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Il senso dell’arte
L’arte è nata praticamente assieme all’uomo.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Pensieri sull’arte – Data: Ottobre 30, 2019 3 commenti 4 minuti
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L’arte è nata praticamente assieme all’uomo. Quando l’uomo non era ancora uomo, perlomeno non come lo intendiamo noi oggi, quando non sapeva ancora parlare, figuriamoci scrivere, e non abitava nelle case, e non aveva ancora inventato la ruota, ebbene già l’arte c’era. E questo ci appare francamente incredibile ma ci fa anche comprendere che dall’arte non possiamo prescindere. Il senso dell’arte

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Grazie all’arte, infatti, noi sappiamo che l’uomo è sempre stato accompagnato da una irresistibile attrazione per la bellezza, da un radicato bisogno di comunicare e da un profondo sentimento del sacro. Attraverso il linguaggio dell’arte, l’uomo ha potuto testimoniare la sua presenza e quindi affermare il proprio io in un contesto ambientale durissimo; ha potuto raccontare della propria vita e trasmettere informazioni, in assenza di scrittura; ha potuto dare volto e corpo a una realtà soprannaturale che percepiva ma che gli risultava misteriosa e oscura; ha potuto celebrare una bellezza che riconosceva in tutto quanto lo circondava. Questo accadde già durante la preistoria e si confermò quando l’uomo passò dallo stato di cacciatore a quello di contadino, costruì le prime case e poi i villaggi e poi le città e quindi inventò la scrittura. E divenne ancora più radicale quando nacquero le prime civiltà e ancora di più nei secoli a venire, dal mondo greco a quello romano, nel medioevo e nel Rinascimento, dal Barocco a oggi, nel nostro controverso e misterioso mondo contemporaneo. Il senso dell’arte

Un approccio all’arte, a qualunque livello (guardare delle immagini su internet, visitare un museo o una mostra, studiare le opere attraverso i libri), si risolve dunque in un incontro. Incontro con la bellezza, innanzi tutto, perché spesso (non sempre e non necessariamente) l’arte svela la bellezza o addirittura la crea. La bellezza in tutte le sue possibili forme.

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La bellezza ci fa bene, è terapeutica, ci rinfranca, ci rassicura, alimenta la nostra speranza. Anche un solo momento di contemplazione della bellezza è salutare. Ma certo questo è un approccio minimalista con l’arte. Attraverso le opere noi, se lo vogliamo, possiamo infatti incontrare l’autore: un uomo (più raramente, una donna) che, tendiamo a dimenticarcelo, ha amato, sofferto, gioito, combattuto, si è ribellato al potere, oppure l’ha convintamente sostenuto, si è smarrito, è caduto e si è rialzato. Come noi. Il senso dell’arte

Conoscere la storia dell’arte è quindi il modo più efficace per attraversare la Storia, scoprirne le contraddizioni o i trionfi, o perfino le meschinità, le vanità, le futilità: tutto, perché non c’è aspetto dell’umano che l’arte non abbia saputo mostrare. Ma andando ben oltre al dato di testimonianza, pur validissimo, l’artista può affondare le mani nelle viscere della nostra identità, ed è questo a renderlo (quando è un grande artista) universale e immortale. La denuncia di un artista, lo sdegno di un artista, il coraggio di un artista possono arrivarci come un pugno nello stomaco e ci obbligano a riflettere. L’artista sa porre le domande che talvolta, per pigrizia o per ignavia, non sappiamo e non vogliamo porci. Può sbatterci in faccia la verità che non vogliamo vedere o accettare. E sa applicare questa sua capacità di giudizio anche quando si propone come protagonista della sua opera.

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Un grande artista sa guardarsi con lucidità quasi cinica, perfino spietata. Avete presente gli autoritratti di Van Gogh? Quelli in cui rivolge lo sguardo non tanto a noi quanto al sé stesso che vede riflesso, e si chiede chi è, lui, veramente, cosa sta facendo di buono, se la sua vita ha un senso. Quante volte ci siamo guardati allo specchio incrociando il medesimo sguardo, che è il nostro, magari nei momenti più difficili o tormentati della nostra esistenza? E quali parole avremmo potuto scegliere per descrivere con altrettanta efficacia quella sospensione ansiosa, quella trepidazione angosciata? E dunque, contemplando un autoritratto di Van Gogh non vediamo forse noi stessi? L’arte non prevede superficialità: è per questo che in ogni caso, in ogni modo, essa ci aiuta a vivere.

