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Negli anni Novanta del XX secolo, il movimento terroristico di Al-Qa’ida, guidato da Osama bin Laden, ponendosi l’obiettivo di annullare l’influenza dei paesi occidentali sui paesi mussulmani, organizzò efferati attacchi terroristici. Il più drammatico fu quello dell’11 settembre 2001 contro le Torri Gemelle (Twin Towers) di New York, nel quale persero la vita circa 3.000 persone. Quell’evento, quell’11 settembre, è da considerarsi uno spartiacque, giacché alimentò nell’opinione pubblica, soprattutto americana, un immaginario da nuovo conflitto mondiale.
Di quell’evento e di quel clima di paura si è resa testimone un’opera del pittore tedesco Gerhard Richter (1932).
Settembre, del 2005, presenta un’immagine a un primo sguardo nebulosa, fino a quando la messa a fuoco di due sagome geometriche rende finalmente chiaro il senso e il significato del dipinto, e anche il titolo, che fa riferimento non al placido mese autunnale ma a un settembre che ha segnato un passaggio importante nella storia recente. Le opere di Richter, di non facile interpretazione, oscillano fra il figurativo e l’informale, come se alludessero a una realtà e, nel contempo, aspirassero a creare una realtà autonoma. Settembre non fa eccezione.
Come ha osservato il critico d’arte americano Robert Storr, quella «rappresentazione singola, piccola, quasi astratta di uno degli eventi più consequenziali nella storia del mondo recente» è del tutto priva dell’immediatezza che è propria della fotografia e dell’immagine filmata (gli attacchi terroristici dell’11 settembre sono stati i primi, e fino ad oggi gli unici, ad essere trasmessi in diretta tv). Richter ha infatti scelto di «dipingere ciò che non può essere dipinto». La sua pittura, in questo caso, agisce non come sostituta della memoria ma come istigatrice alla riflessione e al ricordo.