Il senese Simone Martini (1284 circa-1344) è stato uno dei più ammirati e celebrati pittori dell’età gotica. La sua arte, così tesa all’esaltazione della bella apparenza, fu l’espressione di una società ricca, sfarzosa e aristocratica. Se Giotto aveva donato alla figura umana corpo e sostanza, Simone la rivestì di abiti preziosi e la proiettò in un mondo di fiaba. Nella sua pittura mai coglieremo il sentimento della realtà storica; i suoi eroi, i suoi personaggi sacri, i principi e i cavalieri non sono tali per le azioni che compirono ma in quanto eletti, per una loro naturale e innata superiorità o per grazia divina. L’Annunciazione di Simone Martini.
Uno dei più celebri capolavori del maestro, e senza dubbio una delle sue prove migliori, è considerata l’Annunciazione, firmata e datata. Questa pala d’altare fu dipinta da Martini nel 1333 per l’altare di Sant’Ansano, nel Duomo di Siena, dove rimase fino al 1676. Spostata nella Chiesa di Sant’Ansano a Castelvecchio, l’opera vi restò fino al 1799, quando passò agli Uffizi di Firenze. Ancora oggi è conservata in questo museo e costituisce una delle sue principali attrattive.
Nella pala, una ricca cornice dorata, scandita da cinque archi a sesto acuto, accoglie (nella parte centrale) le figure della Vergine e dell’arcangelo Gabriele annunciante e (alle due estremità) le immagini dei santi Ansano e Massima. Quest’ultima è dipinta da Lippo Memmi, il più rappresentativo seguace di Simone Martini, nonché suo cognato e collaboratore.
Il giovane arcangelo, inginocchiato alla maniera di un nobile cavaliere, porge alla Vergine un ramo di ulivo, simbolo della pace e della concordia universale che il nascituro avrebbe diffuso sulla terra. Indossa un elegante abito damascato (il cui colore dorato riflette l’appellativo di Gabriele, detto “messaggero della luce”) e un vivace mantello quadrettato.
I suoi capelli, ornati da un diadema, le sue ali dalle penne di pavone e persino la sua veste sono dipinti con polvere d’oro.
Maria, sorpresa da Gabriele mentre legge un libro, si ritrae spaventata, con un gesto pudico e insieme scontroso, quasi a voler scansare le parole dell’inaspettato visitatore, che si materializzano in una scritta.
Al centro della scena, nello spazio che separa i due personaggi, volteggia in alto la colomba, simbolo dello Spirito Santo, circondata da serafini, mentre in basso sul pavimento è posto un vaso di gigli, simboli della purezza virginale di Maria.
In questa magnifica tavola, il fondo dorato elimina ogni senso di profondità spaziale; tutta la calibratissima composizione si basa sull’eleganza aristocratica e irreale dei gesti, sulla preziosità dei colori, sull’uso ricercato della linea curva e sinuosa, con la quale Martini ricava il profilo delle ali variopinte dell’angelo, il vortice del suo mantello svolazzante e la sagoma flessuosa del corpo della Vergine.
Il manto blu della Madonna contrasta fortemente con il fondo; ma la Vergine, a differenza dell’angelo, che è creatura celeste, non emana luce, ne è solo avvolta. Come ha scritto lo storico dell’arte Giulio Carlo Argan «il senso poetico del quadro è quello schivo ritrarsi del colore terreno davanti alla luce che d’ogni parte l’investe». Un’opera come questa non aveva precedenti in Italia; la sua eleganza, la sua preziosità spingono piuttosto a confrontarla con i manoscritti miniati francesi (da cui Simone ricavò la posa della Madonna) o con i dipinti gotici realizzati in Germania e in Inghilterra.
Lo stile marcatamente “europeo” della sua pittura garantì a Simone un successo internazionale (che, per esempio, Giotto non ebbe mai): non a caso, fra il 1335 e il 1336, l’artista senese fu chiamato presso la corte papale di Avignone, dove condusse felicemente il resto della sua vita.
Duccio e i senesi Galleria degli Uffizi Simone Martini Tempera
grazie mille, questo sito è perfetto per prendere appunti o studiare.
Grazie a te per l’apprezzamento
Grazie