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Raffaello Sanzio (1483-1520), pittore e architetto, figlio del pittore Giovanni Santi (artista non eccelso ma di grande cultura), rimase orfano in giovane età sia della madre sia del padre, dal quale poté ricevere solo un primo indirizzo alla pittura. La sua formazione va comunque ricondotta alla complessa civiltà artistico-letteraria della sua città natale, Urbino, dominata nella seconda metà del Quattrocento dalle grandi personalità di Piero della Francesca, Luciano Laurana e Francesco di Giorgio Martini. Lo Sposalizio della Vergine.
Vasari scrive che negli ultimi anni del XV secolo, e nei primissimi del successivo, Raffaello fu allievo del Perugino, circostanza che tuttavia non è stata mai confermata dai documenti, anzi le poche notizie sicure tenderebbero ad escluderlo. Senza dubbio Raffaello si associò al grande pittore umbro ma lo fece come artista indipendente; di certo, ne assimilò molto rapidamente il linguaggio pittorico.
I modi del Perugino si trovano infatti riecheggiati nelle opere del Sanzio anteriori al 1504, al punto che risulta assai difficile distinguere i quadri del maestro più anziano da quelli del giovane e geniale collaboratore. Uno dei primi dipinti dell’urbinate, ad esempio, la Crocifissione del 1503, è marcatamente “peruginesca”: rimandano alle formule del Perugino sia l’attenzione per la simmetria compositiva sia l’umanità soave dei personaggi, composti in gesti ed espressioni languide che manifestano una pietà rassegnata e affettuosa, priva di tensione emotiva.
Raffaello propose una rilettura dei modelli perugineschi anche nell’Incoronazione della Vergine, dipinta attorno al 1503 per la Chiesa di San Francesco a Perugia. L’opera presenta una composizione nettamente divisa in due parti: nel registro superiore, la Vergine è seduta accanto al figlio che la incorona; nel registro inferiore, gli apostoli si raccolgono intorno alla tomba vuota: alcuni sono intenti ad osservare le rose e i gigli che vi sono miracolosamente germogliati, altri levano gli occhi al cielo per assistere all’evento miracoloso. Il sepolcro dagli spigoli netti, posto in posizione obliqua, forma un deciso movimento diagonale e mostra il precoce interesse del giovane maestro per la prospettiva.
Quando Raffaello iniziò a lavorare allo Sposalizio della Vergine per la Chiesa di San Francesco a Città di Castello, Perugino stava dipingendo un soggetto analogo per la Chiesa di San Lorenzo a Perugia. Il giovane Sanzio certamente conosceva bene il quadro del più anziano collega, perché ne ripropose lo schema generale: non si trattava, è chiaro, di una forma di “imitazione”, dato che all’epoca un’idea espressa attraverso la produzione artistica valeva in quanto tale e una volta realizzata diventava universale. Raffaello, inoltre, usava elaborare i modelli dei pittori già affermati con straordinario acume critico, per trasformarli poi in modo radicale.
Un confronto diretto fra le due tavole dello sposalizio mostra come le differenze, apparentemente minime, siano in realtà sostanziali: Perugino stava riproponendo, nel proprio dipinto dello Sposalizio, una sua innovazione iconografica, già presentata vent’anni prima nell’affresco della Consegna delle Chiavi nella Cappella Sistina.
La scena di Maria e Giuseppe uniti dal Grande Sacerdote, infatti, non è ambientata all’interno o in prossimità di un tempio ma in primo piano e al limite di una piazza aperta, dominata al centro da un tempio centrale (a pianta ottagonale, con quattro protiri alternati a facciate libere).
Anche Raffaello inserì il motivo del tempio centrale ma sviluppò il modello peruginesco raddoppiando i lati della pianta e circondando la cella con una peristasi di archi su colonne, che si raccorda al tamburo della cupola con una serie di eleganti volute.
Quest’architettura raffaellesca, seppure meno classicheggiante rispetto al modello peruginesco, è analoga a quella del Tempietto di San Pietro in Montorio, costruito negli stessi anni a Roma dal Bramante, e imprime al dipinto un’accentuata tendenza alla circolarità che si propaga con moto centrifugo nello spazio circostante.
Perugino aveva concepito lo spazio per piani paralleli: ne consegue che le relazioni fra i personaggi allineati in primo piano e l’architettura sullo sfondo appaiono deboli. Le aggraziate figure di Raffaello sono invece poste a semicerchio e la loro circolarità prosegue idealmente oltre il tempio, connettendosi alla curva dell’orizzonte. L’asse dell’edificio, vero fulcro della composizione, diventa in tal modo anche il perno di un ampio e dilatato movimento rotatorio.
Nell’attesa che riapra la mostra a Roma(!), questi flash sull’arte di Raffaello preparano ad una visita più consapevole. Molto interessante il paragone con Perugino. Grazie, prof!
Grazie mille!