menu Menu
Gli spaccapietre: da Courbet a Salgado, raccontare il lavoro
Un grande pittore e un grande fotografo dalla parte dei lavoratori.
Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in Realismo ed Impressionismo – Data: Settembre 27, 2021 6 commenti 7 minuti
La Civiltà Nuragica e i Giganti di Mont’e Prama Articolo precedente La Deposizione di Volterra di Rosso Fiorentino Prossimo articolo

Versione audio:

Gli uomini e le donne che lavorano, per molto tempo, sono stati protagonisti o anche solo comprimari di importanti opere d’arte: sin dai dipinti rupestri della preistoria, se consideriamo le scene con i cacciatori che si procacciano il cibo. Fu tuttavia dal XIX secolo, con la rivoluzione industriale e l’affermazione del socialismo, che l’attenzione nei confronti del lavoro da parte degli artisti si fece più forte e serrata. Grandi pittori realisti come Gustave Courbet (1819-1877), pittore ribelle e anticonformista, dedicarono ai lavoratori opere intense e dalla carica fortemente contestataria.

Leggi anche:  Le donne di Courbet

Gli spaccapietre

La raffigurazione del “vero” rimase sempre un elemento significativo, anzi qualificante della pittura di Courbet, che rifiutando i modelli formali del classicismo accademico non volle mai discriminare i soggetti in base alla loro (presunta) maggiore o minore dignità. Fu per questo che dedicò a due sconosciuti operai di una cava di pietre uno dei suoi più intensi e toccanti capolavori: Gli spaccapietre.

Gustave Courbet, Gli spaccapietre, 1849. Olio su tela, 1,59 x 2,59 m. Già a Dresda, Gemäldegalerie. Distrutto durante la seconda guerra mondiale.

Questo quadro fu dipinto da Courbet nel 1849, cioè un anno dopo la pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels. Non abbiamo alcuna prova che ci sia una relazione diretta fra il quadro e lo scritto, e probabilmente non c’è; è certo, però, che entrambe le opere, quella artistica e quella filosofica, furono il frutto di un comune sentire. Courbet non poteva ancora essere comunista ma certamente era un socialista, come egli stesso ebbe a dichiarare: «Mi si domanda una professione di fede. Dopo trent’anni di vita pubblica rivoluzionaria socialista, non ho saputo far comprendere le mie idee? […] Mi sono costantemente occupato della questione sociale e delle filosofie che vi si riferiscono».

Leggi anche:  Il seminatore e L’Angelus di Millet

Courbet aveva sempre avuto a cuore la condizione dei diseredati, dei contadini, dei sottoproletari e questo dipinto è certamente una delle sue prove più convinte. Soggetto del quadro è infatti una coppia di spaccapietre. Il lavoro dello spaccapietre era, tra i mestieri onesti, forse il più umile, faticoso e degradante. Equivalente a quello del minatore ma all’aria aperta, consisteva nello spaccare pietre, nelle cave, con mazze e martelli fino a ridurle alla dimensione di ciottoli. Si lavorava per 11-13 ore al giorno, nei mesi estivi sotto il sole, d’inverno con il freddo e le gelate. Tutti gli spaccapietre avevano mani callose e deformate, gambe storte e rigide, schiena curvata, occhi malati per la polvere e le schegge. Vivevano in abitazioni precarie, senza acqua potabile e servizi igienici, sfruttati dai procacciatori di lavoro con una paga che consentiva loro a mala pena di sopravvivere.

La durezza del lavoro

Un uomo e un ragazzo sono concentrati sul loro duro lavoro. Il più anziano è piegato su un ginocchio ed è mostrato di profilo. L’altro, più giovane, è intento a sollevare una gerla di pietre e viene raffigurato di spalle. Entrambi stanno guardando solo i sassi e non alzano lo sguardo; per quel poco che si vede, i loro volti sono inespressivi. Se ne ricava l’impressione di un abbrutimento psicologico oltre che materiale. Ogni dettaglio, anche se degradante, è raffigurato con assoluta precisione, con intento quasi documentario: le toppe sulle maniche della camicia, lo strappo del panciotto, le calze bucate, gli zoccoli consumati dell’adulto; la camicia a brandelli del ragazzo; gli strumenti di lavoro, le gerle, la pala e i picconi, la pentola con il pane. Il paesaggio è spoglio, essenziale e scuro, per mettere in evidenza i due protagonisti. I colori terrosi contribuiscono a comunicare un senso di tristezza e di povertà.

Gustave Courbet, Gli spaccapietre, 1849. Particolare

Una nuova arte socialista

Le due figure degli spaccapietre furono salutate dal politico ed economista francese Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) come il primo esempio della nuova arte socialista. Indubbiamente, questo capolavoro di Courbet è un violento atto d’accusa. L’artista è brutale, quasi cinico nel rappresentare i suoi sottoproletari. Rifiuta categoricamente la funzione consolatoria della bellezza, evita con attenzione di nobilitare un lavoro che di nobile non ha nulla. Non prova nemmeno a destare la commozione del pubblico, anzi, intende scioccarlo mostrandogli la “verità” della fatica fisica. Così facendo, egli esalta la dignità delle classi subalterne, invita al rispetto del lavoro manuale, denuncia la drammatica situazione sociale dei lavoratori.

