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La scultura egizia e lo stile amarniano
L’immagine eterna dei faraoni.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Le antiche civiltà – Data: Ottobre 7, 2021 1 commento 14 minuti
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Nell’antico Egitto, le sculture ricoprirono un ruolo molto importante: esse, infatti, dovevano celebrare il potere dei faraoni e per questo furono in genere di grandi dimensioni e realizzate con materiali destinati a durare a lungo, come pietra e soprattutto granito. Le sculture poste nelle tombe erano inoltre pensate per sostituire il corpo mummificato del defunto, qualora questo fosse andato perso o si fosse decomposto, e per consentire all’anima di continuare a vivere in eterno; gli antichi Egizi, in sostanza, identificavano, in qualche modo, la rappresentazione del morto con la sua persona fisica. La scultura egizia e lo stile amarniano.

Maschera funeraria egizia, XV sec. a.C. Legno e lapislazzulo. Parigi, Musée du Louvre.

Un’arte più naturalistica

La scultura egizia non comportò le stesse problematiche della pittura. In Egitto, i pittori, dovendo raffigurare la figura umana sul piano, scelsero di presentare ogni parte del corpo secondo punti di vista convenienti, perché tutto apparisse chiaro, pure a costo di sacrificare la logica dell’immagine. La scultura, che di per sé è tridimensionale, non richiede questo accorgimento. Benché ogni statua fosse stata concepita per essere ammirata soprattutto di fronte, l’osservatore poteva comunque muoversi e scegliere il punto di vista che gli avrebbe consentito di ammirare ogni parte della figura nel dettaglio. A differenza della pittura, dunque, la scultura egizia appare a prima vista molto più naturalistica.

Il faraone Chefren seduto, 2520-2494 a.C. Diorite, altezza 1,68 m. Il Cairo, Museo Egizio.

Il faraone seduto

Tuttavia, anche l’opera degli scultori fu rigidamente guidata da regole molto severe. Ad esempio, il faraone seduto doveva presentare il busto rigido, la testa eretta, le mani sulle cosce o, in alternativa, incrociate al petto, i piedi paralleli e quasi uniti. Lo possiamo verificare osservando la statua del Faraone Chefren seduto. Quest’opera celebrativa ritrae il sovrano assiso sul trono e con le insegne regali: cioè il nemès e la barba posticcia che i faraoni usavano portare sul mento legandola attorno alle orecchie.

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Chefren ha le mani poggiate sulle cosce; la sua testa è protetta dal dio Hòrus, che ha le sembianze di un falco con le ali spiegate; alla base del suo trono compaiono il loto e il papiro, simboli dell’Alto e del Basso Egitto, intrecciati per rappresentare l’unione dei due territori. L’aspetto del faraone, serrato nella sua struttura cubica e nella sua posa imperturbabile, è solenne e i tratti del suo volto sono idealizzati. D’altro canto, egli era considerato un dio (come ogni faraone): rappresentarlo nella sua umanità, nella sua quotidianità, non era concepibile. E difatti, in quest’opera, anche i tratti del suo volto sicuramente non sono reali. Ciò che contava era il ruolo pubblico del sovrano: il suo vero aspetto era del tutto trascurabile.

Il faraone Ramses II seduto, 1212 a.C. Basalto, altezza 2,10 m. Torino, Museo Egizio.

Ritroviamo caratteristiche identiche nella statua del Faraone Ramses II, realizzata più di mille anni dopo. Il re è seduto, immobile sul trono in una posa austera e frontale; presenta le braccia e le gambe articolate simmetricamente; i piedi sono paralleli, la mano sinistra è sulla coscia, la destra accostata al petto.

Il faraone in piedi

Anche la rappresentazione del faraone in piedi seguì sempre regole assai rigide. Nella statua del Faraone Micerino con la moglie, il re è mostrato nella tipica “posa eroica” maschile: è rigido, con il capo eretto e lo sguardo fisso; le sue braccia sono distese lungo i fianchi, con i pugni serrati; la sua gamba sinistra è avanzata (quella in corrispondenza del cuore, simbolo della vita) ed entrambi i piedi sono ben appoggiati al suolo. Si tratta di una posizione, chiamata del “finto passo”, profondamente statica che richiama il movimento senza veramente rappresentarlo.

