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Il fotoreporter e ritrattista statunitense Steve McCurry (1950) è oggi considerato un indiscusso maestro della fotografia contemporanea. Le sue foto, pubblicate dalle principali riviste internazionali, gli hanno assicurato una fama straordinaria. Pochi, come lui, sanno catturare volti, sguardi, dolori silenziosi, restituire l’esplosione cromatica degli oggetti, dei cibi, delle vesti.
Iniziò come fotografo freelance in India, negli anni Settanta; per i suoi reportages sul confine tra Pakistan e Afghanistan, controllato dai ribelli poco prima dell’invasione russa, si è guadagnato il primo di una lunghissima serie di premi: la Robert Capa Gold Medal, assegnata a fotografi distintisi per il proprio eccezionale coraggio.
Non c’è dubbio che l’approccio di McCurry all’arte della fotografia sia da sempre di tipo antropologico: il corpus dei suoi scatti è un vero e proprio studio delle multiformi culture, religioni e tradizioni che si trovano nei tanti paesi dei cinque continenti. Le sue fotografie sono praticamente perfette, impeccabili nella composizione, straordinarie per la forza dei loro colori, in altre parole bellissime, come un quadro rinascimentale, come un dipinto di Raffaello.
Eppure, McCurry non idealizza ciò che racconta, ci mostra il mondo per com’è. Quello che ci stupisce, è come lui riesca a far emergere la prepotente bellezza della vita e di questa nostra terra martoriata anche raccontandone la povertà, la fame, l’abbandono, la paura, il dolore, la guerra.
Il suo lavoro è un omaggio incondizionato al fascino controverso della realtà, reso anche a costo di un sacrificio personale: quello di chi, da quel fascino, si è fatto attrarre e guidare, viaggiando per il mondo e visitandone ogni angolo nascosto e remoto, di chi ha messo, in nome di quella ricerca così devota, così tante volte a repentaglio la sua stessa vita.
I suoi scatti perfetti non sono mai (solo) frutto del caso o della sua geniale intuizione d’artista: in primo luogo perché lui era lì, in quel momento, e non altrove. Inoltre, perché McCurry non fotografa a casaccio: egli sa aspettare, ritorna sul posto, riprova.
Così racconta a proposito di una sua famosissima fotografia, quella in cui ritrae dei pescatori dello Sri Lanka in equilibrio su canne di bambù: «Prima ho studiato i luoghi e le tecniche di pesca, poi ho trovato il posto giusto ed un punto di vista convincente e prima di scattare ci sono tornato tre volte: nel tardo pomeriggio, al mattino presto e dopo il tramonto. Alla fine, ho scelto la luce delle sette del mattino con il cielo completamente coperto».
Ricordando di un suo celebre reportage in India ha detto: «Quell’anno ho capito che, per farcela, dovevo entrare nell’acqua lurida, coperta di melma, piena di rifiuti e animali morti: per compiere il mio progetto, dovevo accettare tutti i rischi, compreso quello di ammalarmi e morire».
Gli è stato chiesto: «Dopo oltre quattro decenni di fotografie di ogni genere come si autodefinisce? Fotografo, fotoreporter, artista?». Ha risposto: «C’è una frase gergale in America, che dice “camminare e insieme masticare un chewing-gum”. Tu puoi fare un giorno un reportage e il giorno dopo dei ritratti, puoi creare un determinato tipo di cose e in un altro periodo della vita fare cose totalmente diverse. È quello che accade in letteratura, nel cinema, nella pittura, e può essere riassunto in una parola sola: creatività. Penso che un fotografo nell’arco della vita sia in grado di documentare, ma anche di interpretare. Di avere una visione personale e in qualche modo, sì, artistica».
McCurry ha continuato a fotografare tutti i principali conflitti internazionali, in Iran, Iraq, Cambogia, Filippine. Straordinarie e toccanti le sue testimonianze della Guerra del Golfo, che si concentrano sulle conseguenze del conflitto, tra cui la devastazione del territorio.
McCurry è considerato uno dei più sensibili ritrattisti dei nostri giorni: è, infatti, sempre e comunque l’essere umano l’oggetto della sua arte. «Se aspetti», ha detto, «le persone dimenticheranno la tua macchina fotografica e l’anima apparirà alla vista». Il suo ritratto più famoso, Ragazza afgana, è stato pubblicato per la prima volta dal «National Geographic Magazine» nel 1985. Questa fotografia è diventata una sorta di icona del Novecento. Una ragazzina, profuga rifugiatasi in Pakistan, spaventata e smarrita, volge lo sguardo verso l’obiettivo del fotografo, puntandovi contro due occhi verdi che ci svelano tutta la sua vulnerabilità.
«La maggior parte delle mie foto – ha spiegato McCurry – è radicata nella gente. Cerco il momento in cui si affaccia l’anima più genuina, in cui l’esperienza s’imprime sul volto di una persona. Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio che potremmo chiamare la condizione umana. Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell’essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità».
Una curiosità: l’identità della ragazza afghana ritratta nella foto è rimasta sconosciuta per oltre 17 anni, fino a quando il fotografo, nel 2002, accompagnato da un team del National Geographic è tornato in Afganistan e l’ha ritrovata, fotografandola un’altra volta. Quel volto adesso ha un nome: Sharbat Bibi. La ragazzina, con tutta evidenza, è diventata donna, gli occhi sono gli stessi, quell’ombra, a quanto pare, è rimasta dentro di lei.
Di recente, McCurry ha dedicato all’Italia Tribute to Italy, un video-tributo, della durata di poco meno di tre minuti, in cui ha raccolto, sulle note del Nessun Dorma di Giacomo Puccini, alcuni dei suoi molti scatti realizzati nel nostro paese.
«L’Italia mi ha richiamato a sé più volte di quante ne potrei contare» spiega il fotografo nel frame d’inizio del video. «Vivere bene e pienamente: è questa la filosofia di vita degli italiani, e la gioia di vivere non li ha abbandonati nemmeno in questo periodo. Negli ultimi due mesi l’animo degli italiani ha catturato la nostra attenzione e suscitato il nostro rispetto. Durante la sfida mondiale al Covid-19, gli italiani hanno mostrato altruismo e coraggio nell’affrontare una tragedia inimmaginabile e nessuno dubita che riusciranno a trionfare su questa avversità. In questo momento sono vicino a tutto il popolo italiano. Siete sempre nel mio cuore».
Grazie di cuore per le bellissime parole Steve Mc Curry dopo che ho guardato le tue immagini e ascoltate ….con attenta devozione, con gli occhi bagnati mi sono convinto che ancora una volta spetta ad ognuno di noi la responsabilità di ripartire per un nuovo umanesimo.
Paolo.