovanile e delicato; il suo sguardo, rivolto languidamente al cielo, non denuncia sofferenza fisica. La sua posa, per quanto ponderata, secondo l’insegnamento degli antichi, è molle e sinuosa.
Perugino fu un grande caposcuola e un fervido capobottega: presso di lui lavorò anche il giovanissimo Raffaello, durante la fase della propria formazione. Grandi apprezzamenti ricevette questo maestro dai suoi contemporanei, che lo considerarono uno degli inventori della “maniera moderna”. Agostino Chigi lo definì “il meglio maestro d’Italia”.
Di lui scrisse il Vasari: «Ma nessuno di tanti discepoli paragonò mai la diligenza di Pietro, né la grazia che ebbe nel colorire in quella sua maniera, la quale tanto piacque al suo tempo, che vennero molti di Francia, di Spagna, d’Alemagna e d’altre provincie, per impararla. E dell’opere sue si fece come si è detto mercanzia da molti, che le mandarono in diversi luoghi, inanzi che venisse la maniera di Michelagnolo». Effettivamente, Perugino fu un pittore colto e fecondissimo, capace di conquistare tutti con le sue immagini eleganti e armoniose, cariche di misteriosi silenzi, malinconicamente aggraziate e dai colori chiari, sfumati e ricchi di raffinate trasparenze.
Queste due opere meritano un confronto con il San Sebastiano dipinto a Venezia, intorno al 1476, da Antonello da Messina (1430- 1479), oggi detto “di Dresda” perché conservato in questa città tedesca.
Un dipinto che se da un lato rimanda al mondo intellettuale di Piero della Francesca, dall’altro mostra il profondo legame con la pittura fiamminga, che il maestro siciliano ben conosceva e di cui, anzi, può considerarsi il principale sostenitore in Italia. Come il San Sebastiano di Perugino, anche il giovane martire di Antonello presenta un corpo perfetto esemplato sui modelli della scultura classica.
La calda luce solare crea ombre sfumate. I deliziosi dettagli (il soldato che dorme sdraiato per terra, la donna immobile con un bambino in braccio, le figure femminili affacciate dal parapetto della terrazza) ci risultano del tutto incongrui con la scena di martirio, che d’altro canto non appare né realistica né storicamente verosimile. Non era infatti questo l’intento di Antonello, pittore intellettuale, che amava creare immagini sospese nel tempo, meravigliosamente cristallizzate, raffinatamente cerebrali.
Splendido articolo
Grazie di cuore per l’apprezzamento!
Ottimi commenti! Da un’insegnante di storia dell’arte
Grazie mille!
Un articolo, come del resto l’intero sito, molto curato, esemplificativo e facilmente comprensibile, per permettere a tutti di cogliere la bellezza e l’importanza dell’arte. Ottimo lavoro Professore!
Grazie di cuore!
Grazie mille per i suoi affascinanti articoli.
L’arte è una delle cose più belle del mondo, l’uomo non potrebbe vivere senza le opere che i pittori ci hanno lasciato in eredità