Puoi ascoltare il mio podcast su: Apple Podcasts | Google Podcasts | Spotify | Cos'è?
Il XIX secolo fu segnato da due fondamentali tendenze, o se si preferisce da due anime artistiche, che furono ben più che semplici correnti: parliamo della pittura del vero da una parte e della pittura simbolista dall’altra. Due modi differenti di concepire l’arte, per certi versi contrastanti ma in ogni caso “moderni”, innovativi, sicuramente alternativi al dominante classicismo accademico. Entrambe queste tendenze si svilupparono dall’evoluzione di particolari aspetti del Romanticismo, cioè l’attenzione al dato reale, già presente nella pittura di Géricault, ad esempio, e un marcato orientamento al misticismo e alla spiritualità, evidente invece nell’arte di Friedrich. Il Simbolismo.
Il Simbolismo fu prima di tutto un movimento letterario, sorto ufficialmente nel 1886 con la pubblicazione del Manifesto del Simbolismo ad opera del poeta Jean Moréas (1856-1910). Preceduto dall’esperienza poetica di Baudelaire, trovò in Stéphane Mallarmé (1842-1898), Paul Verlaine (1844-1896) e in Arthur Rimbaud (1854-1891) i suoi esponenti più autorevoli. Le sue radici affondano nell’estetica romantica, che aveva già celebrato la poesia e l’arte come particolari forme di conoscenza, nella convinzione che la realtà sensibile celasse verità spirituali che soltanto i poeti e gli artisti sapevano comprendere.
La difficile decifrazione della realtà poteva attuarsi solo attraverso una continua ricerca di idee e immagini, che appartenevano alla realtà esterna come a quella interiore e che si riconnettevano simbolicamente fra loro.
Nel campo delle arti figurative, il parallelo con il manifesto letterario del 1886 di Moréas fu offerto da un articolo dello scrittore e critico d’arte Albert Aurier, apparso nel 1891 sul «Mercure de France» con il titolo Il Simbolismo nella pittura. Secondo Aurier, un’arte simbolica dev’essere espressiva di idee, e non di semplici esperienze reali e naturalistiche, e improntarsi fortemente alla visione soggettiva dell’artista. Egli propose una descrizione dell’arte simbolista che sarebbe divenuta celebre: al tempo stesso ideista, simbolista, sintetica e decorativa.
Nel 1891, presso la galleria Le Barc de Boutteville, al 47 di rue Laffitte a Parigi, fu organizzata la prima mostra di pittori dichiaratamente “simbolisti”. In quella circostanza, nel presentare i quadri esposti, il critico Gaston Lesaulx scrisse: «Un’altra scuola sta sorgendo, ancora sconosciuta al grande pubblico. È quella dei pittori simbolisti, o anche definiti ideisti. Questi vogliono, servendosi del colore e della linea, rappresentare, come i musicisti e i poeti, non tanto l’aspetto esteriore degli oggetti, quanto le forze psichiche che ne costituiscono l’anima, non la materialità degli involucri, ma i Sogni e le Idee, che sono la caratteristica dell’Essere».
Se Courbet aveva affermato: «Non penso che a ciò che vedo, e non ho mai visto degli angeli», il pittore Gustave Moreau sostenne: «Credo solo a ciò che non vedo e unicamente a ciò che sento». È questa la differenza essenziale fra Realismo e Simbolismo: se il pittore realista aveva deciso di scegliere come soggetto della propria indagine il mondo oggettivo, quello simbolista indagò la realtà ma solo per andare oltre le sue apparenze. Simbolisti furono dunque quei pittori che puntarono a elaborare un’arte dove i rapporti con gli oggetti si rivelavano imprevedibili.
Per loro, il simbolo diventava un elemento rivelatore, la testimonianza visibile di un’essenza segreta, per svelare la quale era necessario procedere per allusioni e metafore. Simbolo, e non allegoria, giacché quest’ultima traduce con immagini esplicite e immediatamente riconoscibili, un principio morale o un’istituzione (la carità, la giustizia, la regalità, lo Stato); il simbolo invece richiede un costante impegno nella ricerca del contenuto. L’immagine simbolista non s’identifica, dunque, strettamente con quanto rappresenta ma suggerisce significati diversi e talvolta misteriosi.
