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Come ha scritto uno dei massimi studiosi dell’architettura barocca in Europa, Christian Norberg-Schulz (1926-2000), «l’architettura tardobarocca più viva e smagliante d’Italia si trova in Sicilia». In questa regione, nel 1693 un terremoto spazzò via quasi tutte le città del Val di Noto, l’area sud-orientale della Sicilia che a est comprendeva Catania, a nord lambiva Caltanissetta e a sud inglobava il territorio della Contea di Modica, corrispondente a gran parte dell’attuale provincia di Ragusa. Le meraviglie del Tardobarocco ibleo.
Un testimone oculare, fra’ Filippo Tortora da Noto, scrisse che «fece un terremoto così orribile e spaventoso che il suolo a guisa d’un mare ondeggiava, li monti traballando si diroccavano e la città tutta in un momento miseramente precipitò con la morte circa di mille persone». Normalmente, un grande terremoto rappresenta la fine del mondo; invece, in questa terra già martoriata, al cataclisma seguì una immediata, frenetica ricostruzione e dalle rovine nacquero monumenti superbi, i più trionfanti, più fantasiosi, più ricchi che la Sicilia abbia mai prodotto.
Fu soprattutto l’ecclesiastico palermitano Giovan Battista Vaccarini (1702-1768) a trasformare Catania in una delle più affascinanti città settecentesche d’Europa. Della formazione giovanile dell’abate architetto non conosciamo molto ma non si esclude abbia soggiornato per qualche tempo a Roma lavorando allo studio di Carlo Fontana, allievo del Bernini. Nel 1730, il giovane architetto fu incaricato di progettare la facciata della Cattedrale catanese, già ricostruita su progetto di Girolamo Palazzotto. Le meraviglie del Tardobarocco ibleo.
La facciata del Vaccarini è articolata nella parte centrale con tre ordini molto alti, il primo dei quali inquadra tre portali su alti piedistalli, ruotati rispetto al piano di fondo: rotazione e distacco dalla parete conferiscono al prospetto una forte caratterizzazione, anche in rapporto all’ambiente urbano della piazza.
La facciata della Chiesa della Badìa di Sant’Agata (1735-37), sempre a Catania, è forse l’opera con la quale Vaccarini riuscì a dimostrare con più efficacia il proprio talento. La pianta della chiesa è molto simile a quella della borrominiana Sant’Agnese, ma disposta con l’ingresso in corrispondenza dell’asse maggiore, in modo da conferire all’edificio un’impostazione longitudinale. Il prospetto presenta nella parte centrale una concavità in corrispondenza del portale e due convessità laterali. Il partito superiore, un alto attico in cui si incunea il frontone del partito di mezzo, è invece arretrato, con tre concavità coronate da una balaustra, oltre la quale si scorge la cupola. Le meraviglie del Tardobarocco ibleo.
La ricostruzione delle città di Noto, Ragusa e Modica vide impegnato Rosario Gagliardi (1700 ca.-1770 ca.), che difatti amò firmarsi «ingegniere della città di Noto e sua Valle».
Benché egli sia uno degli architetti più interessanti della sua generazione, di lui non conosciamo quasi nulla; abbiamo sue notizie documentate tra il 1726 ed il 1760. Siracusano, esordì probabilmente come faber lignarius, ossia come falegname. Nella prima fase della sua carriera, Gagliardi fu attivo a Noto, contribuendo certamente alla ricostruzione della città. Gagliardi riuscì a proporre un’architettura moderna e per certi versi “spregiudicata” ma fortemente legata al territorio, alla sua cultura, al suo linguaggio, persino alla sua tradizione, utilizzando tutti gli strumenti in suo possesso, non ultima la scelta del materiale, per realizzare delle opere in grado di suscitare meraviglia. Le meraviglie del Tardobarocco ibleo.
L’architettura di Gagliardi presenta tre motivi fondamentali: una certa tendenza alla centralità delle piante (piuttosto inconsueta per l’architettura barocca in Sicilia), la ricerca di un più serrato rapporto interno-esterno e soprattutto l’invenzione della scenografica “facciata-torre”, erede delle facciate-campanili della tradizione siculo-normanna ma rielaborata con straordinaria originalità ed inventiva. Queste facciate non sono mai collocate casualmente e caratterizzano in modo determinante lo spazio su cui si affacciano.
Anche l’antica città di Ragusa fu ricostruita nel Settecento dopo il terremoto; venne denominata Ragusa Ibla, per distinguerla dalla parte nuova, ossia Ragusa Alta (o Ragusa Superiore), costruita a monte a partire dal secolo successivo. Tutto il territorio del ragusano è comunque, oggi, detto “ibleo”. Le meraviglie del Tardobarocco ibleo.