Il pubblico ebbe una reazione violentissima di fronte a questo quadro: non solo non accettò che un artista potesse dare così tanta importanza a due insignificanti lavoratori (laddove la pittura aveva ben altri compiti, celebrare la bellezza, gli eroi, la storia) ma si scandalizzò, si offese persino, vedendo che Courbet li aveva rappresentati per quello che erano, come due straccioni. Un critico d’arte scrisse, dopo aver visto il dipinto di Courbet: «si prega il Signor Gustave di voler gentilmente rammendare la camicia e lavare i piedi ai suoi spaccapietre». In tal senso, l’artista aveva ottenuto il suo scopo. I borghesi avevano capito chiaramente che quella sfacciata rappresentazione della povertà era un dito puntato contro di loro e contro le loro responsabilità.

Leggi anche:  Il lavoro femminile nella pittura dell’Ottocento

Il dipinto di Courbet, già esposto al museo di Dresda, è andato distrutto durante la seconda guerra mondiale. Ce ne resta solo una documentazione fotografica. Courbet affrontò questo soggetto anche in altri quadri. Uno di questi, dipinto nel 1849 e oggi parte di una collezione privata, mostra un solo spaccapietre.

Gustave Courbet, Lo spaccapietre, 1849. Olio su tela, 45 x 55 cm. Svizzera, collezione privata.

Il mestiere dello spaccapietre non è scomparso. Esso anzi è ancora molto diffuso nelle regioni povere del mondo, come ad esempio in Nicaragua o in Nepal.

Spaccapietre in Nicaragua.
Bambini spaccapietre in Nicaragua.
Una bambina spaccapietre in Nicaragua.

Un grande fotografo contemporaneo

Non solo i pittori. Anche i fotografi, nel XX secolo, hanno raccontato il lavoro con scatti e reportage memorabili. Uno straordinario maestro della fotografia realista del secondo Novecento è il brasiliano Sebastião Salgado (1944), giustamente celebrato come uno dei più grandi fotografi dei nostri tempi. Salgado, dai primi anni Settanta, gira il mondo mostrandone e denunciandone miserie e contraddizioni ma, nel contempo, svelandone la struggente bellezza. Con i suoi reportage umanitari e sociali, realizzati in Africa, Sudamerica, Medio Oriente, Salgado ha raccontato, mostrandole, la vita nelle campagne, la nobilissima semplicità del lavoro, la disperazione dei migranti (i suoi scatti più suggestivi sono stati raccolti in diversi volumi, fra cui La mano dell’uomo del 1993, ed esposti fino a oggi in oltre sessanta musei e luoghi espositivi di tutto il mondo).

Sebastião Salgado, Portatori. Serra Pelada, Stato di Parà, Brasile, 1986. Fotografia.

Fra le sue fotografie più famose, rigorosamente in bianco e nero, dobbiamo annoverare quelle realizzate nella miniera d’oro della Serra Pelada, in Brasile, dove migliaia di persone sono ritratte mentre trasportano sacchi di fango arrampicandosi sulle pareti scoscese e scivolose di una cava enorme. Sono immagini inquietantemente suggestive, capaci di evocare gli scenari apocalittici degli inferni immaginati, secoli fa, dagli artisti medievali. «Quando fotografo io respiro la fatica dell’uomo, i suoi ritmi, le sue angosce. Ma anche le sue speranze», ha detto Salgado. «Le immagini possono risvegliare le coscienze come una premessa necessaria all’avvio di qualche azione. Un’immagine è come un appello a fare qualcosa, non soltanto a sentirsi turbati o indignati. La foto dice: “Basta! Intervenite, agite!”».

Sebastião Salgado, Portatori. Serra Pelada, Stato di Parà, Brasile, 1986. Fotografia.
Sebastião Salgado, Portatori. Serra Pelada, Stato di Parà, Brasile, 1986. Fotografia.
Sebastião Salgado, Portatori. Serra Pelada, Stato di Parà, Brasile, 1986. Fotografia.
Sebastião Salgado, Portatori. Serra Pelada, Stato di Parà, Brasile, 1986. Fotografia.


Articolo precedente Prossimo articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Annulla Invia commento

  1. un quadro può spiegare una ideologia e sfruttamento dell’uomo. Grazie per la spiegazione e la comparazione delle foto, purtroppo passano gli anni ma non cambiano i sistemi

  2. Ecco una buona lezione di storia dell’arte, dalle opere del passato, che rischiano sempre di essere percepite come lontane e non appartenerci, alla realtà del presente che invece ci coinvolge.

keyboard_arrow_up