Puoi ascoltare il mio podcast su: Apple Podcasts | Google Podcasts | Spotify | Cos'è?
Wiligelmo, attivo a Modena dal 1099 al 1110 circa, fu il caposcuola della scultura romanica emiliana, oltre che il primo scultore romanico di rilevanza europea. Della sua vita non abbiamo alcuna informazione se non il suo nome, la cui origine germanica non basta però a indicarne la reale provenienza. In epoca medievale, i nomi stranieri erano molto diffusi, soprattutto nell’Italia settentrionale. Una lapide, che oggi si trova sulla facciata del Duomo di Modena, ci rivela che Wiligelmo fu il principale scultore di questa chiesa. «Di quanto onore tu sia degno, o Wiligelmo, tra gli scultori, è ora reso manifesto nella tua scultura», recita l’epigrafe in latino. Una frase che dimostra quanto Wiligelmo fosse apprezzato dai suoi contemporanei e che, soprattutto, rimanda a lui e alla sua bottega l’intera decorazione scultorea del Duomo modenese.
Certo non è facile distinguere con certezza quanto fu realizzato personalmente dall’artista e quanto invece debba essere ricondotto ai collaboratori. Gli studiosi, tuttavia, gli attribuiscono con ragionevole sicurezza le Storie della Genesi, una serie di quattro lastre scolpite a bassorilievo, oggi sulla facciata del Duomo. Grazie al confronto stilistico con i rilievi modenesi, inoltre, è stata riconosciuta la mano di Wiligelmo in alcune sculture della Cattedrale di Cremona e in altre della Cattedrale di Piacenza. Si può quindi dedurre che il maestro fosse ancora attivo nei primi anni Venti del XII secolo.
L’originaria collocazione delle Storie della Genesi è oggetto di dibattito. È ovvio, infatti, che l’attuale posizione dei pannelli non può corrispondere a quanto previsto inizialmente dallo scultore: due bassorilievi su quattro sono posti in una posizione sfavorevole alla vista e la comprensione del racconto, concepito come continuo, viene ostacolata dal ripetuto scarto delle altezze. Alcuni studiosi sostengono che Wiligelmo scolpì le lastre proprio per la facciata e che, anzi, debba essere considerato lui, e non Lanfranco, l’autore dell’intero prospetto.
I quattro rilievi sarebbero stati inizialmente murati, a coppie, ai lati del portale centrale; solo in seguito, due di essi sarebbero stati spostati sopra i portali laterali, dove tutt’oggi si trovano. Ai tempi di Wiligelmo, infatti, il Duomo presentava un solo ingresso (gli altri sono frutto di un intervento del XIII secolo). Secondo un’altra ipotesi, le quattro lastre furono invece concepite per la balconata del presbiterio (cioè il pontile) e in un secondo tempo spostate sulla facciata, con funzione di fregi.
Le Storie della Genesi contengono complessivamente 13 scene (4 nella prima lastra e tre in ognuna delle altre), che si leggono da sinistra a destra seguendo il racconto del Vecchio Testamento. La prima lastra, il cui soggetto è La creazione dell’uomo, della donna e il peccato originale presenta: Dio Padre racchiuso in una mandorla sorretta da angeli; Creazione di Adamo; Creazione di Eva; Peccato originale. La seconda lastra racconta La cacciata dal Paradiso Terrestre. La terza lastra affronta il tema dell’Uccisione di Abele. Infine, l’ultima lastra tratta dell’Uccisione di Caino e Storie di Noè. L’intero racconto è come unificato da un’incorniciatura continua di arcatelle, alcune delle quali sorrette da colonnine, che hanno il compito di creare una generica ambientazione spaziale.