Il fenomeno artistico del Simbolismo ebbe origine ben prima del 1891. A questa data si deve la sua consacrazione e la sua teorizzazione ma la pittura simbolista esisteva già da una trentina d’anni almeno, come tendenza, appunto. Suoi precursori furono i Preraffaelliti inglesi e alcuni artisti francesi, come Gustave Moreau e Pierre Puvis de Chavannes, già alla metà del secolo.
Il francese Gustave Moreau, il precursore di tale tendenza, realizzò opere complesse e fantastiche, gremite di simboli e di misteriose allusioni, in cui mescolò elementi biblici e mitologici. Spesso i suoi quadri, come L’apparizione, (una libera interpretazione dell’episodio evangelico della decollazione del Battista), nascondono l’idea di un eros permeato da un inquietante senso di morte.
Pierre Puvis de Chavannes usò un linguaggio monumentale. La sua pittura è caratterizzata dal disegno accademicamente corretto, come nel caso di Fanciulle in riva al mare, dalla resa accurata dei particolari, dall’uso tradizionale del chiaroscuro; i temi affrontati si rifanno alla mitologia, caricata di inquietante mistero, così come a un cristianesimo vagamente classicheggiante.
Con Odilon Redon, artefice di un’arte visionaria e onirica che inseguiva i possibili rapporti fra la ricerca scientifica e l’atto creativo, il Simbolismo raggiunse la sua espressione più matura intorno agli anni Settanta dell’Ottocento, dunque in piena stagione impressionista, contrapponendosi ad essa in modo netto e polemico.
In seguito, il Simbolismo fece esplicito riferimento alla poetica di due grandi maestri della pittura ottocentesca: Paul Gauguin e Vincent Van Gogh.
Gauguin non fu mai propriamente un simbolista. Infatti, mentre gli artisti legati a questo movimento intesero trovare un corrispettivo all’idea, servendosi di elementi onirici, mitici e fantastici, Gauguin si limitò a porsi di fronte alla natura per registrarne l’essenza più segreta e per riproporla, nei suoi dipinti, trasfigurata. È tuttavia indubbio che lo stile sintetista con cui dipinse le sue scene e i suoi paesaggi, l’uso di colori puri e non naturalistici, l’assenza di prospettiva, la tendenza a trasferire i suoi personaggi in un contesto atemporale lo rendono molto vicino al sentire simbolista.
Tutte le forme visive da lui elaborate mirarono alla rappresentazione di un dominio extra-percettivo, traendo il loro straordinario potere di suggestione dalla fusione tra naturale e sovrannaturale. Non a caso Gauguin criticò gli impressionisti, attenti solo a ciò che vedevano e lontani dal centro misterioso del pensiero; e non a caso concepì un’arte capace di tradurre «fenomeni che ci sembrano sovrannaturali, ma di cui abbiamo la sensazione». Comprendiamo bene perché Gauguin sia stato considerato un vero e proprio maestro dagli esponenti simbolisti di seconda generazione, a cominciare dai nabis.
Più complesso è il caso di Van Gogh, difficilmente collocabile in un preciso movimento, il quale, tuttavia (e nonostante la sua prima fase “realista”), non è identificabile né come impressionista né come neoimpressionista. Anch’egli, allo stesso modo di Gauguin ma per motivi diversi, amò trasfigurare la realtà. Nelle sue opere, intensamente espressive, possiamo spesso cogliere significati che rimandano a temi universali, come la vita, la morte, l’amore, il divino, la religione, tutti molto cari ai simbolisti. Non ci stupisce che la prima recensione entusiasta di un’opera di Van Gogh sia arrivata proprio da un intellettuale del Simbolismo, mentre gli impressionisti guardarono sempre al suo lavoro con diffidenza e scetticismo.