Il faraone Micerino con la moglie Khamerer-Nebti, 2550 a.C. ca. Basalto, altezza 1,42 m. Boston, Museum of Fine Arts.

I corpi dei faraoni

Micerino è seminudo, coperto solo dal tipico gonnellino. La moglie gli cinge la vita con la mano destra e con la sinistra gli tocca un braccio, quasi a voler mostrare allo spettatore la forza fisica e l’atletica perfezione del corpo del marito.

Il faraone Micerino con la moglie Khamerer-Nebti, 2550 a.C. ca. Particolare.

Tutte le sculture dei faraoni egizi mostrano questa apparenza fisica così vigorosa: esse esibiscono infatti spalle ampie, toraci gonfi dai pettorali sviluppati, bicipiti possenti. Tali corpi atletici quasi certamente non corrispondevano a quelli reali: sappiamo infatti che molti faraoni, nati da matrimoni incestuosi fra consanguinei, soffrivano di gravi malformazioni di natura genetica. Ma un sovrano doveva sempre e comunque presentarsi come una guida credibile e autorevole per il suo popolo: doveva essere un grande capo e come tale un grande guerriero, un grande cacciatore, un vero atleta.

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La sua appartenenza alla classe sociale più eletta, il suo status superiore, la sua stessa divinizzazione imponevano di andare oltre la sua individualità. Il sovrano si distingueva dagli altri uomini indipendentemente dalle sue qualità personali; ancor meno indicativo era quindi il suo vero aspetto fisico, che dunque non era opportuno riprodurre fedelmente. La scultura egizia insomma mostrava il faraone non com’era ma come doveva apparire: un dio-sovrano che si sottraeva alla realtà di tutti i giorni per essere venerato in eterno.

Micerino tra le dee Hathor e Anput, 2550 a.C. ca. Pietra granitica, altezza 96 cm. Il Cairo, Museo Egizio.

L’iconografia del faraone in piedi avrebbe avuto grande fortuna presso le civiltà mediterranee dei secoli e millenni successivi. Ad esempio, la ritroviamo nella Grecia arcaica per i kouroi, rappresentazioni di ragazzi che presentano sia la tipica posizione delle braccia stese lungo i fianchi sia la posa del finto passo. L’unica essenziale differenza è che i kouroi sono sempre completamente nudi, laddove la nudità integrale in Egitto era concepita solo per rappresentare i bambini e gli schiavi.

Polimede di Argo, Cleobi e Bitone, 585 a.C. ca. Marmo pario, altezza 2,16 m. Delfi, Museo Archeologico.

La rivoluzione di Akhènaton

La scultura egizia conobbe una più spiccata attenzione per il dato naturalistico solo durante il regno del faraone Amenofis IV. Questo sovrano, salito al trono nel 1353 a.C., trasferì la capitale a Tell-el-Amarna e fu artefice di una importantissima riforma religiosa. Egli, infatti, abolì il millenario politeismo egizio a vantaggio di una religione monoteista che prevedeva il culto unico di Aton, il disco solare. Per questo motivo, Amenofis cambiò il proprio nome in Akhènaton, ‘colui che piace ad Aton’. La rivoluzione monoteista, in realtà, non durò che l’arco di pochi anni e non sopravvisse ad Akhènaton, morto prematuramente. Il figlio illegittimo Tutankhamon, divenuto faraone a soli nove anni, venne spinto a ripristinare i culti precedenti e a restituire ai sacerdoti gli antichi privilegi.

Busto colossale di Akhènaton, proveniente dal Grande tempio di Aton ad Amarna,1353-1335 a.C. Il Cairo, Museo egizio.