A Ragusa Alta, nel 1694, si avviò la costruzione della piccola Chiesa di San Giovanni Battista, che dopo soli quattro mesi era completata, tanto da essere subito aperta al culto. Nel 1714 si decise di riprendere i lavori e di ingrandire l’edificio. Poco si sa delle fasi di progettazione. Si suppone abbiano avuto un ruolo rilevante due capimastri di Acireale, Giuseppe Recupero e Giovanni Arcidiacono. La nuova chiesa, oggi Cattedrale di Ragusa, sorge sopra un terrapieno, collegato alla piazza sottostante per mezzo di una scenografica scalinata. La facciata, estesa in larghezza, è divisa in cinque settori verticali da grandi colonne dotate di alti basamenti. È munita di un solo campanile, dei due inizialmente previsti, che si innalza a sinistra. Il portale centrale presenta due coppie di colonne e sculture dell’Immacolata tra San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista. Le meraviglie del Tardobarocco ibleo.
Trasferitosi a Ragusa Ibla attorno al 1744, Rosario Gagliardi costruì la chiesa madre: il Duomo di San Giorgio, certamente fra le architetture più suggestive del Tardobarocco europeo. È, questo, il capolavoro assoluto di Gagliardi e anche l’unica opera di cui si sono conservati i suoi disegni, firmati e datati 1744. L’impianto è basilicale a tre navate, per una esplicita richiesta della committenza. Quel senso di forza e di robustezza delle membrature, temperato dall’altezza delle navate, è probabilmente legato anche alla volontà di realizzare un’architettura più solida, capace di resistere ad eventuali nuove scosse della terra.
La stessa facciata presenta un’invenzione, un allungamento in una torre-campanile, che potrebbe essere legata ad esigenze di solidità strutturale. Infatti, il campanile, posto solitamente a un lato della facciata se non addirittura come costruzione isolata, in caso di terremoto può crollare rovinando le navate sottostanti. Una torre integrata nella facciata, invece, è molto più stabile, anche per effetto della forma triangolare che il prospetto viene poi ad assumere. Le meraviglie del Tardobarocco ibleo.
Questa soluzione realizzata da Gagliardi consiste semplicemente nell’aggiungere a una facciata basilicale a due piani, un terzo piano più stretto, per contenervi la cella campanaria che si conclude con una cuspide a bulbo.
L’effetto fortemente slanciato, ottenuto tramite il restringersi per ogni ordine dei volumi murari raccordati da volute, è ulteriormente accentuato dalla gradinata sottostante, eseguita posteriormente ma con probabilità prevista dallo stesso architetto. Scalinata e facciata s’innalzano al termine di una lunga piazza in salita, offrendo una doppia direttiva scenografica, perché il prospetto non è allineato sull’asse dello spazio urbano. Il prospetto presenta un plasticismo nervoso e voluttuoso. Il tema delle colonne libere, qui a gruppi di tre, poste nei punti di flesso delle curve e avanzanti in piani paralleli alla facciata, trova le sue più alte possibilità di espressione, mentre le statue dei santi, che sfidano audacemente la forza di gravità, suggeriscono un aspetto quasi “gotico”. Le meraviglie del Tardobarocco ibleo.
A Rosario Gagliardi è stata attribuita, sempre a Ragusa Ibla, anche la piccola e deliziosa Chiesa di San Giuseppe (1740-50), che richiama nelle forme il modello del Duomo, riproponendone la facciata composta su tre ordini sovrapposti, con graduale diminuzione dell’altezza delle colonne e delle lesene.
Quando, nel 1744, Gagliardi presentò i disegni del suo San Giorgio ragusano, il Duomo di San Giorgio a Modica, sorta in una posizione predominante sull’ambiente urbano, in cima a un’altissima scalinata, era in stato molto avanzato di realizzazione e forse il primo ordine della facciata era stato già ultimato.
L’interno, preesistente o riedificato dopo il terremoto, aveva mantenuto, come gran parte delle chiese iblee, il tradizionale impianto basilicale, a tre navate con profonde cappelle comunicanti. Le meraviglie del Tardobarocco ibleo.
Il prospetto era concepito, nel primo ordine, in cinque partiti (i quattro laterali leggermente concavi, quello centrale convesso) che tendono a crescere di larghezza verso il centro, divisi da singole colonne libere su un alto piedistallo che sul flesso del partito centrale si raccolgono in due gruppi di tre.
Che i modicani si siano rivolti allo stesso Gagliardi o a un architetto a lui molto vicino, purtroppo non è stato ancora chiarito in termini definitivi: certamente, la facciata del San Giorgio di Modica è concepita in pieno spirito competitivo con quella ragusana. Gagliardi, o il suo anonimo collega, mantenne la larga e pressoché rettilinea facciata quasi inalterata al primo livello e vi sovrappose altri due altissimi ordini solo in corrispondenza del partito centrale, concependo un impianto torreggiante che dà alla facciata una fortissima e suggestiva caratterizzazione ascensionale. Le meraviglie del Tardobarocco ibleo.
Una carrellata bellissima dello splendido barocco siciliano.
Grazie mille per l’apprezzamento!
Complimenti, chiarezza espositiva e contenuti molto interessanti ! Ho avuto la sensazione di ripercorrere i luoghi del meraviglioso barocco Siciliano, da casa.
Grazie mille. Mi fa molto piacere