Alcune opere di Van Gogh, peraltro, potrebbero a pieno titolo essere ricondotte a un ambito simbolista: citiamo, per esempio, il suo beffardo Teschio con sigaretta accesa, del 1886, dove uno scheletro è mostrato in una posa disinvolta mentre fuma, o anche il Caffè di notte o la Camera da letto, il cui significato simbolico non solo è palese ma anche dichiarato. Certo, il carattere simbolista della pittura di Van Gogh, per quanto innegabile, non fu mai di natura letteraria, filosofica e intellettuale, ma si configurò, più che altro, come una risposta disperata al malessere interiore che perseguitò l’artista per tutta la vita.
Il Simbolismo ebbe importanti sviluppi in tutta Europa, soprattutto in Francia, in Belgio e nella Mitteleuropa. Nel 1889, Gauguin trasmise i suoi insegnamenti a Paul Sérusier e questi a sua volta a un gruppo di suoi amici pittori, con i quali fondò il gruppo dei nabis (letteralmente, ‘i profeti’). I nabis assunsero un atteggiamento filosofeggiante nei confronti della vita e dell’arte, ricercarono nella loro pittura la semplificazione formale ed esaltarono la bidimensionalità, il linearismo tendente all’arabesco, la sensibilità decorativa, il colore intenso e ricco di allusioni.
La scultura di Auguste Rodin fu movimentata da effetti luministici che rimandano, a prima vista, alla poetica impressionista. Tuttavia, a differenza dei personaggi impressionisti, che sono degli antieroi, quelli di Rodin appaiono eroici e monumentali.
L’esponente più importante del Simbolismo belga fu James Ensor, un moralista che abbracciò una posizione di ribellione individuale e attaccò il mondo e la società con spirito anarchico. Ensor espresse la sua vena satirica attraverso l’adozione di una deformazione grottesca, usando come armi l’aggressività dei colori e la dimensione trasgressiva delle composizioni, e rappresentando in maniera ricorrente folle assiepate di buffoni, prostitute, maschere, scheletri con la tuba da gentiluomini, autorità religiose e civili ridotte a figure burlesche.
Lo svizzero Arnold Böcklin, attivo tra la Germania e l’Italia, recuperò l’eredità del Romanticismo tedesco, creando immagini oscillanti tra sogno e realtà. Ossessionato dal tema della morte, dipinse L’isola dei morti, un’isola-cimitero, circondata da un mare denso e calmo, sovrastata da un cielo scuro e minaccioso, cui sta per attraccare un’esile imbarcazione che porta una figura velata in piedi e una bara, spinta a remi da un nocchiero che richiama il personaggio di Caronte.
Ferdinand Hodler produsse opere dai colori chiari, intensi e freddi, ottenendo effetti marcatamente scultorei. Il suo simbolismo è caratterizzato dal realismo delle immagini, dal disegno nitido e preciso, dalla distribuzione ritmica delle figure e delle linee, dagli scenari privi di profondità, dai colori asciutti. Ne La notte si raffigura circondato da uomini e donne che dormono abbracciati; anch’egli dormiva, ma è svegliato improvvisamente dal fantasma della morte che lo sovrasta.
In Danimarca, emerse la figura di un singolare e fascinoso pittore, Vilhelm Hammershøi, che si distinse per le sue malinconiche e silenziose scene d’interni, solitamente animate da una figura solitaria femminile, vista di spalle o tutt’al più di profilo. Le tinte scarne dei suoi dipinti, tutte giocate su timide variazioni di bianchi e di grigi, la luce morbida e polverosa, il silenzio che si percepisce denso e avvolgente riescono a immergere le scene in un’atmosfera enigmatica ed incantata.
In Italia, un gruppo di pittori dette vita nel 1891 al movimento del Divisionismo; questi artisti, impiegando una tecnica simile a quella del puntinismo neoimpressionista, ma servendosi, a differenza dei francesi, di piccoli tocchi filamentosi, affrontarono tematiche diverse: Previati e Segantini assecondarono un’attitudine simbolista mentre Pellizza da Volpedo e Morbelli affrontarono temi più legati alla realtà e alla società del loro tempo.