Vincent Van Gogh, Autoritratto, 1889. Olio su tela, 65 x 54,5 cm.
Parigi, Musée d’Orsay.

 


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  1. Con una famiglia sempre impegnata a portarmi in musei e luoghi d’arte, che ho normalmente apprezzato e amato da bambino nelle parti più “accessibili” e facili da comprendere, come gli impressionisti, i dipinti di Caravaggio o le statue del primo e dell’ultimo Michelangelo, avrei poi avuto estremo bisogno di un supporto di questo tipo (uno stimolo a conoscere e lasciarci appassionare), al liceo scientifico, che era molto buono e serio, in generale, ma ha colpevolmente lasciato scivolare via Storia dell’Arte dal nostro curriculum (professoressa costantemente impegnata in altre cose, mentre il professore di Disegno Tecnico simpaticamente ci ha lasciato fare compiti o giocare a carte per 5 anni), come se Matematica, La Divina Commedia (per 3 anni), il De Rerum Natura o la letteratura inglese fossero quel che davvero conta nella vita (reale e accademica). Sapevamo che ci stavano defraudando, ma con tantissimo lavoro non ci lamentammo troppo (anni 80, si doveva darci dentro, pazienza se si perdevano le frivolezze).

    Ora, quando in una sola pagina uno come lei mi prende la pancia, mi arrabbio per quella perdita di potenziale, perché no, non credo che uno da solo si possa andare a vedere le mostre studiando prima autore e contesto e… godersele. Ci vuole un maestro che ci guidi e ispiri. Detesto non poterlo essere per i miei figli, ai quali non posso imporre l’arte, ma solo suggerirla e offrirla, ma senza capacità di condurli per mano a goderne. Nella mia modestissima carriera di docente universitario ho sempre solo provato a fare questo, anche se con materie poco artistiche come l’organizzazione aziendale (!) – trasmettere ai ragazzi l’idea che quella materia potesse essere bella e farci scoprire meandri inesplorati della natura umana e il piacere di un’organizzazione ben funzionante, per es. [peccato che in realtà il 90% di loro riuscisse solo a chiedermi “va beh, prof, ma questo lo chiede all’esame?”]. Ma sull’universo (non parallelo, integrante) dell’arte… mi ci vorrebbero più interventi come questi suoi!

    La conclusione di questo ringraziamento/sfogo/rimpianto (probabilmente ridicolo) è che, se ci fossero più docenti come lei, o se i ragazzi si soffermassero a leggere questo blog tra un po’ di Grande Fratello e qualche pagina di odio per qualcuno o qualcosa, probabilmente non avremmo tanta superficialità in giro, quindi tanto razzismo e voglia irrazionale di fascismo, quindi i populisti-sedicenti razzisti-sedicenti fascisti non starebbero al volante del nostro paese. Sarebbe meglio? Non lo so, certo più bello 🙂

    1. Carissimo professore, la ringrazio per le sue parole. Condivido il suo pensiero. Pochi hanno la capacità di fare grandi cose. Persone come me e lei possono però impegnarsi nelle piccole, mai prive tuttavia di senso, di forza e a loro modo di nobiltà. Nello spazio che mi sono ritagliato, continuo determinato e fiducioso a contrastare le piccinerie del mondo con l’unica arma che so usare: l’educazione, attraverso l’arte, al bello e al bene. L’arte non sempre può cambiare la realtà ma certamente ha il grandissimo potere di intervenire sulle coscienze. Questo si, può farlo: e anche noi, da insegnanti. Vale la pena crederci e insistere. Io lo faccio, e sicuramente è così anche per lei. Spero continui a leggere i miei contributi, ci tengo veramente. Nel frattempo, le auguro un buon lavoro.

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