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Il grande pittore rinascimentale Alessandro Filipepi (1445-1510), noto come Sandro Botticelli, nacque a Firenze. Entrato al servizio dei Medici, questo artista partecipò alla fervente vita di corte fiorentina, facendo amicizia con le personalità più eminenti dell’Umanesimo italiano, ossia il filosofo Marsilio Ficino e il poeta Agnolo Poliziano, da cui imparò molto.
Ficino era un personaggio di spicco del circolo mediceo. Con le sue teorie, aveva pienamente rivalutato la filosofia antica e conciliato il pensiero di Platone con gli ideali cristiani. Egli sosteneva che la realtà va intesa come combinazione di due grandi princìpi contrapposti: la perfezione divina da una parte e l’imperfezione della materia dall’altra. L’uomo, che pure è fatto di materia, può giungere in vita alla contemplazione del divino, spinto dall’amore e utilizzando la ragione.
Rinnegando totalmente gli istinti, l’uomo d’intelletto nobilita la propria vita. Certo, questo è un traguardo difficile da raggiungere, anzi apparentemente irraggiungibile. E difatti, la drammatica consapevolezza dei limiti che lo imprigionano fa dell’uomo neoplatonico un perenne insoddisfatto. L’influenza delle teorie ficiniane sull’arte di Botticelli fu profonda. L’artista accolse pienamente le idee dell’amico filosofo; e siccome il suo campo espressivo era quello delle immagini, a lui si chiese di rendere visibile il nuovo ideale di bellezza divina.
Botticelli esordì con la realizzazione di opere di soggetto religioso. L’Adorazione dei Magi si pone come un’aperta celebrazione della famiglia Medici, nella quale sono inseriti i ritratti dei suoi esponenti più importanti, da Cosimo il Vecchio a Lorenzo il Magnifico.
Botticelli dipinse molte Madonne delicate e raffinate. Nella Madonna del Magnificat, Maria è seduta su un trono dorato circondato da angeli e scrive, sotto dettatura del piccolo Gesù, le parole evangeliche del Magnificat.
La Primavera è considerata l’emblema della pittura fiorita a Firenze nell’età di Lorenzo ed è una delle più celebri allegorie pagane della storia dell’arte postclassica. Potrebbe rappresentare, infatti, l’avvento del Regno di Venere, inteso come momento di fioritura intellettuale e spirituale. Al centro, Venere è sovrastata dal figlio Cupido; a destra, Zefiro ghermisce la ninfa Cloris che si trasforma in Flora, la Primavera, mentre a sinistra le Grazie danzano tenendosi per mano; Mercurio allontana le nubi con il suo caduceo riportando il sereno. Venere è stata interpretata, in chiave neoplatonica, come Humanitas, cioè l’incarnazione mitologica del concetto di equilibrio e armonia. Le Grazie che danzano rappresenterebbero invece il trascorrere del tempo, che porta via con sé la primavera della vita, ossia la giovinezza.
La Nascita di Venere rappresenta ancora Venere, in piedi, quasi sospesa all’interno di una conchiglia mentre approda sull’Isola di Citera. La dea, raffigurata nuda, ha l’atteggiamento della venus pudica, tipico delle sculture ellenistiche e ben noto agli artisti già dal Medioevo. Ella è sospinta dal soffio fecondatore di Zefiro cui si abbraccia l’Aura, la dolce brezza, mentre un’altra figura femminile, forse una Grazia, sta per coprirla con un manto di seta ricamato con fiori primaverili.
Nelle opere di Botticelli, le immagini appaiono fortemente idealizzate perché non vogliono riprodurre la natura in modo illusionistico ma creare una realtà perfetta. L’artista esaltò il valore puro della linea, a tutto discapito del senso del volume; i marcati contorni delle figure hanno un andamento ritmico, musicale, ininterrotto anche se discontinuo, un moto senza fine che quasi impedisce allo spettatore di soffermarsi sulla scena nella sua interezza. Gli uomini e soprattutto le donne di Botticelli, che sono leggere e apparentemente prive di consistenza corporea, sembrano fluttuare e non proiettano ombre. La luce, infatti, non ha sorgenti, non modella le figure, non esalta i colori, ma è solo un’indefinita emanazione spirituale.
Botticelli non si appassionò particolarmente neanche ai problemi della prospettiva, dato che non volle costruire uno spazio capace di contenere, ordinare e coordinare oggetti e personaggi, e rinnegò lo scorcio, le cui deformazioni ottiche avrebbero allontanato l’immagine dal suo ideale di perfezione. Per lo stesso motivo i suoi paesaggi non furono mai naturalistici. Tutto ciò per rimarcare che il mondo da lui dipinto non è reale ma ideale.
Dopo la morte di Lorenzo e la cacciata da Firenze del figlio Piero, iniziò una nuova fase della produzione artistica di Botticelli, il quale rimase intimamente turbato dalla predicazione di Girolamo Savonarola, anche se non fu mai suo diretto seguace. Abbandonatosi ad una forma di religiosità quasi fanatica, rinnegò la precedente attività di artista platonico e “pagano”. La sua produzione successiva alla morte del Savonarola ha infatti carattere prevalentemente sacro e si connota per i toni drammatici e appassionati e per il doloroso misticismo. Le eleganti composizioni lineari lasciano il posto a un chiaroscuro che marca l’espressività dei personaggi.
Botticelli concluse la propria carriera solo e dimenticato. La sua pittura era stata la più coerente espressione della concezione del mondo sviluppatasi in ambito mediceo; con i suoi quadri, egli aveva applicato una filosofia, creato un’estetica, espresso un’idea astratta del bello che il Cinquecento non avrebbe più potuto né accettare né condividere.
ottima spiegazione