Lo stile amarniano

La concezione religiosa di Akhènaton si basò sull’amore per la verità. Le conseguenze culturali di tale assunto furono molto importanti, anche in campo artistico.  In un paese dove il legame fra l’arte e la religione era sempre stato così stretto, d’altro canto, sarebbe stato inevitabile. Contestate le millenarie consuetudini artistiche, colpevoli di aver condannato l’arte egizia all’immobilismo, si concesse agli artisti una certa libertà di espressione. L’arte egizia virò verso un moderato naturalismo. Il nuovo stile, oggi detto amarniano dal nome della nuova capitale, iniziò ad esprimere l’amore per la vita, descritta nella sua essenza più intima e individuale. Perfino il re e la regina furono ritratti com’erano nella realtà.

Ritratto di Nefertiti, 1353-1335 a.C. Calcare dipinto, altezza 48 cm. Berlino, Staatliche Museen.

Possiamo quindi conoscere, e riconoscere, i tratti somatici di Akhènaton, il quale aveva un viso allungato, il naso pronunciato e le labbra carnose. Di Nefertiti, la splendida moglie di cui ci sono rimasti due ritratti fra i più belli della storia della scultura, possiamo ammirare il collo lungo ed elegante, le labbra sensuali e il naso sottile. I due sposi reali si fecero persino ritrarre mentre si coccolano le figlie e anche mano nella mano, come una coppia qualunque, e questo dovette apparire davvero rivoluzionario, trattandosi di sovrani divinizzati.

Akhènaton con la moglie Nefertiti con tre figlie sotto il dio sole Aton, 1353-1335 a.C. Stele di pietra calcarea. Berlino, Neues Museum.
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Akhènaton con la moglie Nefertiti, 1365-1349 a.C., altezza 22,2 cm. Parigi, Musée du Louvre.

Le immagini ufficiali di Akhènaton, e in particolare le scene cerimoniali e protocollari, non risentirono della grande riforma, o quanto meno non fecero in tempo. Pochi anni di regno, interrotti dalla prematura morte del sovrano, non furono sufficienti a rimuovere per intero consuetudini secolari. Per esempio, nel rilievo inciso con L’offerta ad Aton, in cui Akhènaton adora il dio Aton con la moglie e la figlia, vengono mantenuti gli schemi tradizionali e i rigidi rapporti proporzionali di tipo gerarchico. La regina è alta solo due terzi, e la principessa appena un terzo del faraone.

L’offerta ad Aton, 1353-1335 a.C. Incisione su pietra calcarea. Il Cairo, Museo Egizio.

Tutankhamon

Le sculture egizie sono state in gran parte ritrovate all’interno delle tombe ipogee, o con struttura “a ipogèo”, ottenute scavando alcuni vani sotterranei nella roccia. In una zona nota come Valle dei Re, sono state rinvenute le tombe dei faraoni della XVIII, XIX e XX dinastia. Il solo archeologo britannico Howard Carter (1873-1939) ne ha scoperte ben 58 nei primi decenni del 1900; tra esse spiccano, per la grandiosità dell’architettura e lo splendore delle decorazioni, quelle dei faraoni Tutmosi III, Tutankhamon e Seti I. In una località attigua si trova la Valle delle Regine, che ospita molte tombe di regine e prìncipi della XIX e XX dinastia; ricordiamo, soprattutto, la Tomba della regina Nefertari, sposa di Ramesse II.

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Gli oggetti ritrovati dagli archeologi, e oggi conservati nei musei di tutto il mondo, sono una minima parte di quelli che furono tumulati con le mummie. Tutte le tombe egizie hanno subito delle profanazioni; anche la Tomba del faraone Tutankhamon fu dunque violata dai tombaroli, probabilmente poco dopo la sepoltura del faraone; ma i ladri, scoperti, fuggirono portando via ben poco. I sacerdoti sigillarono nuovamente la tomba, e questa non fu più riaperta sino al novembre del 1922, quando Carter vide ricompensate le fatiche di sei anni di scavi.

L’accesso alla camera funeraria era protetto da due statue lignee di Tutankhamon a grandezza naturale; quattro cappelle sepolcrali di legno dorato, aderenti l’una all’altra, proteggevano il corpo del faraone, racchiuso a sua volta in quattro sarcofagi, uno dei quali in oro massiccio.