La prima lastra è sicuramente la più interessante. Dio Padre, chiuso nella sua mandorla di luce, sembra quasi affacciarsi da una finestra del Paradiso. È rappresentato con il volto di Gesù e con l’aureola crociata, perché a questa data non si era ancora diffusa una sua iconografia specifica. Quindi, Dio e Gesù vengono completamente identificati. Il Signore tiene nella mano destra un libro aperto, dove si può leggere «Lux ego sum mundi, via verax, vita perennis», ossia «Io sono la luce del mondo, la via vera, la vita perenne».
Segue Dio Padre che infonde la vita in Adamo posandogli una mano sul capo. Adamo, un po’ goffo e barcollante, è completamente nudo, anche se rappresentato privo di genitali. A scanso di equivoci, giacché entrambi i personaggi hanno la barba, Wiligelmo ha inciso accanto al progenitore il suo nome.
La scena della creazione di Eva è di grande efficacia. La Bibbia spiega genericamente che Dio creò la donna da una costola di Adamo: Wiligelmo immagina Eva che sbuca letteralmente dal fianco del futuro marito. Si noti che Adamo, addormentato in riva a un fiume, è coricato in equilibrio su un elemento ondulato posto in verticale. L’immagine è evidentemente aprospettica e il ribaltamento di tutti gli elementi su un solo piano serve a rendere la scena immediatamente comprensibile.
La lastra si conclude con la scena del peccato originale. Adamo ed Eva mangiano il frutto proibito (tradizionalmente identificato con la mela) e si vergognano del peccato che stanno commettendo, tanto da coprirsi parzialmente con una grande foglia. Il contesto è ridotto allo stretto indispensabile: tutto il Paradiso Terrestre è sintetizzato in un solo albero, quello della conoscenza del bene e del male, attorno al quale si avvolge Satana in forma di serpente tentatore.
L’arte di Wiligelmo, stilisticamente affine alla coeva scultura francese, rappresenta una svolta nella storia dell’arte occidentale: il suo stile sintetico, vigoroso e possente, di grande immediatezza comunicativa, domina composizioni essenziali, caratterizzate da forme solide e concrete. Pochissimi sono gli elementi che accennano a una contestualizzazione delle scene, minimi e fortemente stilizzati quelli di paesaggio (come gli alberi e l’acqua): con questa scelta, l’artista intendeva offrire ai fedeli solo poche informazioni, limitandosi a quelle ritenute necessarie per spiegare il soggetto narrato e valorizzare il significato morale dell’opera.
Le figure di Wiligelmo sono ancora ben lontane dal naturalismo di stampo classico. L’artista non si è curato di ricercare le proporzioni naturali dei corpi: Adamo ed Eva, per esempio, presentano gambe tozze, braccia lunghe, busto corto e appaiono tarchiati e del tutto privi di grazia; tuttavia la loro fisicità, e dunque la loro dignità umana, non sono negate, come avveniva invece nelle opere bizantine. I personaggi di Wiligelmo mostrano, insomma, un “risveglio” della forma: non sono più piatti e inconsistenti, senza peso e volume, senza corpo e ombre ma, al contrario, hanno la forza e la credibilità di corpi vivi. Ogni figura scolpita è dotata di una massiccia corporeità ed emerge in modo netto dalla liscia superficie in pietra del fondo. Anche l’espressività impressa dal loro autore è contenuta ma sicuramente umana e drammatica e ciò conferisce ai racconti una certa intensità emotiva.
Wiligelmo, che era uno scultore colto e aggiornato, aveva inoltre studiato la scultura classica, pur non ricavandone indicazioni stilistiche vincolanti. Non mancano, infatti, nella sua opera alcune esplicite citazioni tratte dall’antico: il fregio a palmette e la sequenza di archetti della sua Genesi sono ispirati ad analoghi motivi decorativi dei sarcofagi romani e soprattutto i Geni alati con le fiaccole in mano, che furono inseriti in alto, nel settore centrale della facciata, ricordano in modo particolare i tipici genietti funerari romani.
Come sempre…descrizione fantastica!
e stato molto bello e facile da leggere