Sarcofago di Tutankhamon, 1333-1323 a.C. Oro massiccio. Il Cairo, Museo Egizio.

Oltre a questi, alle sculture di alabastro e di legno dorato e ai bellissimi gioielli, la tomba conservava anche armi, cocchi, mobili e suppellettili d’uso quotidiano, testimonianze preziosissime della vita in Egitto alla fine della XVIII dinastia (1323 a.C.).

Maschera funeraria di Tutankhamon, 1333-1323 a.C. Oro e lapislazzuli. Il Cairo, Museo Egizio.

Degli splendidi capolavori artistici ritrovati nella tomba, ricordiamo soprattutto la celebre Maschera funeraria in oro e pietre dure, che ricopriva il volto della mummia, e il Trono del faraone con l’immagine degli sposi reali sullo schienale.

Trono di Tutankhamon, particolare, 1333-1323 a.C. Legno rivestito d’oro, altezza 53 cm, larghezza 53 cm. Il Cairo, Museo Egizio.

Lo Scriba del Louvre

Come nel caso della pittura, anche la scultura egizia fu, in generale, condizionata da regole meno tassative per la rappresentazione dei personaggi minori. Le statue dei dignitari di corte, per esempio, presentano pose un po’ rigide e innaturali; tuttavia, pur ricalcando i modelli ufficiali, sono più inclini alla resa “realistica” dei personaggi. Vi sono sculture egizie risalenti al Regno Antico che colpiscono per la naturalezza dell’espressione, come per esempio lo Scriba del Louvre. Rappresentato nella tipica posizione seduta con le gambe incrociate, questo sconosciuto amministratore di provincia tiene sulle ginocchia una tavoletta su cui stende il suo rotolo di papiro e sembra ascoltare con attenzione quanto gli viene dettato. La forza espressiva del suo sguardo intelligente è resa dall’anonimo artista con efficacia straordinaria.

Scriba, 2500 a.C. Da Saqqàra. Calcare dipinto, altezza 50 cm. Parigi, Musée du Louvre.

Il sindaco del villaggio

Un’altra celebre scultura di dignitario è quella di Ka’aper, nota, impropriamente, come Il sindaco del villaggio. Infatti, quando la statua venne scoperta, a Saqqara, gli scavatori notarono una certa somiglianza con il sindaco locale, e così battezzarono l’opera. Si tratta, invece, del ritratto in legno di un aristocratico, capo dei sacerdoti a Menfi e governatore del Basso Egitto, vissuto durante la V dinastia, qui vestito con una lunga gonna che arriva alle ginocchia e dotato di un bastone del potere.

Il sindaco del villaggio, 2500-2350 a.C. Legno di sicomoro, rame, bronzo e quarzo, altezza 1,10 m. Il Cairo, Museo Egizio.

Benché l’uomo sia presentato, al pari dei faraoni, nella posa convenzionale del finto passo, una maggiore concessione al naturalismo è dimostrata dal suo fisico, piuttosto corpulento e in carne per l’età avanzata, con le gambe grosse e appesantite, che rendono la sua immagine meno convenzionale e stereotipata. Straordinaria è la resa del volto, sereno e distaccato ma dallo sguardo intenso e vivo, sicuramente reso più reale dall’uso di materiali diversi per gli occhi.

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Il sindaco del villaggio, 2500-2350 a.C. Particolare del volto.

I servitori

Dal tardo Antico Regno e fino al Medio Regno si usò deporre nelle tombe certe statuette di legno o di calcare dipinto, raffiguranti servitori nello svolgimento delle loro mansioni domestiche. Queste opere appaiono ancora più libere e spontanee, e non seguono passivamente i dettami della tradizione. D’altro canto, le piccole sculture dei servi erano prive di valore simbolico e celebrativo: esse avevano la medesima funzione delle scene riprodotte sulle pareti, cioè dovevano solo “assicurare” il sostentamento perenne del defunto, servirlo e difenderlo.

Ancella che prepara la pasta per la birra, 2460-2220 a.C. Pietra dipinta. Firenze, Museo Archeologico.


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